Roberta Milanese, Simona Milanese

La comunicazione medico-paziente

Uno scambio non frettoloso, chiaro, senza troppi tecnicismi e soprattutto ricco di empatia contribuisce all’efficacia dell’intervento medico, oltre che alla soddisfazione del paziente. Ecco perché la comunicazione è uno strumento terapeutico a tutti gli effetti.

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Per Ippocrate, padre della medicina, erano tre gli elementi fondamentali dell’agire del medico: «il tocco, il rimedio, la parola». Ed effettivamente, per 2400 anni, potendo contare su ben pochi rimedi dalla scarsa efficacia, i medici hanno dato notevole attenzione agli aspetti comunicativi e relazionali con il paziente, utilizzando le proprie abilità suggestive e persuasorie per favorirne la guarigione.

Questa antica sapienza si è andata purtroppo perdendo con l’avvento della moderna medicina scientifica, che, se da un lato offre indagini diagnostiche raffinate e terapie efficaci per molte condizioni, dall’altro ha perso di vista l’importanza dell’incontro con il malato. Difatti, da quando la medicina ha finalmente cominciato ad avere a disposizione i rimedi, la relazione medico-paziente è paradossalmente peggiorata. Lo testimonia la scarsa compliance dei pazienti rispetto alle indicazioni mediche, che si assesta tra il 50 e il 70% per le prescrizioni farmacologiche, scendendo drammaticamente al 10% per le indicazioni dietetiche, fino a crollare a un misero 2% relativamente all’indicazione di interrompere l’uso di sostanze dannose come il tabacco. Il fatto che alcuni pazienti non seguano quanto indicato loro dallo specialista comporta inevitabilmente una riduzione dell’efficacia dell’intervento medico: a poco vale, infatti, che il medico sia in grado di effettuare una diagnosi corretta e impostare una terapia efficace se non riesce a far sì che il paziente poi la metta in pratica, nel modo corretto e per il tempo adeguato.

Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che le abilità comunicative del medico sono fondamentali nell’influire sulla compliance dei pazienti. La parola, quale veicolo fondamentale di persuasione e influenzamento, deve quindi recuperare il suo ruolo centrale nel processo di cura medica, in supporto a tutti i meravigliosi avanzamenti tecnici compiuti dalla medicina scientifica, entrando a far parte a pieno titolo del bagaglio professionale dei medici e del personale sanitario in generale.

I PRINCIPALI ERRORI COMUNICATIVI DEL MEDICO

La prima ricerca condotta sui problemi riscontrati dai pazienti nella relazione con il medico risale agli anni Settanta del Novecento. Gli intervistati riferivano che i principali errori comunicativi del medico riguardavano la carenza delle informazioni date, la sua scarsa partecipazione emotiva e il ruolo passivo conferito al paziente. In un sondaggio italiano del 2007 il panorama non sembra essere cambiato: le persone riportano come motivi principali di insoddisfazione i troppi tecnicismi usati, le informazioni non chiare e la scarsa empatia e partecipazione umana. Negli ultimi quarant’anni, quindi, l’immagine dei sanitari non è purtroppo migliorata, complici i programmi di laurea delle facoltà di Medicina che raramente prevedono corsi specifici di comunicazione efficace.

LA FRETTA

Potremmo definire la fretta “la madre” di tutti gli altri errori, poiché nella pratica clinica i problemi comunicativi più frequenti emergono quando il paziente non si sente ascoltato e considerato. Il tempo medio di una visita medica si aggira intorno ai 10-15 minuti, un tempo molto ridotto rispetto alla complessa attività che il medico deve svolgere. Non stupisce, quindi, che questi cerchi di non lasciare troppo spazio al paziente, temendo che gli rubi tempo per quella che ritiene essere la parte più importante del suo lavoro, ovvero formulare una diagnosi e una strategia di trattamento. È stato stimato che i medici interrompono l’esposizione dei sintomi da parte dei pazienti al ventiduesimo secondo. Peccato, perché di solito i pazienti concludono il racconto entro un minuto e mezzo, massimo due, menzionando spontanea­mente il 75% dei sintomi. Oltre a far perdere informazioni importanti, interrompere il paziente ha anche un impatto negativo sul piano emotivo, dal momento che questi non si sentirà ascoltato e avrà la percezione che l’altro sia troppo freddo e distaccato. Anche le spiegazioni date al paziente risentono di questo atteggiamento frettoloso: pare che i medici dedichino poco più di un minuto a tale aspetto, che risulta invece fondamentale per la compliance. Il risparmio di tempo a cui il medico ambisce, inoltre, è solo apparente: basti pensare che 1 paziente su 5 introduce nuovi problemi alla fine dell’incontro («A proposito, dottore...») obbligando il medico a riaprire la visita, con un notevole dispendio di tempo e di energia. Con le parole del giornalista Roberto Gervaso: «Niente ci fa perdere più tempo della fretta».

IL “MEDICALESE”

Tra le caratteristiche particolarmente disfunzionali della comunicazione medica c’è l’eccessivo uso del linguaggio tecnico-specialistico che, se per chi ha studiato medicina appare chiarissimo, per gli altri può essere causa di scarsa comprensione o confusione. Ecco che i vasi sanguigni non sono liberi ma «pervi», una banale febbre diventa «rialzo termico», il paziente che sente un forte dolore alla pancia «accusa algie severe nella regione epigastrica», e così via. Anche l’abuso di termini anglosassoni nel linguaggio medico contribuisce a questa confusione (day surgery, core-biopsy, follow-up). Tutti questi aspetti si rifletteranno inevitabilmente in una scarsa aderenza del paziente, dovuta alla difficoltà di comprendere e ricordare quanto detto dal medico. Il tutto complicato dal fatto che i medici tendono a sovrastimare la conoscenza del linguaggio specialistico da parte dei pazienti, che raramente dichiarano di non aver compreso, per imbarazzo o paura di apparire ignoranti.

L’uso del “medicalese” corre anche il rischio di mettere in soggezione il paziente, contribuendo a incrementare la sua percezione di distanza emotiva e scarsa empatia da parte del medico. Adattare il proprio linguaggio a quello del paziente, senza pretendere che sia lui a sforzarsi di comprendere il nostro linguaggio, è invece fondamentale per ottenere una comunicazione efficace. Come ci ricorda Lichtenberg: «Tutto va imparato non per esibirlo, ma per utilizzarlo».

L’EMPATIA, QUESTA SCONOSCIUTA

L’empatia è la capacità di sapersi calare nel punto di vista di un’altra persona sul piano sia emotivo che cognitivo. Questa capacità, che viene data per scontata dai pazienti, trova invece posizioni differenti da parte del mondo medico. A fronte di una minoranza di sanitari “naturalmente” dotata di capacità empatica, nella maggior parte dei casi i medici si ritengono non sufficientemente formati su questo fronte, fino ad arrivare a coloro che reputano l’empatia un’abilità di scarsa importanza per la propria professione, ritenendo che il proprio compito sia occuparsi della malattia e non del malato. Ecco perché, di fronte alle manifestazioni emotive del paziente, solitamente il medico cerca di riportare il discorso sul terreno neutro dei dati clinici o della terapia. L’emotività del paziente viene spesso vissuta con imbarazzo, senso di inadeguatezza o anche frustrazione quando il medico ritiene di non poterlo guarire, come nel caso di diagnosi gravi. Posto di fronte a stati emotivi che non ha imparato a gestire, può anche capitare che il medico cerchi di affrontare la situazione minimizzando, sdrammatizzando o perfino squalificando la percezione dell’altro. E difatti una delle lamentele più frequenti nei pazienti è la percepita freddezza, distacco e mancanza di empatia del medico a fronte di un forte bisogno di sentirsi ascoltati e considerati. Ne è riprova il fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti denunciano un medico se, oltre al presunto errore per negligenza, percepiscono di aver subito un trattamento non adeguato a livello personale, cioè se non si sono sentiti adeguatamente accolti e rispettati. Il medico che voglia essere realmente efficace nello svolgimento della propria professione non può quindi prescindere dall’attenzione alla comunicazione empatica, garanzia non solo di maggiore soddisfazione del paziente, ma anche di una sua maggior compliance e quindi di migliori esiti terapeutici.

COMUNICARE STRATEGICAMENTE CON IL PAZIENTE: GLI ASPETTI NON VERBALI

Gli errori sopra descritti possono essere facilmente eliminati se il medico presta attenzione ad alcuni fondamentali aspetti della comunicazione con il paziente.

Innanzitutto il momento dell’accoglienza del paziente è importantissimo, soprattutto se si tratta di un primo incontro. La prima impressione che creiamo nell’altro è infatti fondamentale perché influirà su tutto il resto dell’interazione: sarà perciò importante che il medico accolga il paziente guardandolo negli occhi e accennando un sorriso, e non rimanga invece seduto alla scrivania, magari con gli occhi sul computer perché sta terminando le incombenze burocratiche della visita precedente. Anche mentre dialoga con il paziente, l’orientamento del corpo dovrà essere frontale, in modo tale da garantire il contatto oculare e una distanza fisica adeguata. Durante l’ascolto, lo sguardo dovrà essere fluttuante, spostandosi alternativamente sugli occhi e sulle altre parti del volto dell’interlocutore, creando un effetto di accoglienza e cattura suggestiva che farà sentire il paziente ascoltato e a proprio agio. Importanti sono anche gli ammicchi del viso con cui il medico accompagna ciò che ascolta, trasmettendo così un duplice messaggio: che sta ascoltando e capendo, ma anche che è d’accordo con quello che l’altro dice. Nel far questo, provocherà nell’altro analoghe risposte non verbali, creando una reciprocità di “ammicchi” che contribui­sce notevolmente alla creazione di una buona relazione e incrementa la possibilità di un accordo finale.

COMPRENDERE IL PUNTO DI VISTA DEL PAZIENTE

Comprendere la posizione emotivo-percettiva del paziente rappresenta il primo passo per poter sintonizzare la propria comunicazione sull’altro e guidarlo ad accettare le indicazioni terapeutiche. Durante la visita il medico dovrà quindi ottenere due tipi di informazioni: quelle relative alla malattia intesa in senso prettamente biologico (il disease) e quelle relative al punto di vista e al vissuto emotivo del paziente sulla propria situazione clinica (l’illness). Ogni paziente, infatti, porta nello studio medico, oltre ai suoi sintomi e alla sua malattia, anche le sue esperienze precedenti, le sue paure e ansie, le sue personali opinioni sulla malattia e le sue aspettative. Tutti aspetti da cui il medico non può prescindere se vuole ottenere collaborazione e massima aderenza alle indicazioni.

Mentre indaga le componenti più prettamente mediche del disturbo, è quindi fondamentale che il medico si occupi anche di esplorare la percezione che il paziente ha della propria condizione, utilizzando domande aperte e parafrasi che permettano all’altro di esprimere il suo punto di vista e di sentirsi compreso e accettato. Lasciare spazio al punto di vista del paziente diviene così non più un ostacolo o una perdita di tempo, ma un aspetto importante da utilizzare in favore dell’efficacia dell’intervento stesso.

PERSUADERE INVECE CHE CONVINCERE

Come sosteneva Socrate, «L’arte della persuasione inizia con l’aprire la mente e le orecchie e non la bocca». La comprensione del punto di vista dell’altro è infatti il primo elemento fondamentale per persuaderlo e guidarlo ad accettare le indicazioni. È quindi importante che il medico passi dalla sua naturale tendenza a convincere, in virtù della forza delle sue argomentazioni razionali, all’utilizzo di tecniche che permettano di “condurre soavemente a sé” l’altro proprio a partire dalla sua percezione, senza squalificarla in alcun modo. Nel far questo è fondamentale che il professionista non si limiti al linguaggio descrittivo-esplicativo, ma utilizzi un linguaggio suggestivo ed evocativo, che faccia sentire ancora prima che capire. L’utilizzo di immagini, evocazioni che risuonino dentro al paziente e impattino sul piano emozionale, rappresenta la modalità più efficace per aggirare la sua resistenza al cambiamento e predisporlo ad aderire in maniera precisa alle indicazioni. Su questa scia, la faticosa e noiosa riabilitazione che il giovane sportivo dovrà fare al ginocchio infortunato diventa una macchina nuova a cui fare il giusto rodaggio, il sistema immunitario da fortificare con la corretta alimentazione si trasforma in un esercito che va ben equipaggiato per andare in battaglia contro la malattia, e così via.

Il momento della prescrizione vera e propria è fondamentale per garantire la memorizzazione e l’aderenza del paziente alle indicazioni. La prescrizione dovrà essere ingiunta in maniera lenta, scandita e ridondante, ovvero ripetuta più volte cambiandone la formulazione, ma ripetendone le parti cruciali, fino a quando il paziente mostrerà i predittivi di cattura ipnotica: una postura rilassata, gli occhi ben aperti, l’attenzione focalizzata sulla comunicazione del medico senza alcun segnale di distrazione. Lo sguardo del medico dovrà essere focalizzato e intenso, mantenendo il contatto oculare per tutto il tempo della prescrizione, la posizione del corpo protesa in avanti, in modo da sottolineare l’atto dell’ingiunzione. Solo una volta ingiunta correttamente la prescrizione, il medico potrà procedere a consegnare al paziente la ricetta o qualsiasi altro tipo di promemoria scritto ritenga necessario.

SFRUTTARE L’EFFETTO PLACEBO

Ultimo ma non meno importante è l’utilizzo di questo straordinario effetto secondo il quale l’aspettativa positiva di un miglioramento può essere già di per sé sufficiente a indurre il miglioramento stesso. E questo non solo relativamente alla percezione dei sintomi ma anche a livello di numerosi parametri fisiologici, quali le secrezioni ormonali e le difese immunitarie.

Come la moderna ricerca neuroscientifica ha ormai dimostrato, uno dei meccanismi principali per indurre l’effetto placebo è proprio la comunicazione del medico, che deve trasmettere speranza e fiducia nel trattamento che propone, grazie all’uso di parole rassicuranti e a un atteggiamento empatico. Le abilità comunicative del medico non sono importanti solo per aumentare la compliance del paziente, ma impattano direttamente anche sul decorso clinico di numerose malattie. Dopo 2400 anni, dunque, la «parola» torna ad essere non solo il fondamentale supporto al «tocco» e al «rimedio», ma diventa a pieno titolo un vero e proprio strumento curativo, di cui il medico può e deve avvalersi.

Alla luce di quanto detto, la categoria medica non può più ignorare la dimensione della relazione e della comunicazione nel processo di cura o considerarla una sorta di abilità accessoria e non indispensabile per lo svolgimento del proprio lavoro. Sarà quindi sempre più importante che, nella formazione dei futuri medici, a quella tecnico-scientifica venga affiancata una formazione alle abilità relazionali e comunicative quali parte integrante della loro professionalità. D’altra parte, come mirabilmente espresso da F. W. Peabody in un discorso tenuto agli studenti di Medicina di Harvard nel 1927: «La cura della malattia può essere un fatto del tutto impersonale. La cura del paziente deve essere un fatto del tutto personale».

 

Roberta Milanese, autrice di numerose pubblicazioni, è docente nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica di Arezzo e Firenze e in master di specializzazione in Italia e all’estero.

Simona Milanese, medico e psicoterapeuta, ricercatrice associata e formatrice del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è specialista in psicoterapia breve strategica, oncologia e medicina interna.


Bibliografia

Milanese R., Milanese S. (2015), Il tocco, il rimedio, la parola. La comunicazione medico-paziente come strumento terapeutico, Ponte alle Grazie, Milano.
Nardone G. (2015), La nobile arte della persuasione, Ponte alle Grazie, Milano.
Nardone G. (2020), Ipnoterapia senza trance, Ponte alle Grazie, Milano.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 285 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui