Ferdinando Salamino

Aiuto, mi si stressa la coppia!

L’adattamento come una sfida da vincere in due. Partendo dalla trama di tre celebri film, vediamo quali possono essere gli elementi di stress di una coppia, un’entità che è sempre più della somma dei suoi componenti. 

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Bill e Alice sono una coppia dell’alta società. Belli, giovani, benestanti e con una meravigliosa bambina, Elena, che amano entrambi profondamente. Durante una festa organizzata da un amico, i due vengono approcciati da affascinanti sconosciuti e, pur resistendo alla tentazione, l’evento dà inizio a una profonda crisi di coppia, una vera e propria escalation conflittuale che li porterà alle soglie di una frattura definitiva.

Harry e Sally sono i migliori amici l’uno per l’altra da anni, e quando si ritrovano dopo un po’ di tempo, senza averlo in alcun modo pianificato, sono travolti dall’attrazione reciproca. Da quel momento è un fiorire di fughe precipitose, riavvicinamenti mancati e scuse inaccettabili, fin quasi a distruggere non soltanto quell’amore nascente, ma il tessuto stesso di una pluriennale amicizia.

Arnold e Kay sono una coppia sposata da molti anni, con una solida ma stanca routine. Di fronte ai tentativi di Kay di vivacizzare il rapporto, inclusa una dispendiosa e intensiva terapia residenziale, Arnold reagisce chiudendosi a riccio, incapace di esprimere una rabbia che pure traspare, evidente e inarrestabile, in ogni suo gesto e soprattutto nei gesti mancati.

Queste tre storie sono tratte da piccoli e grandi capolavori del cinema, nell’ordine Eyes wide shut di Stanley Kubrick (1999), Harry, ti presento Sally di Rob Reiner (1989), Il matrimonio che vorrei di David Frankel (2012), e hanno in comune un denominatore che le avvicina, pur nella spettacolarizzazione della finzione cinematografica, a tante coppie che incontriamo nella vita di tutti i giorni, oltre che nella pratica terapeutica. In tutti e tre i casi, infatti, ravvisiamo i segni di un malessere che non può essere attribuito a questo o quel membro della coppia, ma proprio alla coppia stessa, intesa come essere vivente con un proprio ciclo vitale

Nel primo caso, i giovani coniugi si trovano di fronte al compito di rinegoziare le reciproche percezioni e rivedere il patto di coppia. Alice cerca di reintrodurre la dimensione del rischio e del desiderio passionale, scontrandosi con le resistenze di Bill, impegnato a mantenere lo status quo. È una crisi dovuta a un, forse maldestro, tentativo di rilancio della dimensione romantica e sensuale della coppia, contro la forte tensione verso l’equilibrio e la stabilità familiari. Questo tipo di conflitto sembra trascendere in parte le caratteristiche di ciascun partner, rappresentando un dilemma che la coppia è chiamata a risolvere insieme. Entrambe le istanze, passione e stabilità, rivestono ancora importanza vitale per entrambi, così come la sofferenza che ne deriva.

Nel secondo caso, la delicata transizione da un’amicizia di tanti anni genera una situazione di sofferenza e disequilibrio, un vero e proprio stato di tensione che ciascuno tenta di risolvere attraverso iniziative individuali, con l’unico risultato di aggravare la situazione. La crisi che si presenta di fronte a questi due (ex) amici appare legata a un bisogno, sia pur vissuto con ambivalenza e titubanza, di trasformare la natura di un legame introducendo la dimensione dell’intimità.

Nell’ultima situazione descritta, il silenzio e la passività di Arnold, inizialmente percepiti come pura pigrizia e assenza di interesse, rivelano a poco a poco un rancore sopito ma non estinto, una difficoltà a perdonare che ha inchiodato entrambi i coniugi a una consuetudine senza via d’uscita. In quest’ultimo caso la crisi è innescata dal venire allo scoperto di dimensioni latenti, avvertite, ma mai fino in fondo riconosciute, dai partner.

Una coppia si può stressare? Possiamo parlare di “stress della coppia”, in questi tre casi? Il senso comune probabilmente suggerirebbe di no. Siamo infatti portati a considerare lo stress come una risposta individuale a una difficoltà di adattamento, una reazione dell’organismo a uno stato di tensione irrisolto. Eppure, se analizziamo a fondo il significato del termine, ci renderemo conto che anche una coppia, come qualsiasi organismo vivente, può sperimentare situazioni di stress in diversi momenti del proprio ciclo vitale.

La radice della parola “stress” ha origine ai tempi degli antichi romani, ma soltanto verso la metà del Novecento il termine comincia ad assumere i connotati con cui oggi lo conosciamo. Nel suo significato originario, “stress” significa “sforzo”, ma anche “accento” o “enfasi”, pertanto la natura del lemma danza sospesa a metà tra due differenti orizzonti di senso: quello della fatica, talora eccessiva, e quello dell’importanza. Possiamo così immaginare lo stress – e questa è l’accezione che il termine assumerà nel futuro – come uno stato di tensione che, se protratto troppo a lungo, può avere conseguenze nocive per un qualsiasi organismo vivente.

Tuttavia, tenendo a mente la duplice sorgente di significato, lo stress sottolinea anche momenti di grande importanza, legati al perseguimento di obiettivi fondamentali (o al pericolo di una loro perdita). Per questo motivo, i recenti orientamenti distinguono spesso tra eustress (cioè una situazione di tensione e sforzo cui l’organismo può far fronte con successo) e distress (caratterizzato da impotenza e inefficacia).

Come si applica tutto ciò alla vita di coppia? Se consideriamo la coppia nella sua natura di organismo vivente, possiamo renderci conto di come essa possieda:

1. un proprio codice genetico, caratterizzato dal vissuto individuale e dall’intreccio delle vicende, personali e familiari, di ciascuno dei partner;

2. una propria storia, differente dalle rispettive storie individuali dei due membri, attraverso la quale la coppia costruisce la propria identità, i valori e patti espliciti e impliciti;

3. un compito esistenziale che si dispiega attraverso differenti fasi di un ciclo vitale che può condurla di fronte alla necessità di rinegoziare regole, ruoli e confini.

I tentativi di ripatteggiare dimensioni fondamentali della vita di coppia – come accade a Bill e Alice –, di transitare da una fase all’altra del ciclo vitale – come nel caso di Harry e Sally – o di fronteggiare aspetti sottaciuti del patto implicito alla base di un’unione – analogamente ad Arnold e Kay – sono tutti potenziali fonti di stress di coppia che riscontriamo nel quotidiano di unioni reali.

 

Stress di coppia e coping diadico: due esempi clinici

Per questo motivo, diversi autori (Bodenmann, 2005; Iafrate et al., 2012; Donato, 2014) utilizzano l’espressione “coping diadico” (traducibile letteralmente con “adattamento”; il termine “coping” è utilizzato in psicologia per rappresentare le modalità tramite le quali gli individui tentano di rispondere e adattarsi a una situazione che ne mette a rischio l’equilibrio) per rappresentare le strategie che una coppia pone in essere per fronteggiare queste tipologie di stress e che, benché ovviamente connesse al funzionamento individuale di ciascuno, sono in tutto ascrivibili alla coppia.

Il coinvolgimento degli “altri” significativi nella gestione di una crisi è oramai aspetto riconosciuto da più parti, ma l’idea di coping diadico rappresenta un passo ulteriore, mettendo in luce come tale modalità di gestione possa costituirsi quale pattern di risposta stabile, divenendo a tutti gli effetti elemento essenziale dello stile e della “personalità” della coppia.

Trasferiamoci dal cinema al mondo reale e prendiamo il caso di Gianni e Marzia, stimati professionisti nel settore delle comunicazione, sposati e vicini ai 50 anni. I due chiedono una terapia di coppia a causa di una grave crisi dovuta alla difficoltà di conciliare la dimensione “a due” con gli obblighi e i doveri che entrambi sentono di avere come genitori. Gianni e Marzia hanno infatti due figli ciascuno, avuti da matrimoni precedenti. 

Gianni racconta di aver conosciuto Marzia come collega, instaurando con lei un’intesa fortissima, subito sfociata in attrazione erotica. Marzia conferma e aggiunge che l’innamoramento è giunto inevitabile, spontaneo, irresistibile. Entrambi raccontano le difficoltà e gli struggimenti di condurre per anni una relazione clandestina, un «matrimonio parallelo», come lo definisce Gianni, scegliendo di rimanere nelle rispettive famiglie per amore dei figli, ritenuti troppo piccoli per affrontare una separazione.

Quando, quasi dieci anni più tardi, decidono finalmente di concedersi una possibilità alla luce del sole, sono pieni di speranze e aspettative, convinti che il loro amore potrà finalmente esprimersi appieno, libero da impedimenti. Le cose, però, non vanno come sperato. I rispettivi figli non legano tra loro, dando vita a una sorta di guerra tra le parti nella quale Gianni e Marzia si sorprendono a sostenere ciascuno le ragioni della propria prole, sminuendo il partner e minando la solidità della relazione. «Facciamo squadra ciascuno coi propri figli, invece che tra noi» ammetterà Gianni, sconsolato, nel corso di un’intensa seduta.

La situazione di Gianni e Marzia è per certi versi simile a quella di Harry e Sally, poiché pare che lo stress in questa coppia sia legato a una difficile transizione da una fase all’altra del ciclo vitale – ossia da amanti a coniugi –, una transizione resa però più complessa dalla presenza dei figli, che in qualche modo costituiscono per entrambi un richiamo alle famiglie precedenti.

Molti dei problemi riportati sono riconducibili alle tipiche reazioni degli individui in situazione di stress: tachicardia frequente (Marzia), irritazione del tratto gastro-intestinale (Gianni), senso di impotenza e ansia (entrambi). 

Se esaminiamo la situazione da un punto di vista esterno, ci rendiamo conto che sia Marzia sia Gianni stanno tentando di risolvere quello che appare come un vero e proprio stress di coppia, mediante strategie del repertorio individuale. Gianni mette in campo severità e rigore, Marzia dialogo e capacità di mediazione, ma nessuna di queste strategie sortisce l’effetto di abbassare il livello di conflittualità tra i loro ragazzi. Al contrario, i due si trovano spesso a battibeccare su chi sia il figlio che genera maggior disturbo, prendendo ciascuno le difese dei propri.

Eppure, è proprio nella coppia che si trova la soluzione al problema dei due. Per anni, Gianni e Marzia hanno dovuto gestire una duplice lealtà, costruendo una relazione amorosa mentre cercavano di mantenere delicati equilibri familiari. Nel farlo si sono spesso aiutati, svolgendo uno le commissioni dell’altra e dandosi suggerimenti e consigli su come aiutare questo o quel figlio in difficoltà. Attualmente, la loro strategia consiste nel proteggere ciascuno il proprio pezzo di famiglia, tenendolo separato da quello dell’altra, ma è proprio nella mescolanza, nella solidarietà e nella capacità di agire “come una squadra” che risiede la loro risorsa maggiore, appresa in anni di equilibrismi non solo sentimentali, ma anche logistici.

Quando suggerisco loro di “mescolare le carte”, spendendo sempre più tempo ciascuno coi figli dell’altro, i due sono inizialmente perplessi, ma accettano perché «oramai siamo disperati».

Nel giro di poche settimane, la “solidarietà incrociata” tra genitori e figli dà frutti preziosi e insperati. Non soltanto per i ragazzi risulta più difficile litigare tra loro, sapendo di dare un dispiacere ad adulti che cominciano a considerare punti di riferimento, ma anche Gianni e Marzia riscoprono a poco a poco i lati migliori l’uno dell’altra. «Gianni è fantastico con il mio primogenito, hanno le stesse passioni e si capiscono al volo!» confesserà Marzia con un sorriso nel corso di una delle sedute conclusive.

Nell’esempio che ho riportato, è il passaggio da un coping individuale, basato su strategie isolate, a uno di coppia, fondato su una qualità acquisita nel corso della propria storia come partner, a promuovere la risoluzione della situazione stressante.

Analizzare lo stress e i tentativi di coping all’interno della coppia da un punto di vista atomistico e individualista è infatti una pratica pericolosa Donato (2014). La definizione dello stress quale fenomeno individuale si fonda sul concetto di adattamento. Da un punto di vista neurofisiologico, la risposta stressogena è prodotta dal tentativo di un individuo di adattarsi a una nuova sfida posta dall’ambiente in cui vive. Tale visione è senza dubbio corretta, poiché anche gli esseri umani, al pari di ogni altro mammifero, traggono dall’adattamento all’ambiente le proprie possibilità di sopravvivenza.

Occorre tuttavia domandarsi che cosa significhi il concetto stesso di “adattamento”, tradotto nel contesto umano. A differenza di altre specie animali, infatti, noi non siamo nati provvisti di alcuna arma naturale, di alcuna difesa ambientale. L’essere umano è privo di artigli e ha una massa muscolare inferiore a quella di altri predatori; non possiede ali per sfuggire alle aggressioni, né è dotato di una corazza particolarmente spessa. L’adattamento umano appare un compito impossibile, in termini individuali. Al contrario, la migliore strategia di sopravvivenza alla crisi è sempre stata quella di connettersi con gli altri, creando gruppi, società, imperi, e ovviamente coppie e famiglie. Appare pertanto ben fondata la posizione di autori quali quelli fin qui citati, di analizzare lo stress come un fenomeno gruppale non confinato al singolo individuo. 

 

Una scoperta analoga tocca a Marcello e Annalisa, coppia di docenti universitari che decide di intraprendere una terapia per i problemi che Annalisa sperimenta con Miguel, figlio quindicenne adottato sette anni prima.

Marcello riferisce che tra Annalisa e Miguel non si è creato l’attaccamento che speravano, e cita ad esempio un’indole schiva del ragazzo, refrattario alle numerose richieste di baci e abbracci della madre. Miguel è molto bravo a scuola e piuttosto ben inserito nella famiglia, ma parla poco, non ama confidarsi e preferisce trascorrere il proprio tempo fuori casa, con gli amici, piuttosto che in situazioni familiari. Nell’ascoltare il racconto di Marcello, punteggiato dalle numerose conferme di Annalisa, mi rendo conto che non ci troviamo di fronte a difficoltà di attaccamento, bensì ad atteggiamenti consoni all’età, sorretti perdipiù da un ottimo comportamento sia a scuola che a casa. 

Annalisa racconta di aver adottato Miguel quando il figlio biologico Antonio aveva cominciato la prima superiore, sperando «di avere nuovamente un piccolo da coccolare». Purtroppo per lei, Miguel si era rivelato ben presto assai autonomo e poco propenso a recitare la parte del cucciolo.

Annalisa si dice estremamente «stressata» dalla situazione e dalla mancanza di aiuto da parte di Marcello, il quale si difende sostenendo che il legame tra una madre e un figlio è un legame esclusivo nel quale il padre non ha alcun ruolo. Marcello aggiunge che Annalisa prende sempre tutto molto a cuore, ed è soggetta a stress tanto sul lavoro quanto in famiglia. Le parole di Marcello appaiono avvalorate da un esame clinico, poiché Annalisa manifesta diversi sintomi da stress, tra i quali insonnia, perdita dell’appetito e una costante tensione alle spalle e al collo, che non è alleviata dalle frequenti e costose sessioni di massaggio.

Analogamente alla situazione precedente, Annalisa è lasciata sola a fronteggiare la propria sfida di adattamento, potendo contare solo sulle proprie strategie di coping, fino a quel momento inefficaci.

Eppure, appare evidente che per Marcello e Annalisa, non diversamente da Bill e Alice, è giunto il momento di rinegoziare e rilanciare il proprio patto di coppia. Con la crescita di Antonio e la sua progressiva fuoriuscita dalla posizione di cucciolo, la coppia si è trovata a fronteggiare un vuoto affettivo e una carenza comunicativa, avendo fin lì principalmente investito le proprie energie sulla funzione genitoriale.

Incapaci di affrontare direttamente la situazione, i due tentano di colmare quel vuoto, percepito soprattutto da Annalisa, con un nuovo “cucciolo”, ma paradossalmente l’indole autonoma e il buon adattamento di Miguel rendono impossibile tale strategia. Annalisa tenta di venire a capo della situazione concentrandosi sul figlio “sfuggente”, mentre Marcello si isola nei propri interessi personali, accettando un ruolo di corpo estraneo al rapporto tra madre e figlio.

Sarà solamente attraverso il recupero di una dimensione comunicativa di coppia, e il conseguente rilancio di una dimensione romantica tra i coniugi, che il cosiddetto “problema di attaccamento” verrà risolto e i sintomi da stress di Annalisa cominceranno a svanire.

 

Conclusioni

Negli esempi riportati ho tentato di evidenziare come l’idea, presente sia nel senso comune che in diversi articoli scientifici, dello stress quale problematica individuale possa talora essere fuorviante e limitante in termini di prospettive terapeutiche. 

La naturale tendenza dell’essere umano a creare connessioni e legami con i propri simili rende infatti assai plausibile l’ipotesi che in molte situazioni lo stress avvertito dai singoli sia in realtà il risultato di una tensione di coppia, legata al rischio di fallire in alcuni compiti esistenziali, quali le delicate transizioni del ciclo vitale di coppia e la necessità che talvolta si presenta di rinegoziare e rilanciare il patto fra i partner.

Se lo stress può avere origine nella coppia, spesso anche la soluzione non è da ricercarsi nelle strategie individuali, ma nella capacità dei partner di attingere alle risorse maturate nel corso della propria vita in comune, dando vita a un vero e proprio “coping à deux”. In tal senso, favorire la comunicazione aperta, lo scambio affettivo e il recupero della dimensione duale del noi è un elemento essenziale e irrinunciabile sulla via del benessere.

 

Riferimenti bibliografici

Bodenmann G. (2005), «Dyadic coping and its significance for marital functioning». In T. A. Revenson, K. Kayser, G. Bodenmann (Eds.), Couples coping with stress.Emerging perspectives on dyadic coping, APA, Washington, pp. 33-50.

Donato S. (2014), «Il coping diadico, ovvero far fronte allo stress insieme», Giornale Italiano di Psicologia, XLI/03, 473-501, doi: 10.1421/78499

Iafrate R., Bertoni A., Donato S., Finkenauer C. (2012), «Perceived similarity and understanding in dyadic coping among young and mature couples», Personal Relationships, 19 (3), 401-419, doi: 10.1111/j.1475-6811.2011.01369

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui