Giuseppe Riva

Applicazioni psicologiche della realtà virtuale

Vediamo i vari risvolti di quel surrogato di realtà sostanziale che è la realtà virtuale, dove si diventa protagonisti di simulazioni che altrimenti possiamo soltanto immaginarci. Motivo per il quale viene utilizzata anche nella cura di fobie e disturbi psicologici.

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La realtà virtuale è la protagonista del recente film di Steven Spielberg Ready player one. Grazie a Oasis, un sofisticato sistema di realtà virtuale, i futuri abitanti della terra sono in grado di evadere dalla banalità e dalla povertà della loro vita quotidiana. Basta indossare un casco virtuale e un paio di guanti interattivi per poter essere e fare quello che si vuole. Ma al di là della finzione cinematografica che cos’è davvero la realtà virtuale?

Da un punto di vista puramente tecnologico, la realtà virtuale è costituita da una serie di strumenti di input – sensori di posizione, guanti ecc. –  in grado di acquisire informazioni sulle azioni del soggetto, che vengono integrate e aggiornate in tempo reale da un computer o da uno smartphone, in modo da costruire un mondo tridimensionale in grado di adattarsi alle azioni dell’utente. 

Le informazioni visive, sonore e in alcuni casi anche tattili e olfattive relative a tale mondo sono poi mostrate al soggetto utilizzando degli specifici strumenti di output. In base agli strumenti di output impiegati – caschi, monitor o addirittura una vera e propria stanza virtuale – è possibile distinguere fra 3 tipi di realtà virtuale: quella immersiva, quella non immersiva e quella semi-immersiva (Cave Audio Visual Environment, CAVE). 

IL GRADO DI "IMMERSIONE" 

• La realtà virtuale è immersiva quando è in grado di creare un senso di assorbimento e isolamento sensoriale nell’ambiente tridimensionale generato dalla tecnologia. Questa sensazione viene generata mediante l’integrazione fra due diverse tecnologie. La prima è un dispositivo di visualizzazione, normalmente un casco (head mounted display), capace sia di visualizzare in due o tre dimensioni gli ambienti sintetici sia di isolare l’utente dall’ambiente esterno. La seconda integra uno o più sensori di posizione (tracker), per rilevare i movimenti dell’utente e trasmetterli al computer o allo smartphone, in modo che questo possa modificare l’immagine presentata nel dispositivo di visualizzazione in base ai movimenti del soggetto. Normalmente i sensori di posizione sono inseriti nel casco e rilevano i movimenti della testa. Tuttavia, diversi sistemi di realtà virtuale prevedono l’utilizzo di un guanto o di una tuta dotati di sensori di posizione.

• La realtà virtuale non immersiva sostituisce il casco con un normale monitor o con un videoproiettore. In questo caso l’impressione dell’utente è quella di vedere il mondo tridimensionale creato dal computer attraverso una sorta di “finestra”. In generale, i sistemi di realtà virtuale non immersiva consentono la visione stereoscopica indossando degli occhiali speciali. I più semplici hanno lenti di colore diverso – rosse e verdi, o rosse e blu – che forniscono all’osservatore due immagini leggermente diverse per ciascun occhio. Le soluzioni più avanzate ricorrono a otturatori a cristalli liquidi o alla polarizzazione della luce per ottenere immagini diverse per l’occhio destro e per quello sinistro. 

• La realtà virtuale semi-immersiva, infine, è una piccola stanza in cui le pareti, il soffitto e il pavimento vengono sostituiti da schermi retroproiettati. Questo tipo di realtà virtuale è chiamata anche CAVE, dal nome della prima installazione del genere realizzata agli inizi degli anni Novanta dall’Università dell’Illinois a Chicago. Il principale vantaggio di questa forma di realtà virtuale, che tecnicamente è la più costosa e complessa, è quella di permettere un elevato livello di immersione senza obbligare l’utente a cavi o all’uso dei caschi. Infatti nella stanza i movimenti dell’utente sono rilevati da appositi sensori esterni, consentendo di aggiornare in tempo reale l’ambiente tridimensionale visualizzato sulle pareti. Anche in questo caso è possibile utilizzare occhiali per la visione stereoscopica, in modo da dare all’utente l’illusione di essere in un vero e proprio ambiente tridimensionale.

Davanti a questa descrizione di tecnologie molto sofisticate la prima reazione è quella di pensare che i costi siano al di fuori della portata di uno psicologo. In realtà non è così. Un sistema immersivo avanzato basato su una piattaforma PC e con un casco semiprofessionale come un Oculus Rift o un HTC Vive ha un costo fra i 3000 e i 4000 euro. Mentre un sistema immersivo di qualità intermedia che utilizza gli smartphone Android di ultima generazione e un casco semi-professionale come il Samsung Gear VR o il Google Daydream costa, telefono compreso, intorno ai 1000 euro. Sono commercializzati da qualche mese anche dei caschi immersivi di qualità intermedia che non richiedono PC o smartphone per funzionare – Oculus Go e Lenovo Mirage Solo – e costano solo 2-300 euro. Infine esistono caschi del costo di qualche decina di euro (Google Cardboard) compatibili con qualsiasi telefono cellulare – Android e iPhone – che sono in grado di fornire esperienze virtuali semplici eppure capaci, come vedremo tra poco, di supportare efficacemente il lavoro dello psicologo.

DA OSSERVATORE AD ATTORE

Ma se acquisto la tecnologia, cosa posso poi farci con la realtà virtuale? Come sanno i lettori che hanno potuto sperimentarla, la realtà virtuale trasforma l’utente da osservatore di un’esperienza in protagonista della stessa esperienza. Infatti, gli utenti di un sistema di realtà virtuale non sono più passivi ricettori di informazioni – come avviene al cinema o davanti al televisore –, ma con le proprie scelte e azioni sono in grado di modificare in tempo reale i contenuti della propria esperienza. In quest’ottica la realtà virtuale può essere considerata un’interfaccia “esperienziale”, in cui la componente percettiva (visiva, tattile, cinestetica) si fonde con l’interattività. L’interazione fra questi due aspetti genera quello che viene definito “senso di presenza”: la sensazione di essere “dentro” l’ambiente virtuale anche se fisicamente ci troviamo in uno spazio differente.

Il ruolo attivo dell’utente e il senso di presenza che è in grado di offrire permettono alla realtà virtuale di essere utilizzata con successo in numerosi ambiti di interesse della psicologia, che spaziano dalla formazione alla terapia. Nell’ambito della formazione, la principale opportunità offerta dalla realtà virtuale è la possibilità per lo studente di partecipare attivamente nella creazione e nello sviluppo della propria conoscenza: l’apprendimento è legato allo “scoprire” e al “fare” in prima persona. La realtà virtuale, infatti, permette di “conoscere il mondo” mediante un apprendimento di tipo senso-motorio, più naturale per l’essere umano, rispetto all’apprendimento di tipo simbolico-ricostruttivo, mediato dalla scrittura.

Da qualche anno, però, la realtà virtuale ha cominciato ad apparire anche all’interno del sistema scolastico, grazie all’impegno di Google (per una descrizione più dettagliata delle diverse applicazioni disponibili si veda il sito http://virtualrealityforeducation.com). Per esempio, Google ha lanciato il programma VR Expedition, che consente agli studenti, installando l’App dedicata sul proprio cellulare (per Android, scaricabile qui: https://goo.gl/2qCyqm, mentre per iOS scaricabile qui: https://goo.gl/GjNTto) e acquistando un casco virtuale da 10 euro, di condurre o partecipare a viaggi in tutto il mondo immergendosi nella realtà virtuale.

Progettato per l’uso scolastico e per essere impiegato in piccoli gruppi, Google Expedition dà modo all’insegnante di fare da “guida” a classi di studenti-esploratori in una serie di siti famosi – dalla Torre Eiffel all’Himalaya – permettendo di trasformare la geografia in un’esperienza coinvolgente.

L'UTILIZZO PER I DISTURBI PSICOLOGICI

La componente esperienziale della realtà virtuale può essere sfruttata con successo anche nel trattamento di diversi disturbi psicologici. Come racconto in un articolo scientifico che raccoglie le meta-analisi e gli studi controllati più recenti in tale ambito, la realtà virtuale risulta essere efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e dello stress, del dolore acuto e dei disturbi dell’immagine corporea associati a obesità e disturbi alimentari. Il principale ambito di utilizzo clinico della realtà virtuale riguarda i disturbi d’ansia

Un elemento importante nelle terapie di questi disturbi è l’esposizione controllata del paziente agli stimoli che inducono l’ansia, per ridurne l’intensità emotiva. In pratica, posso densensibilizzare un soggetto con la paura di volare abituandolo progressivamente alle emozioni che prova salendo sull’aereo e durante la fase di decollo. Quando l’esposizione diretta (in vivo) non è possibile, l’efficacia della tecnica dipende dalla capacità del paziente di produrre le immagini mentali che vengono indotte dal terapeuta; ma non tutti i soggetti riescono a immaginare ciò di cui hanno paura. Grazie alla realtà virtuale, è possibile creare contesti e situazioni che il paziente può sperimentare personalmente e capaci di produrre risposte emotive simili a quelle ottenibili con stimoli reali. Inoltre, la tecnologia consente con facilità di graduare la complessità e la qualità degli stimoli, facilitando la progressiva estinzione della fobia. 

Un’altra possibilità interessante offerta dalla realtà virtuale in ambito clinico è legata agli effetti prodotti dalla realtà virtuale immersiva sulla percezione corporea: la realtà virtuale modifica l’esperienza corporea facilitandone il cambiamento (per maggiori informazioni si veda https://goo.gl/fKkdCD). Tale processo, attualmente in fase di sperimentazione all’Istituto Auxologico Italiano, è di grande aiuto all’interno delle terapie dei disturbi alimentari, in cui il disturbo dell’esperienza corporea è uno degli elementi critici per lo sviluppo e il mantenimento del disturbo.

Un’altra applicazione della realtà virtuale rilevante per la psicologia è poi la riabilitazione (si veda https://goo.gl/ppe7Rm). Dato che la riabilitazione deve consentire al paziente di riappropriarsi delle capacità di programmare, eseguire e controllare sequenze di azioni e comportamenti complessi, pur continuamente adattati allo svolgersi della vita quotidiana, la realtà virtuale risulta particolarmente indicata per tale scopo. Permette inoltre di costruire scenari spaziali e temporali realistici, dei quali ci si può avvalere per ampliare la sensibilità diagnostica dei test carta e matita.

Dopo questa breve carrellata è evidente capire che la realtà virtuale offre allo psicologo strumenti di valutazione e intervento del tutto nuovi e molto efficaci, con un costo alla portata di tutti. Tuttavia le barriere all’entrata sono due.

La prima è la limitata disponibilità commerciale di prodotti pensati per la clinica. La maggior parte delle applicazioni cliniche della realtà virtuale sono nate e utilizzate all’interno di università e centri di ricerca – Università Cattolica, Università di Padova, Istituto Auxologico Italiano, Istituto Don Gnocchi, Fondazione Santa Lucia, Istituto San Camillo, Istituto Eugenio Medea – e non sono disponibili per il singolo terapeuta.

Solo da qualche mese alcune società –Idego, Softcare Studios e Psious, con sede in Spagna – hanno iniziato a distribuire soluzioni di realtà virtuale pensate proprio per l’uso clinico. Per esempio, Idego vende a 260 euro l’una una serie di applicazioni per la terapia dei disturbi ossessivo-compulsivo, di claustrofobia e agorafobia, e per la riabilitazione cognitiva. Invece Psious, con un abbonamento di 1000 euro all’anno, offre l’accesso a un sistema integrato di gestione e trattamento del paziente, formazione dedicata e una serie di applicazioni per il trattamento del disturbo d’ansia e dello stress mediante biofeedback.

La seconda barriera da superare è la mancanza di formazione su questi temi. Perciò è fondamentale che le università e le scuole di psicoterapia riescano a integrare la comprensione e lo studio di tali strumenti all’interno dei propri curricula formativi.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 270 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui