Roberto Escobar

CINEMA: Crash

Il recente restauro e la nuova distribuzione del film del 1996 Crash sono l’occasione per ripensare David Cronenberg,un cineasta che, novello Polifemo, riesce a vedere, come tutti i grandi artisti, da un occhio solo: il proprio.

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Ci sono autori che segnano un’epoca, forse perché ne esprimono l’immaginario, forse perché Partecipano alla sua creazione. David Cronenberg è tra loro, o lo è stato almeno fino al 2007, quando uscì La promessa dell’assassino. Poi vennero, purtroppo, A dangerous method (2011) e Cosmopolis (2012). Ora è stato restaurato e di nuovo distribuito il suo Crash, tratto nel 1996 da un racconto di James G. Ballard (quest’ultimo è anche il nome del protagonista del film). Abbiamo dunque l’occasione di ripensare il suo cinema e la sua poetica, spaesanti fino ad essere cruenti.

James (James Spader) si distrae alla guida della sua grossa berlina e causa uno scontro mortale. Subito dopo lo ritroviamo in un ospedale buio e improbabile, perso come un incubo nel vuoto di un aeroporto. In quel vuoto è ricoverata anche Helen (Holly Hunter), che era al fianco dell’uomo rimasto ucciso nell’incidente. Tra i due nasce un’attrazione permeata di un oscuro piacere fatto di vecchie cabriolet che ondeggiano insicure e di sangue versato sull’asfalto. La stessa commistione di coiti e fragore meccanico esplode tra James e la sua Catherine (Deborah Kara Unger).

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Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui