Alessio Beltrami

Per uno storytelling di successo

Il ruolo che narrazioni intriganti e raccontate bene 
hanno anche per le aziende è ormai non solo un fatto acquisito, 
ma un vero e proprio oggetto di studio

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Le storie avvicinano: sono allo stesso tempo la scintilla per far nascere relazioni e il fuoco che le mantiene vive nel tempo. Le storie funzionano. Applicarle al delicato equilibrio tra imprese e clienti è ciò che viene fatto da sempre, ma solo negli ultimi anni l’approccio alla materia è diventato scientifico. Se da una parte studi, ricerche e pubblicazioni guidano verso una conoscenza più profonda della disciplina, dall’altra forniscono un eccesso di teoria che non sempre aiuta a tradurre le intenzioni iniziali in risultati. Per questo ha senso parlare di storytelling “efficace”, ed è importante ragionare sulle variabili in grado di rendere una narrazione valida non solo dal punto di vista stilistico, ma soprattutto sul piano dei risultati generati.

COME STIMOLARE COMPORTAMENTI

Sfruttando un parallelismo con il mondo delle fiabe per bambini, potremmo dire che il successo nello storytelling è misurabile in base all’attenzione dimostrata dai bambini durante il racconto. A questo si aggiunge la precisione del ricordo a distanza di tempo, cioè cosa ricorderanno della storia dopo una settimana o dopo un mese. Andando oltre gli elementi misurabili, potremmo valutare poi quanto i bambini si siano sentiti parte della storia e quanto abbiano avuto modo di immedesimarvisi. Oltre a ciò, ogni storia che si rispetti offre più livelli di lettura: capire a quale profondità sia arrivato il pensiero dei bambini è un altro indicatore importante per valutare la comprensione della trama, della morale e dei pensieri generati che trovano spazio nel mondo reale.

In sostanza, quando si tratta di storytelling il successo richiede un riscontro che solo i comportamenti dei clienti potranno dare. Noi dobbiamo ragionare su come stimolare quei comportamenti. Ciò che accade quando la maestra raduna i bambini per leggere una fiaba, avviene ogni giorno nella nostra vita. Non ce ne accorgiamo perché la liturgia che viene messa in atto non rispetta tutti gli elementi simbolici associati alla lettura di una favola. E, come vedremo, questo è un bene. In apparenza, non vediamo un narratore con un libro in mano, ma ciò che accade provoca risultati molto simili a quelli elencati poco fa: ascoltiamo con attenzione, sviluppiamo un ricordo solido, ci immedesimiamo e comprendiamo valori che a volte diventano parte della nostra vita. Ciò accade ogni volta che un professionista o un’impresa comunicano online e noi ci facciamo trasportare dalle loro parole.

Tuttavia, raccontare una storia non basta per fare storytelling in modo efficace: serve di più. Serve coraggio. Il non riconoscere la liturgia della narrazione – «C’era una volta» o «Adesso vi racconto una storia» – è un bene perché, quando si tratta di relazioni commerciali, il nostro radar mentale cerca altro. Potremmo dire che da un’opera di narrativa cerchiamo un modo per evadere dal mondo e immergerci in quella storia; quando invece ci avviciniamo a una narrazione d’impresa, lo stesso processo avviene senza una scelta consapevole. In un certo senso, veniamo rapiti a nostra insaputa, ed è giusto che sia così. Quando leggiamo un articolo su un blog aziendale o vediamo il video di un professionista nulla ci fa immaginare che di lì a poco saremo rapiti con la stessa intensità esperita durante la lettura di un romanzo, ma è quello che avverrà. Anche per questo sarebbe utile eliminare tutti gli indicatori espliciti che comunicano al lettore la presenza di una narrazione. Sarebbe bene evitare tutti quegli accorgimenti stilistici capaci di evocare il rito del racconto. Ciò che rende efficace lo storytelling, come vedremo, ha a che vedere con il significato del racconto e il coinvolgimento del lettore, ma questi primi consigli sono importanti per eliminare qualsiasi etichetta che abbia il potere di condizionare il lettore.

In pratica, ogni cuore innamorato gradisce di ricevere una dichiarazione d’amore dal partner, ma questo non include il didascalico preambolo «Ora ti farò la mia dichiarazione d’amore, quindi ascolta bene le parole che pronuncerò»! Non funzionerebbe. Anzi, renderebbe più deboli le parole della dichiarazione stessa. Questo perché nella vita esistono situazioni che hanno bisogno di una segnaletica chiara, mentre altre devono accadere senza che sia esplicitato il tutto. Quindi, sul nostro sito web, e ovunque siano presenti i contenuti utili a promuovere il nostro lavoro, non dovremmo preannunciare la presenza di una narrazione: dovremmo, piuttosto, offrire una narrazione continua e attiva in ogni dove.

A partire dalle informazioni tecniche e pratiche, per arrivare alla storia della nostra impresa commerciale, tutto può essere storytelling. Le realtà che sfruttano bene lo storytelling, infatti, utilizzano ogni contenuto disponibile per portare il cliente a spasso grazie alla forza della narrazione.

UNA NARRAZIONE NON ANNUNCIATA

Riassumendo, possiamo dire che ciò che evoca in modo esplicito l’arrivo di una narrazione, non predispone il lettore nel modo più efficace. Una volta compresi quelli che sono i riferimenti da cui non prendere spunto, ne esistono altri da cui sarebbe bene imparare. Si tratta di tutti quei trascorsi di vita che ci hanno visti alle prese con una narrazione non annunciata. Tutte quelle esperienze che ci hanno scaraventato all’improvviso in un racconto condiviso da altre persone. Magari a tavola o in viaggio, ma certo senza la pomposità del racconto annunciato e recitato.

Il racconto popolare è sempre una buona scuola: storie tramandate a voce, forse con qualche imperfezione, ma sempre capaci di catturare l’attenzione. Storie raccontate senza palcoscenico, che hanno saputo guadagnare il silenzio degli ascoltatori che si facevano spazio per sentire meglio, perché in quella storia ci volevano entrare. Ecco, la narrazione del nostro lavoro dovrebbe assomigliare più a un racconto tra amici (con tutte le licenze poetiche del caso) che a un’opera letteraria in concorso al premio Strega. Il nostro ristorante dovrebbe avere tavoli con tovaglie a scacchi bianche e rosse, e non la cura e il lusso di un ristorante stellato, perché, ad esclusione di poche eccezioni, sarà più semplice immedesimarsi nella cucina casalinga di una trattoria a gestione famigliare che in quella di un grande ristorante. Anche se il secondo sarà di estrema soddisfazione per il palato, non avrà mai la possibilità di farci sentire a casa. Anche per questo i grandi narratori – autori di libri che vendono decine di migliaia di copie e che rapiscono la mente dei lettori – non sempre sono in grado di lavorare con lo storytelling. Nonostante gli strumenti di lavoro siano gli stessi, le regole del gioco cambiano quando la storia si mette al servizio della relazione tra azienda e cliente.

Ma questi sono solo elementi di superficie. Esiste poi qualcosa che deve accadere nel racconto, perché, al di là di tutte le scelte di apparenza, il cliente è umano e reagisce a stimoli precisi che non possono essere ingannati.

Raccontare significa dare un senso al nostro vissuto – al nostro lavoro, alla nostra esperienza e alla nostra storia. E ciò che si capisce subito, confrontandosi con lo storytelling, è che all’interlocutore il nostro vissuto piace. Piace nella misura in cui gli permette di identificarsi e di costruire con noi un mondo nuovo. Quelle parole e quegli episodi usati nel racconto sono solo il trampolino su cui rimbalzare per creare un mondo in cui anche chi ascolta diventa protagonista. Ed è esattamente questo che facciamo quando riusciamo a far centro con la narrazione: creiamo storie che diventano le storie di chi ci legge e che gli consentono di generare qualcosa di nuovo. D’altronde i legami più forti nella vita si basano su questo: generare qualcosa di nuovo partendo da un’esperienza comune.

CORAGGIO NELL’ESPORSI

Qui è facile comprendere che l’ingrediente indispensabile è quello di un vissuto autentico. Ecco perché sopra ho fatto riferimento al coraggio. Essere autentici e condividere un pezzo di noi richiede sempre coraggio. Si tratta del coraggio di aprirsi, di mettersi a nudo, di esporsi al mondo per ciò che si è. A differenza della narrativa, qui i protagonisti siamo noi e non possiamo più nasconderci dietro la finzione del racconto di fantasia. In realtà, una precisazione è doverosa sul dualismo realtà e fantasia. Lo storytelling include parte della nostra esistenza di professionisti, ma, estremizzando, l’autenticità che viene richiesta dal lettore non è quella dei fatti, dei luoghi o delle date. Ciò che viene richiesto è l’autenticità delle intenzioni e delle idee. È richiesta un’autenticità di valori. Potremmo anche dare vita a personaggi di fantasia, purché la loro storia ci aiuti a comunicare valori sinceri e purché questa assuma le sembianze di un fatto verosimile.

Non è una verità scientifica, quella che ci chiede il lettore, ma una verità umanistica, perché è quello il mondo che vuole conoscere e condividere con noi. E su quegli elementi non tollera finzione. Questo dovrebbe essere il punto di partenza: spostare il focus dall’idea di realizzare una “bella storia”, per concentrare le energie sulla costruzione di una narrazione autentica. Parlo di “costruzione” perché è chiaro che serve opera d’ingegno, di elaborazione e di modellamento. La materia prima dev’essere autentica, ma va lavorata con maestria. Come lavorarla è il vero campo da gioco di chi crea contenuti nello storytelling. Possono diventare protagoniste alcune persone presenti in azienda, possono essere rievocati personaggi del passato o possono essere coinvolti i clienti: testimonianze e casi-studio sono ottime occasioni di narrazione.

Si tratta di scelte stilistiche che rispondono anche a scelte editoriali precise, perché è chiaro che per realizzare podcast, video o articoli testuali servono ingredienti con caratteristiche diverse. Queste ultime variabili hanno interessato a lungo negli anni gli addetti ai lavori, ma hanno anche rappresentato una trappola, poiché ragionare in modo sterile sulla formula editoriale rischia di allontanarci ancora una volta dal vero nodo della questione: condividere il nostro vissuto. Sono scelte, quindi, che dovrebbero mettersi al servizio di ciò che vogliamo condividere. Se avvenisse il contrario, il fallimento sarebbe garantito.

Per capirci, una serie di brevi video che descrivono episodi accaduti in passato in azienda, con una forte carica emotiva, può essere un’idea di storytelling. Il processo per arrivare a tale soluzione dovrebbe partire dall’idea di voler condividere il vissuto umano di storie brevi ad alto impatto emotivo – per una serie di ragioni che abbiamo valutato – e ciò dovrebbe guidarci verso la soluzione più adatta. Fare il contrario, invece, ossia partire dall’idea di realizzare una serie di video per poi ritrovarsi ad andare a caccia di storie che riguardano il passato dell’azienda dato che sono le più semplici da raccontare in quel genere di video, sarebbe un errore.

PERCHÉ ABBIAMO BISOGNO DI STORYTELLING?

Il rapporto tra clienti e imprese si basa storicamente su uno scambio di informazioni oggettive che diventano le fondamenta per abbozzare una relazione umana fatta di cortesia e rispetto. Anche senza edificare relazioni profonde, conosciamo e ci fidiamo di molte imprese perché sui loro prodotti e servizi abbiamo informazioni oggettive, avvalorate dalla nostra esperienza diretta. Se si aggiunge un comportamento cordiale in ogni contatto diretto che abbiamo avuto con quella realtà, di solito esistono le condizioni per generare soddisfazione nei clienti. Oggi, però, lo scambio di informazioni è veloce e avviene in modo assai più libero che nel passato. Spesso troviamo da soli le informazioni che ci servono, usando più fonti e senza bisogno di un contatto diretto con l’azienda. È chiaro che questo tipo di cambiamento è stato possibile solo grazie al web, che ci offre un accesso illimitato a fonti e dati prima irraggiungibili. Ciò ha cambiato l’equilibrio: a questo punto, la relazione tra cliente e impresa non può più basarsi esclusivamente su uno scambio di informazioni, perché, per quanto possa trattarsi di un ottimo servizio informativo, l’azienda pagherà sempre il prezzo di un mercato veloce che produce contenuti in continuazione e con cui non è materialmente possibile competere. Insistere sull’unico binario delle informazioni come merce di scambio rischia di essere una battaglia persa in partenza. Ieri funzionava, oggi no. La narrazione, in questo scenario, acquista un ruolo importante poiché permette a ogni realtà – piccola o grande – di uscire dalla competizione dei dati, dei tutorial e delle informazioni spicciole che vogliono posizionarsi in prima pagina su Google. È un elemento di unicità che non teme concorrenti. Alla narrazione è però richiesto di coinvolgere il cliente e di suscitare in lui emozioni e reazioni precise. Con o senza concorrenti, lo storytelling ha perso quando non riesce a generare reazioni. Viceversa, anche in presenza di concorrenti nettamente superiori dal punto di vista commerciale, una piccola realtà può vincere nella mente del cliente grazie a una narrazione autentica. Oggi la competizione si sposta da elementi quantitativi – quante informazioni mi dai e quanto sono precise – a elementi qualitativi. Ovvero, quanto mi identifico e risuono con ciò che mi stai raccontando, e questo esce da ogni competizione. La competenza tecnica non passa in secondo piano, ma viene considerata dal cliente un ingrediente scontato, parte dei requisiti di base per stare sul mercato. La narrazione viene trattata, invece, come un ingrediente magico, parte dei requisiti indispensabili per distinguersi nel mercato.

LEGO, IKEA E VOLVO: 3 ESEMPI DI STORYTELLING EFFICACE

Alcune aziende hanno puntato molto sullo storytelling, facendo un ottimo lavoro. Tante pubblicità di LEGO, per esempio, non esisterebbero senza lo storytelling. In particolare, lo spot “Let’s build”, nel quale un bambino gioca con suo padre, è la dimostrazione perfetta di come sviluppare una narrazione valida in 60 secondi.

Restando su formati cartacei, il catalogo IKEA riassume bene il concetto di storytelling, concretizzando nelle sue pagine molte delle caratteristiche menzionate in questo articolo, spostando cioè il focus dal prodotto a una narrazione nella quale diventa facile e desiderabile immedesimarsi.

Un ultimo esempio è Volvo, con una narrazione creata per gli addetti ai lavori, e non per il consumatore finale, nel video “Volvo trucks - Look who’s driving feat. 4-year-old Sophie”. In esso a una bambina di 4 anni viene fatto pilotare a distanza un mezzo da lavoro Volvo per dimostrarne la validità delle prestazioni.

 

Alessio Beltrami, docente di Teoria e tecnica dei nuovi media presso l’Università Bicocca di Milano, è consulente di comunicazione specializzato in Content marketing e fondatore di ContentMarketing­Italia.com

Questo articolo è di ed è presente nel numero 285 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui