Giorgio Nardone

Relazioni che avvelenano, relazioni che guariscono

Spesso ciò che ci esalta è anche ciò che ci fa più soffrire. Questo vale pure per le relazioni complesse, pronte, come il “pharmakon” greco, a indicare sia “la medicina” che “il veleno”.

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Tutto ciò che può darci il meglio è in grado anche di darci il peggio: si pensi all’estasi dell’innamoramento e alla tragedia della perdita di colui/colei che amiamo; è proprio ciò che più ci riempie che può farci sentire, in sua mancanza, totalmente svuotati. Pertanto, quando si tratta di “relazioni tossiche” non si può sottovalutare che esse sono, nella maggioranza dei casi, il rovescio della medaglia di quelle che “risanano”, o che alternano nei loro effetti sensazioni forti piacevoli a sensazioni di disgusto e dolore. Spesso il confine tra piacere e disgusto è così sottile che l’alternanza tra le due sensazioni diviene una travolgente emozione a cui è difficile rinunciare, una volta che la si è sperimentata.

Relazioni che avvelenano, relazioni che guariscono

Questo è il caso di alcune importanti patologie, come l’anoressia nervosa o il vomiting, le parafilie e le dinamiche di coppia sadomasochiste. Difatti, il termine “tossiche” non indica qualcosa di disgustoso ma qualcosa che avvelena, e niente rende più pericoloso un veleno del suo essere piacevole quando lo si assume, basti pensare alle droghe, al fumo e all’alcol.

Il massimo della tossicità anche di una relazione è rappresentato dal suo alternare in maniera ambivalente piacere e dolore, desiderio e rifiuto, calore e freddezza, complicità e rivalità, accordo e conflitto. Mai si deve dimenticare che le nostre percezioni sono rese più intense dal contrasto tra le sensazioni, perché il nostro sentire è attivato dai cambiamenti, e non dal mantenersi di uno stimolo. Anzi, è ben noto ai fisiologi – meno alla gente comune – che anche il più piacevole tra gli stimoli, se costantemente mantenuto, si affievolisce nei suoi effetti, in quanto la nostra percezione di esso subisce l’ottundimento dei sensi che si assuefanno alla sua presenza continuata. Come affermava provocatoriamente Oscar Wilde, «Non c’è nulla di più tragico di una serie continuativa di giorni felici». Ciò conferma che il mantenersi di una relazione felice è basato sull’alternanza e sui contrasti emozionali che scaturiscono da stimoli mai costantemente presenti, bensì assenti e poi presenti, travolgenti e poi tenui, piacevoli ma talvolta anche un po’ dolorosi.

Nelle relazioni cosiddette “tossiche” tutto ciò è estremizzato ed esasperato e, secondo le parole stavolta del filosofo francese Jean de La Bruyère, «Ogni cosa all’eccesso diventa perniciosa». Ossia anche la migliore delle pozioni, condotta al suo estremo, diviene tossica; infatti, una medicina in sovradosaggio diventa un veleno. Ma questo non vale solo per la chimica o la biologia, anzi vale ancor di più per una relazione interpersonale ove, per esempio, l’eccesso di attenzioni amorevoli si trasforma in soffocamento relazionale o la condivisione totale rende morboso un rapporto.

Paul Watzlawick, già negli anni Sessanta, illustrava uno dei principi fondamentali delle dinamiche relazionali: all’interno di una relazione non possono coesistere complementarietà e simmetria. La complementarietà è l’espressione di una dinamica a incastro della relazione interpersonale: i due soggetti si integrano e si mantengono a vicenda nel loro stato. Ciò, erronea­mente, può far pensare a un’idilliaca forma di rapporto basato sullo scambio e sul supporto reciproci, ma purtroppo questa è anche la tipologia di relazione tra vittima e aguzzino. La simmetria, invece, è rappresentata dall’autonomia, indipendenza e distanza tra i due membri della relazione. Ciò potrebbe far pensare a un’atmosfera ben poco romantica, di freddezza e distacco, ma in realtà rappresenta anche il rispetto dell’altro e delle sue differenti modalità di percepire e reagire alle cose.

Il “maestro” Watzlawick sostiene che una relazione funzionale si basa sull’equilibrata alternanza delle due prerogative di base di un rapporto interpersonale: l’eccesso di presenza dell’una o dell’altra sbilancia pericolosamente la dinamica, rendendola disfunzionale o perfino patologica.

Tale assunzione, comprovata non solo dalla ricerca clinica, ma anche dalla semplice osservazione di un’interazione di coppia o tra amici e colleghi, conduce, per converso, a considerare che se si deve risolvere un conflitto, superare un’insoddisfazione o addirittura guarire una patologia all’interno di una relazione bisogna, prima di tutto, rilevare la dinamica tra complementarietà e simmetria. Una volta valutatala, si deve correggere lo sbilanciamento in una delle due direzioni: cioè, se abbiamo un eccesso di complementarietà, introdurre modalità relazionali simmetriche; al contrario, se si rileva un eccesso di simmetria, attivare maggiore complementarietà.

Questa logica dell’intervento rappresenta un vero e proprio “riduttore di complessità” della relazione senza frantumarne l’esistenza e il suo esprimersi, nonché permettendo, con un po’ di maestria terapeutica, di trasformare la “tossicità” di un rapporto in un’interazione benefica e compiaciuta, poiché ne riequilibra l’alternanza tra simmetria e complementarietà, scongiurando il rischio che si stabilisca quell’eccessiva costanza che, come abbiamo detto, finisce per intossicare anche la più bella delle relazioni. 

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua creatività che per il suo rigore metodologico.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 280 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui