Jean-Philippe Lachaux

Per una padronanza dell'attenzione

Il sistema che presiede all’attenzione nel cervello umano ha come funzione principale quello di privilegiare temporaneamente un elemento del mondo esterno o del mondo interno.

Il sistema che presiede all’attenzione nel cervello umano ha come funzione principale quello di privilegiare temporaneamente un elemento del mondo esterno (per esempio, le righe che state per leggere) o del mondo interno (un desiderio che si presenta all’improvviso), in modo da concentrare su di esso le risorse cognitive disponibili. Ogni spostamento dell’attenzione è quindi una scelta, che rivela meglio di qualunque altro aspetto del nostro comportamento ciò che davvero conta per noi.

Una padronanza dell'attenzione

L’ATTENZIONE OGGI

Dato che l’argomento è antico, lo studio dell’attenzione ha finito per frammentarsi in un gran numero di settori di ricerca specializzatissimi e del tutto indipendenti fra loro. (...) Ci rendiamo conto quindi che è importante capire allo stesso tempo:

  1. come si sposta nello spazio l’attenzione;
  2. come i suoi spostamenti sono deviati da stimoli esterni, per esempio un cartellone pubblicitario;
  3. come tale deviazione dell’attenzione può cambiare di colpo il corso delle nostre azioni, provocando per esempio un incidente d’auto. (...)

 

CONTRO VENTI E MAREE

Prendiamo l’attività cui vi state dedicando in questo momento, che è un ottimo punto di partenza. Mentre leggete, l’informazione visiva trasmessa dall’occhio al cervello si propaga dalla corteccia ottica fino ai lobi frontali responsabili della comprensione e della memorizzazione, cosicché comprendete e immagazzinate ciò che state leggendo. Il vostro cervello è letteralmente invaso dal testo, oggetto della vostra attenzione.

Ora, nel caso di una lettura distratta, il cervello reagisce solo in maniera periferica: vedete bene il testo che avete sotto gli occhi, ma non ve ne fate niente. La disattenzione non rende ciechi, ma nasconde l’essenziale. La stessa cosa vale per l’informazione uditiva: certamente sentite che qualcuno vi sta parlando, però vi rimane solo l’eco vaga di una voce femminile, che “entra da un orecchio ed esce dall’altro”, passando ovviamente per il cervello, ma senza diffondersi al di là delle aree sensoriali periferiche.È quindi fondamentale padroneggiare l’attenzione. Ma perché è tanto difficile? Perché non può essere collocata dove vogliamo, come un ciottolo sulla sabbia, rimanendo lì finché non decidiamo di spostarla altrove? Per il semplice fatto che è sottoposta ad altre forze, come per l’appunto il ciottolo quando arriva l’alta marea. Sono tre i grandi sistemi che controllano l’attenzione e intervengono a determinarne gli spostamenti in ogni singolo momento. (...)

VERSO UN CONTROLLO “DOLCE” DELL’ATTENZIONE

Entra qui in gioco il terzo sistema dell’attenzione: questa infatti può essere indirizzata volontariamente verso quello che ci appare davvero importante. Allora prende il comando la parte anteriore del cervello, quei lobi frontali che raggiungono la piena maturazione solo alla fine dell’adolescenza. L’attenzione governata dalla corteccia frontale può essere realmente stabile, purché si abbia in mente un unico obiettivo: ma se cerchiamo intenzionalmente di svolgere più attività allo stesso tempo, ecco che l’attenzione può disperdersi nuovamente. È per questo che si consiglia di evitare il multitasking. Ma è ancora possibile controllare l’attenzione, in un mondo così dinamico che pretende risposte immediate? Sì, a condizione di avere sempre chiaramente in testa cosa si cerca di fare, anche e soprattutto quando bisogna alternare più attività. Non è un gioco di prestigio, ma una vera e propria tecnica, che si può apprendere perseverando nell’osservazione paziente dei movimenti dell’attenzione.

Il contributo essenziale che possono portare le neuroscienze non va cercato tanto nella possibilità di scoprire nuovi prodotti capaci di stimolare l’attenzione, pillole magiche per un consumo di massa, quanto nella messa a punto di nuove procedure introspettive, che permettano di osservare la propria attenzione e le forze che la governano, per imparare a utilizzarle invece di combatterle, così da arrivare ad addomesticare l’attenzione, piuttosto che drogarla con la chimica. (...)

Questo articolo è di ed è presente nel numero 256 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui