Patrizia Patrizi, Vera Cuzzocrea

Adolescenti che incontrano la giustizia

Il reato come occasione di 
responsabilizzazione e crescita

Nell’attuale processo penale minorile sussiste Il principio di minima offensività nei confronti del minore che si sia macchiato di un reato.

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È il 1989 quando nel nostro Paese entrano in vigore le Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni (DPR 22.9.1988, n. 448): questa data rappresenta non solo l’esito di raccomandazioni e convenzioni internazionali e del dibattito maturato a livello scientifico, ma anche e soprattutto una rivoluzione nel modo di considerare la devianza giovanile e gli strumenti da mettere in campo per affrontarla.

Questi sono gli aspetti che caratterizzano il nostro processo penale minorile, soprattutto con la previsione della messa alla prova, il suo istituto più innovativo (art. 28): promuovere risorse e opportunità di cambiamento che non solo non compromettano il sano sviluppo psico-fisico dell’adolescente, ma anzi nepotenzino le competenze, il processo di maturazione e responsabilizzazione. L’intervento giudiziario si pone infatti, quale obiettivo prioritario, quello di ridurre la permanenza della persona minorenne nel sistema giustizia, mantenendo una costante attenzione alla sua personalità per garantire una risposta il più possibile coerente con l’atto deviante, ma soprattutto adeguata alla fase evolutiva della persona imputata e al sistema di risorse e criticità che la caratterizzano. (CONTINUA...)

I principi di minima offensività e dell’attitudine responsabilizzante del processo penale minorile (Palomba, 1991) si nutrono della convinzione che il cambiamento delle persone dipenda, in larga misura, dalla condivisione degli obiettivi, dall’accordo sui progetti attivati, dalle possibilità di automonitoraggio e dal potere ristrutturante dell’azione, in un’ottica restitutiva di senso e riparativa per chi delinque, ma anche per la comunità a cui appartiene. 

È questo il modo in cui viene articolata la messa alla prova, a partire da una lettura integrata di condizioni e risorse intese come insieme di situazioni attive e potenzialità di sviluppo: la funzione psicologica ha un ruolo centrale al fianco di quella educativa, non solo in termini di tutela della persona minorenne da eventuali rischi di disagio, ma anche come strumento per agevolarne il cambiamento in termini di crescita personale e responsabile. La finalità principale degli interventi giudiziari, ma anche sociali, psicologici e/o sanitari, è infatti quella di far confrontare l’adolescente con le sue vulnerabilitàpromuovendone al contempo strumenti di benessere: in tutte le fasi operative, dalla modalità con cui partecipa in udienza assumendosi la sua, anche parziale, responsabilità rispetto al reato, alla condivisione del progetto con i servizi minorili della giustizia e del territorio, fino allo svolgimento effettivo delle attività previste e alla loro verifica conclusiva (De Leo e Patrizi, 1999; Patrizi e Cuzzocrea, 2012).

La messa alla prova contiene un articolato progetto educativo che può contemplare pure la mediazione penale; quest’ultima, infatti, è uno straordinario strumento di soluzione del conflitto tra l’autore o l’autrice del reato e la vittima, che permette a entrambi di confrontarsi, di far emergere i propri punti di vista e di cercare insieme una soluzione per superare il danno, con reciproci vantaggi: per la vittima, esprimere il vissuto conseguente al reato, costruire un senso dell’esperienza che includa le ragioni dell’altro, esprimere livelli decisionali rispetto alle possibilità di soluzioni; per l’autore di reato, conoscere le conseguenze “concrete” subite da persone “reali” a causa dell’azione compiuta, la possibilità di assumere le conseguenze delle proprie azioni secondo una logica di riconoscimento del danno e delle sofferenze prodotte, piuttosto che di retribuzione per un illecito commesso. La letteratura recente, fondata su risultati sia di ricerche empiriche che di progetti di intervento, ha rilevato che la miglior forma di deterrenza dei comportamenti problematici di tipo deviante consiste nella sollecitazione di azioni socialmente positive, fatte di rispetto e responsabilità, e nel miglioramento della continuità fra il sistema delle risposte sociali esterne (istituzioni, famiglia, gruppo di appartenenza) e i meccanismi di risposte cognitivo-emotive dell’individuo.

Con specifico riferimento all’istituto della messa alla prova, uno studio (Mestitz e Colamussi, 2010) ha esaminato a distanza di sette anni gli esiti della misura evidenziando che nel 68.7% dei casi la recidiva diminuiva considerevolmente. Parimenti, le recenti analisi statistiche del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (2018) registrano un tasso di recidiva più alto per coloro che hanno sperimentato altre misure rispetto alla messa alla prova, e una percentuale dell’80% circa delle messe alla prova applicate ha avuto esito positivo.

Auspichiamo, pertanto, non solo la promozione di queste e altre occasioni responsabilizzanti, ma anche nuove forme di incontro fra le persone e con la giustizia attraverso diversi possibili programmi di giustizia riparativa, consistenti non solo nell’incontro tra chi commette un reato e chi lo subisce, ma anche «tra due modi di cercare e praticare la giustizia. Da una parte quella tradizionale che punisce e dall’altra quella riparativa che […] cerca di ricomporre la frattura sociale e, dove possibile, ricucire responsabilizzando. Non si è responsabili per qualcosa, ma verso qualcuno» (Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, 2018). La prevenzione della devianza è pertanto possibile a condizione che esista un sistema familiare, sociale e giudiziario attento ai segnali del disagio e capace di promuovere risorse, potenzialità, competenze e occasioni di benessere. La mancanza di un sistema di significati può portare, infatti, a una perdita della dimensione progettuale e alla costruzione di un senso solo nel contingente del qui e ora, perdendo di vista la propria storia, oltre che la dimensione futura dell’esistenza. 

Patrizia Patrizi, ordinaria di Psicologia sociale e giuridica all’Università di Sassari, è presidente di PsicoIus - Scuola romana di psicologia giuridica e fa parte del Board dell’European Forum for Restorative Justice.

Vera Cuzzocrea, PhD, psicologa giuridica e psicoterapeuta, è giudice onoraria presso il Tribunale per i Minorenni di Roma.

Riferimenti bibliografici 
De Leo G., Patrizi P. (1999), Trattare con adolescenti devianti, Carocci, Roma.
Mestitz A., Colamussi M. (2010), «Effetti a lungo termine della messa alla prova. Risultati preliminari di ricerca». In G. Gulotta, A. Curci (a cura di), Mente, società e diritto, Giuffrè, Milano, pp. 439-463.
Palomba F. (1991), Il sistema del nuovo processo penale minorile, Giuffrè, Milano.
Patrizi P., Cuzzocrea V. (2012), «Una giustizia per minorenni: risorse normative e modelli d’intervento». In P. Patrizi (a cura di), Manuale di psicologia giuridica minorile, Carocci, Roma.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 273 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui