Marco De Veglia

Come giochi al gioco del marketing?

I marchi a cui ci affezioniamo di più, anche se siamo consapevoli che possono mentire, sono quelli che appagano un nostro bisogno primario: l’autostima.

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Oggi voglio iniziare parlando di uno spot pubblicitario. Credo che tu non lo conosca, ma è stato premiato come “Best 1993 Commercial”, cioè come miglior spot del 1993, da Advertising Age, la rivista di riferimento dell’advertising mondiale. Personalmente ritengo che sia il miglior spot pubblicitario mai realizzato. E ne ho visti a centinaia. Cos’ha di speciale questo spot? E perché te ne parlo?

T’invito a guardarlo su YouTube e poi a leggere la spiegazione. Anche se non capirai esattamente ciò che dice, troverai qui sotto sia il testo originale che la traduzione italiana.
Guarda lo spot “Survivors”: bit.ly/volvosurvivors

Testo originale: «The people you are looking at, all share a common belief. That their car, saved their lives. (SUPER): Volvo. Drive Safely».

Traduzione: «Le persone che state vedendo, hanno tutte la stessa convinzione. Che la loro auto ha salvato loro la vita. (SUPER): Volvo. Guida con sicurezza».

Come giochi al gioco del marketing?

Di che cosa si tratta esattamente? Nel 1993 Volvo voleva ribadire il suo posizionamento di mercato come “auto sicura”. Venne allora l’idea di chiedere ai clienti se volevano raccontare la loro esperienza di incidenti potenzialmente mortali, ma che invece li avevano lasciati illesi grazie alle caratteristiche di sicurezza della loro Volvo.
Volvo ricevette tantissime lettere e scelse queste 8 storie da rappresentare in uno spot. In quest’ultimo, quindi, vedi le vere persone che, nelle date segnate in bianco nello spot stesso, hanno fatto un incidente che poteva essere mortale, ma che appunto si sono salvate grazie alla loro autovettura.

Il beneficio del prodotto è stato di poter vivere ancora, dopo quel giorno. Il prodotto ha donato loro altra vita. Hai i brividi? Io sinceramente sì. Ogni volta che penso a questo spot o lo rivedo (anche la realizzazione, così semplice e con una musica celestiale, aiuta l’effetto). Di per sé, promuovere la sicurezza di un’auto potrebbe sembrare una cosa noiosa o magari persino angosciante. Ma in questo caso sono andati oltre, sono andati a rappresentare cosa veramente significa la sicurezza di un’auto: che invece di morire, puoi vivere ancora. Semplice quanto essenziale. Non sono cambiati il prodotto o le caratteristiche, ma in questo caso siamo andati giù giù in profondità fino ad arrivare a valori primari come la vita e la morte. E questo ci porta all’argomento del presente articolo.

Nel marketing efficace, tu chiudi il cerchio.
Di per sé, i brand non dovrebbero far parte della nostra vita. Abbiamo bisogno di risolvere problemi e lo facciamo con prodotti e servizi. Un brand ci serve per semplificare la scelta. Diamo al brand dei valori che ci rassicurano, razionalmente ed emotivamente, sulla scelta. Perché, tuttavia, a volte ci affezioniamo così tanto ai brand? Perché li facciamo entrare nella nostra intimità, nel nostro sistema di valori?

Succede quando il messaggio di marca arriva a parlare ai nostri bisogni più importanti e profondi. In passato la psicologia è stata molto focalizzata sullo studio dei bisogni (la piramide di Maslow è probabilmente il lavoro più conosciuto). Oggi si parla maggiormente in termini di obiettivi e motivazioni, ma i bisogni dell’individuo rimangono un fattore chiave. Dato che se non soddisfi i tuoi bisogni, ossia quello che sai servirti, difficilmente puoi pianificare e progettare il “fuori da te”.
Secondo lo psicologo Gregg Henriques, si può identificare un bisogno primario: il bisogno che un individuo ha di essere conosciuto e considerato da sé stesso e da persone per lui importanti. In sintesi significa: abbiamo bisogno di nutrire la nostra autostima.

E tutto questo ha a che fare con il marketing e i brand? Certo, ha molto a che fare. Perché un brand è uno strumento alquanto efficace per sostenere la nostra autostima. È un riferimento artificiale a cui diamo potere di valutazione della nostra autostima. E non solo in base a quanto siamo capaci di trovare una soluzione a un problema (il che già sarebbe una cosa buona), ma spesso in assoluto.

Tipicamente, è il caso dei marchi di lusso, i quali ci confermano che siamo in grado di spendere, quindi di guadagnare, quindi di valere nella società. Ma sarebbe troppo semplice se tale effetto si limitasse ai brand di lusso. I brand possono essere simboli di valori in svariati campi:

simboli di stile e intelligenza;

simboli di sensibiità e di responsabilità;

simboli di originalità e di indipendenza;

simboli di razionalità e di affidabilità.

E molti altri campi.

Volutamente, non ho proposto dei brand d’esempio delle aree simboliche citate sopra: ti lascio riflettere per trovare eventuali corrispondenze che vadano bene per te. Piuttosto, ciò che voglio farti vedere è questo: l’efficacia del marketing richiede che noi “chiudiamo il cerchio” del messaggio di marca, confermando che è rilevante per noi, facendolo nostro, portandolo dentro di noi come supporto al nostro bisogno primario di autostima e rappresentazione del sé.
Nel caso dello spot Volvo, si è scatenato un valore ancora più primario e fondamentale: l’essere vivi. E per questo ritengo che sia una pubblicità davvero speciale. Quale ambito dell’autostima soddisfano le tue scelte di marca? Per l’auto? Per le vacanze? Per l’abbigliamento?

La pubblicità è un gioco, basta saperlo.
In un altro mio articolo su Psicologia contemporanea ho citato la “sospensione del dubbio”: quel meccanismo mentale che mettiamo in atto quando crediamo a un messaggio pubblicitario anche se a livello razionale sappiamo bene che probabilmente non è obiettivo.
Io credo che, come individui immersi nella società dei consumi, giochiamo anche noi – e non solo i produttori – al gioco del marketing. Insomma, siamo perfettamente in grado di valutare l’effetto che un messaggio pubblicitario vuole avere su di noi. Se è cattiva pubblicità, lo rigettiamo facilmente. Se è buona pubblicità, che appunto parla al nostro bisogno primario di autostima, siamo più aperti a vivere l’illusione. Ci conviene, ci gratifica.

Ma è un gioco. Lo vediamo quando siamo in vacanza e magari un po’ più attivi fisicamente: il gioco del marketing e dei brand ci sembra molto lontano, se non proprio totalmente dimenticato. In quei frangenti, infatti, viviamo la realtà prodotta dalle esperienze fisiche e dall’assenza di doveri. Tornati alla vita di tutti i giorni, troviamo ad aspettarci i brand, con i loro messaggi che comunicano al nostro bisogno fondamentale.
Non credo sia una cosa cattiva o da rigettare. È il gioco del marketing e, come tale, può essere giocato senza pericoli. Purché non venga confuso con la vita e con la verità.

Marco De Veglia è riconosciuto come il massimo esperto italiano di Brand Positioning. Dal 2009 vive negli Stati Uniti, prima a New York, attualmente a Miami, e da oltre venticinque anni aiuta le aziende italiane a ridefinire le loro attività di marketing.
marco@brandfacile.com
www.brandfacile.com/pc

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui