Gioele Gavazzi, Viola Benedetti

Controllo cognitivo nell’ambiente fisico e virtuale

Il controllo cognitivo è fondamentale per rispondere alla stimolazione ambientale. L’iperconnessione creata dai social network ha aumentato la quantità di sollecitazioni e impulsi, incrementando le difficoltà di adattamento.

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Supponiamo di essere a casa con un amico e che, a un certo punto, il telefono squilli. Ci alziamo dalla poltrona, ci dirigiamo verso il telefono e rispondiamo. Non lo faremmo se ci trovassimo a casa del nostro amico e lasceremmo che fosse lui a rispondere, bloccando il nostro impulso iniziale. Il nostro comportamento è stato inibito o modulato da vari processi mentali denominati nel loro insieme “controllo cognitivo”. Questo sistema è fondamentale per rispondere in modo adattivo alle variazioni continue della stimolazione ambientale, scegliere le risposte adeguate e inibire quelle inadeguate. Errori nel controllo cognitivo sono spesso determinati dal fatto che non vengono inibite le risposte automatizzate, apprese nel tempo e memorizzate (come nell’esempio, squilla il telefono e rispondo). Uno dei test più noti in psicologia per lo studio del controllo cognitivo è il test di Stroop. Si presenta una serie di parole che indicano colori (“blu”, “rosso”, “verde” ecc.), ma che sono scritte in un colore che non corrisponde a quello indicato dalla parola. Provate a dire a voce alta, rapidamente, con quale colore sono rappresentate le seguenti parole: BLU, ROSSO, VERDE. Con altissima probabilità avrete dato come risposta la parola stessa e non il colore con la quale è scritta. Infatti, in un compito di lettura la risposta automatizzata è la lettura immediata di ciò che è scritto, mentre – per poter analizzare il colore e rispondere adeguatamente – occorre controllare, bloccare questa risposta automatizzata. Nel circuito del controllo cognitivo, la corteccia prefrontale svolge un ruolo cruciale; in particolare, la corteccia prefrontale di destra si distingue per quanto riguarda gli aspetti inibitori (Aron et al., 2014). Questo circuito coinvolge, oltre alle strutture corticali, anche strutture sottocorticali. Mentre le cortecce anteriori rappresentano il substrato biologico delle nostre facoltà cognitive più evolute, le strutture sottocorticali regolano non solo le risposte autonomiche, ma anche le emozioni e gli impulsi. Questa interazione tra aree corticali e sottocorticali rispecchia quindi la costante ricerca di un equilibrio ottimale tra i nostri impulsi e la nostra capacità di gestire l’esperienza interna al fine di agire nel modo migliore.

L’alterazione di questo circuito cerebrale determina svariate condizioni cliniche, caratterizzate dall’incapacità dei pazienti di svolgere un adeguato controllo cognitivo del proprio comportamento in relazione ai mutevoli contesti. Per esempio, vi sono pazienti con lesioni prefrontali che non riescono a frenare l’impulso di usare qualsiasi oggetto presente nell’ambiente in cui si trovano: vedono un martello e un chiodo e si mettono ad attaccare il chiodo al muro, vedono una penna e un foglio e cominciano a scrivere… In questi pazienti, si può affermare, viene meno l’equilibrio tra il mondo interno e quello esterno, e quest’ultimo prende il sopravvento.

L’approccio allo studio del controllo cognitivo è stato rivoluzionato dal professor Todd Braver dell’Università di Washington con la formulazione del Dual Mechanism of Control Framework. Secondo questa prospettiva, è possibile scomporre il controllo cognitivo in due modalità: una modalità proattiva e una reattiva. Il controllo proattivo permette di anticipare e prepararsi a eventi cognitivamente impegnativi che richiedono processi di controllo sfruttando gli indizi contestuali. Invece il controllo reattivo reagisce a un evento; si tratta pertanto di un processo messo in atto in seguito a esso. Il nostro laboratorio, il Laboratorio di Psicofisiologia cognitiva dell'Università di Firenze, si occupa proprio dell’approfondimento di questi aspetti anche attraverso nuove tecniche rispetto ai classici metodi usati in questo filone di ricerca. Tra questi vi è l’analisi di movimenti e micromovimenti durante compiti nei quali si stressa la funzione inibitoria; in questo modo abbiamo potuto caratterizzare più accuratamente le modalità proattiva e reattiva (Benedetti et al., 2020). L’esplorazione del controllo cognitivo secondo queste due modalità sta aiutando a ridefinire con maggiore chiarezza i correlati neurali impiegati da questo sistema. Infatti, esclusa la corteccia prefrontale, la letteratura scientifica mostra una grande variabilità tra le regioni identificate nei vari studi sul controllo cognitivo. Tale variabilità può essere ricondotta al fatto che in passato la modalità proattiva e la modalità reattiva sono state indagate in modi diversi, a volte come se fossero lo stesso meccanismo, altre volte separatamente. Altre cause, seppure di minore entità, possono includere la natura degli stimoli presentati ai soggetti (per esempio, l’elaborazione di figure geometriche o di volti richiede regioni cerebrali diverse). In una recente metanalisi condotta dal nostro gruppo di ricerca abbiamo rimappato il circuito del controllo cognitivo minimizzando le suddette potenziali fonti di errore (Gavazzi et al., 2020). I risultati hanno confermato un ruolo determinante della corteccia prefrontale destra, separandola in due regioni chiave: una adibita all’inibizione proattiva (giro inferiore frontale destro), mentre l’altra è impegnata nella inibizione reattiva (giro medio frontale destro). Inoltre, il circuito identificato mostra chiaramente come le due modalità utilizzino reti cerebrali con diverse relazioni tra le strutture sottocorticali e quelle corticali (Fig. 1).

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Consideriamo ora come lo sviluppo delle società e gli aspetti filogenetici e ontogenetici del controllo cognitivo possano essersi intersecati nel tempo. Nell’essere umano lo sviluppo del controllo cognitivo sembra andare di pari passo con quello della corteccia prefrontale. Il processo di maturazione della corteccia prefrontale è più lento delle altre aree cerebrali, raggiungendo il completo sviluppo (con grande variabilità interindividuale) in un’ampia finestra temporale che va dalla tarda adolescenza fino alla terza decade di vita. In età prescolare e scolare, la corteccia prefrontale mostra, rispetto alle altre regioni corticali, livelli diversi di mielinizzazione, sinaptogenesi, metabolismo a riposo e minor quantità di materia grigia. In particolare, il processo di maturazione delle cortecce prefrontali in relazione al controllo inibitorio è inizialmente associato alle regioni della corteccia prefrontale sinistra (< 8-12 anni), mentre la sua specializzazione avverrebbe solo più tardi lateralizzandosi nell’emisfero destro (Bunge et al., 2002). Qualche anno fa ci siamo imbattuti nel caso di una ragazza dodicenne che, nel tentativo di suicidarsi, si era procurata un trauma cranico di entità tale da dover rimuovere chirurgicamente l’intero emisfero destro. La cosa straordinaria che osservammo fu che le funzioni inibitorie erano preservate tramite la corteccia prefrontale sinistra. A conferma di quanto discusso, è molto probabile che, per via dell’età a cui era avvenuto l’incidente, la ragazza fosse ancora in una fase dello sviluppo per cui le sue funzioni inibitorie non si erano ancora lateralizzate nell’emisfero destro (Gavazzi et al., 2019). Alla luce di quanto descritto, un’intrigante prospettiva di ricerca potrebbe essere quella di studiare l’associazione tra la maturazione di quest’area e la variabilità interindividuale di controllo e autocontrollo, aspetti che sembrano cruciali per un efficiente adattamento alla società e dunque per il passaggio alla vita adulta.

Dal secolo scorso, si contrappone lo studio della generazione di emozioni e impulsi, a carico delle antiche strutture sottocorticali, alle capacità cognitive complesse della corteccia prefrontale, considerando quest’ultima il coronamento evolutivo dello sviluppo cerebrale. Infatti, essendo una delle regioni corticali di sviluppo più recente, probabilmente la sua evoluzione è andata di pari passo con la necessità che l’uomo ha avuto di rispettare, controllandosi appunto, la maggior complessità e quantità di regole introdotte, di volta in volta, dalle protosocietà fino alle più evolute società contemporanee. Si pensi, per esempio, che proprio nell’antica Atene, la polis socialmente più evoluta di quei tempi, emerse per la prima volta l’importanza dell’ambiente per il controllo cognitivo. In risposta al dibattito, all’interazione umana e al confronto democratico dell’agorà, iniziò la riflessione sull’autocontrollo culminata nella concezione stoica della temperanza. Si comprese così l’importanza della capacità di modulare i propri comportamenti per perseguire un obiettivo all’interno di un complesso ambiente sociale. Oggi l’ambiente esterno in cui avvengono le nostre interazioni non è più costituito dal solo mondo fisico, ma anche da un mondo virtuale in cui i limiti sociali di spazio e tempo sono quasi annullati: il cyberspazio. Questo termine, coniato dal letterato William Gibson, è oggi definito come medium elettronico costituito da reti e computer tramite i quali avviene la comunicazione online. Sebbene considerato virtuale, in realtà il cyberspazio esiste e ha effetto sulle nostre vite. Così la diffusione di massa dei social network ha contribuito a complicare gli aspetti sociali della nostra cultura, impattando significativamente non solo sulle nostre vite quotidiane e sulla politica, ma anche sull’economia. L’iperconnessione tra umani creata da questa tecnologia ha aumentato notevolmente la quantità di stimolazioni e impulsi che dobbiamo inibire per controllarci, incrementando così la difficoltà di adattamento alla società odierna. Per approfondire, prendiamo il caso di come i social network influenzano alcuni aspetti dell’economia. Si pensi alla grande accessibilità che attualmente hanno i mercati finanziari con il trading online (compravendita di azioni/valute/cryptovalute online). Il trading online viene effettuato con app semplicissime da usare e spesso costruite come un vero e proprio social network (Etoro, RobinHood), dove si può commentare, seguire gli investimenti o addirittura copiare il comportamento di altri utenti. Si aggiunge poi l’influencer finanziario, recentissima figura che, grazie alla sua visibilità e al suo potere, è in grado di orientare il pubblico negli investimenti. Gli esempi più noti sono rappresentati da Donald Trump (quando era presidente) e da Elon Musk, che con i loro tweet, hanno condizionato i mercati per intere giornate. Elon Musk stesso è riuscito a influenzare l’interesse per cryptovalute come il bitcoin e il dogecoin, creando, in quest’ultimo caso, il primo grande incremento di valore di una cryptovaluta nata per scherzo, a partire da un meme. Si completi il quadro tenendo conto del lockdown, dovuto al COVID-19, che ha aggravato la crisi nel mondo del lavoro e ha obbligato le persone a restare in casa, promuovendo così la possibile ricerca di fonti di guadagno online. Se messe assieme, tutte queste influenze hanno sommerso e sommergono la nuova classe di investitori: persone comuni, senza o con poche conoscenze in materia, che spesso comprano o vendono a caso perché incapaci di gestire grandi quantità di impulsi e in preda a quello che in gergo viene indicato con il termine fomo (fear of missing out, paura di essere tagliati fuori). Contestualmente, si tratta di acquistare o vendere senza riflettere per paura di perdere una chance che potrebbe cambiare la vita, con il frequente esito di perdere tutti i risparmi.

Questo fenomeno può essere spiegato a livello cerebrale. Molti dati scientifici indicano una relazione tra la dimensione del volume della corteccia prefrontale anteriore (corteccia orbitofrontale) e la capacità di gestire la dimensione della rete sociale. Così l’inibizione degli impulsi provenienti dai social network potrebbe essere determinata da un meccanismo a due moduli. Un modulo avrebbe il ruolo di inibire gli impulsi sfruttando la porzione caudale della corteccia prefrontale, mentre l’altro, impiegando la porzione anteriore della corteccia prefrontale, agirebbe come filtro regolatore proattivo sulla quantità e rilevanza degli impulsi. La grande variabilità interindividuale nell’inibire gli impulsi provenienti dai mondi virtuali sarebbe definita dal grado di interazione tra le regioni antero-caudali della corteccia prefrontale. Chiaramente, per funzionare questo sistema ha bisogno che l’ambiente virtuale in cui l’individuo agisce consenta di circoscrivere la dimensione della rete sociale, cosa che non avviene in tutti i social network e nelle app di trading online menzionate.

Nella nuova forma che questo mondo sta assumendo appare quindi cruciale l’importanza di essere sempre più in grado di inibire i nostri comportamenti indipendentemente dal numero di impulsi che riceviamo, in modo da poter scegliere quando e se agire in modo ottimale. Bisogna riflettere su quanto siamo davvero capaci di poter inibire questa enorme mole di impulsi a cui alcuni ambienti virtuali ci sottopongono e quanto lo sia il controllo cognitivo di teeneger e ventenni ancora in fase di maturazione. Da un punto di vista relativo al rapporto tra mente e cervello si aprono poi ulteriori interrogativi, e su tutti spicca la curiosità relativa a come evolverà la relazione tra i rapidissimi cambiamenti che sta avendo il nostro mondo, con l’incremento di complessità e il conseguente adattamento richiesto alla nostra mente e ai relativi substrati neurali (Fig. 2).

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Gioele Gavazzi, PhD in Robotics, Cognition & Interaction Technologies, è post-doc presso l’Università degli Studi di Firenze, dove è docente di Psicologia generale. Ha condotto, anche in collaborazione con l’Università di Harvard e l’IRCCS SDN, molte ricerche sui processi cognitivi mediante tecniche di neuroimmagine.

Viola Benedetti è dottoranda presso il Dottorato Toscano di Neuroscienze e membro del Laboratorio di Psicofisiologia Cognitiva presso l’Università degli Studi di Firenze. I suoi principali interessi di ricerca riguardano il controllo cognitivo e, nello specifico, il controllo inibitorio dell’azione.


Bibliografia

Aron A. R., Robbins T. W., Poldrack R. A. (2014), «Inhibition and the right inferior frontal cortex: One decade on», Trends in Cognitive Sciences, 18 (4), 177185.
Benedetti V., Gavazzi G., Giovannelli F., Bravi R., Giganti F., Minciacchi D., Mascalchi M., Cincotta M., Viggiano M. P. (2020), «Mouse tracking to explore motor inhibition processes in go/no-go and stop signal tasks», Brain Sciences, 10 (7), 464.
Bunge S. A., Dudukovic N. M., Thomason M. E., Vaidya C. J., Gabrieli J. D. E. (2002), «Immature frontal lobe contributions to cognitive control in children: Evidence from fMRI», Neuron, 33, 301-311.
Gavazzi G., Giovannelli F., Currò T., Mascalchi M., Viggiano M. P. (2020), «Contiguity of proactive and reactive inhibitory brain areas: A cognitive model based on ALE meta-analyses», Brain Imaging and Behavior.
Gavazzi G., Lenge M., Bartolini E., Bianchi A., Agovi H., Mugnai F., Guerrini R., Giordano F., Viggiano M. P., Mascalchi M. (2019), «Left inferior frontal cortex can compensate the inhibitory functions of right inferior frontal cortex and pre-supplementary motor area», Journal of Neuropsychology, 15, 2199-2214.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui