Santo Di Nuovo

Un futuro eterno nel cloud?

La proposta dell'avatar immortale

In tema di immortalità dell'uomo si alternano ricerche serie ad altre poco attendibili. Fra le prime, quelle che attingono alla intelligenza artificiale e alla realtà virtuale. 

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«Essere mortali è l’esperienza umana più fondamentale, e nello stesso tempo l’uomo non è mai stato capace di accettarla, di comprenderla e di comportarsi di conseguenza. L’uomo non sa essere mortale». Così scriveva Milan Kundera nel suo libro sull’immortalità.

ALLA RICERCA DELL’IMMORTALITÀ

La credenza nell’eternità è comune a culture e teorie diverse. Dalla metempsicosi (trasmigrazione delle anime in un altro corpo umano o animale), sostenuta dalla scuola pitagorica, alla teoria platonica della reminiscenza, alla “rinascita” del buddismo, alla reincarnazione induista, fino all’antroposofia di Rudolf Steiner, la continuità della vita in un’altra è stata proposta come prospettiva di un futuro in cui qualcosa rimane e tutto ritorna. Nietzsche immaginava un’infinità circolare del tempo nella teoria dell’eterno ritorno, simbolizzato esotericamente dall’uroboro, il serpente che si morde la coda.

Non solo i letterati e i filosofi – e naturalmente i teologi di tutte le religioni – ma anche gli psicologi si sono occupati del desiderio di un futuro eterno. Non mancano teorie come quella degli psichiatri statunitensi Stevenson e Tucker sulla possibilità di sopravvivenza delle emozioni in particolari circostanze. Essi riportano molti casi di bambini intervistati in varie parti del mondo che raccontano eventi derivanti da vite precedenti, i cui riscontri sarebbero stati confermati empiricamente.

Le controverse teorie sullo spiritismo e sulla parapsicologia, studiate anche da pedagogisti come Denizard Rivail (noto con lo pseudonimo di “Allan Kardec”) e da eminenti psicologi come William James, si richiamano anch’esse alla possibile sopravvivenza di una parte della vita umana al di là della morte.

Le interpretazioni psicodinamiche del desiderio di eternità immortale, nelle sue variegate declinazioni, risalgono a Freud, secondo cui il nostro inconscio non crede alla possibilità della propria morte e quindi si considera immortale. Di fatto, sarebbero le pulsioni sessuali ad assumere la funzione di assicurare una potenziale immortalità mediante la riproduzione e quindi il prolungamento della vita individuale in quella della specie.

Per Jung il desiderio di immortalità è così pressante, così immediato, e pure così radicato, che non possiamo esimerci dal tentare di farcene un’opinione. Ma come? «I nostri concetti di spazio e tempo hanno solo un valore approssimativo... Non possiamo rappresentarci un altro mondo, regolato da leggi del tutto diverse, perché viviamo in un mondo particolare che ha contribuito a formare le nostre menti e a stabilire le nostre condizioni psichiche».

Ebbene, questo mondo sembra oggi trasformarsi radicalmente grazie agli sviluppi delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale, e un mondo diverso diventa “rappresentabile” anche se al momento soltanto come proiezione futura.

LA VITA ARTIFICIALE CERCA UN FUTURO

Lo scienziato e filosofo Bostrom, fondatore a Oxford del Future of Humanity Institute, ricorda che il desiderio di immortalità ha portato alla ricerca, tramite strumenti psicobiologici, di “fontane di giovinezza”, di “elisir di lunga vita” e di altri tentativi di sconfiggere l’invecchiamento e la morte.

Progetti come SENS (Strategies for Engineered Negligible Senescence) del biochimico inglese Aubrey de Grey mirano a prevenire i danni biologici dell’invecchiamento evitando l’accumulo a livello cellulare degli scarti del metabolismo, che ostacola le difese dell’organismo contro le malattie diminuendo l’efficienza degli organi vitali, fino a provocare la morte come effetto finale.

Qualche tempo fa, sulla rivista della compagnia aerea British Airways, ho potuto leggere un articolo intitolato in modo attraente «#immortality», in cui si riportavano i tentativi di Sergey Brin e Larry Page, fondatori di Google, di studiare possibili cure genetiche per aumentare la vecchiaia di successo, mediante la California Life Company, da loro finanziata.

Partendo da Ancestry, la più grande banca-dati di alberi genetici familiari, si sta cercando di ricostruire i pattern genetici delle persone che hanno vissuto eccezionalmente a lungo, per cercare di sviluppare farmaci in grado di favorire questi “pattern di lunga vita”. L’articolo concludeva con una domanda estremizzata in un modo che può apparire ingenuo: queste iniziative delle brillanti (e ricche) intelligenze della Silicon Valley potranno davvero «distruggere la morte»?

L’obiezione a queste ottimistiche conclusioni è semplice: ridurre o eliminare i danni biologici dell’invecchiamento, o favorire la genetica più adatta ad allungare la vita, non esime dal poter morire per altre cause, come incidenti, omicidi, malattie di origine esogena per le quali ancora non esistono antidoti terapeutici.

La ricerca basata sulle scienze cognitive e sull’intelligenza artificiale si spinge ben oltre, nel tentativo di superare il limite dell’esistenza. Si fa strada un’ipotesi che farebbe sorridere, se non avesse trovato grande seguito: usare la simulazione della mente e la realtà virtuale per realizzare forme di coscienza che è possibile mantenere attive oltre la vita fisica della persona.

AL DI LÀ DELL’UMANO?

Il trans-umanesimo, o Humanity+, proposto da Bostrom ebbe importanti precursori nell’utopia della Nuova Atlantide di Bacone e nella auto-trascendenza dell’umanità secondo Julian Huxley (il quale derivò il termine “trans-umano” da Teilhard de Chardin, che lo aveva introdotto già nel 1949). Humanity+ ha acceso il dibattito sulla possibilità di simulare la coscienza, e quindi di preservarla artificialmente nel tempo e nello spazio. Grazie alle nuove tecnologie, sempre più potenti ed efficienti, la coscienza simulata sarebbe capace, come quella umana, di attivare processi mentali basati sulle informazioni sensoriali o sull’immaginazione, utili per l’adattamento dell’organismo all’ambiente. Questa concezione integra biologia, scienze cognitive, informatica e tecnologie avanzate mirando a emulare la coscienza individuale e a “caricarla” su un supporto digitale (definito “mind uploading”). Si creerebbe così un grande database virtuale di menti coscienti, capaci di resistere in tempi indefiniti.

Anche l’informatico Raymond Kurzweil ipotizza che riversare la coscienza individuale nel web sia un modo per assicurare sopravvivenza dopo la fine della vita corporea. La possibilità di creare una copia virtuale senza età di se stessi e di inserirla in una banca-dati di massa darebbe origine a un’umanità virtuale al di fuori dei limiti dello spazio e del tempo, un nuovo mondo di vite simulate resistenti oltre la morte del corpo materiale.

LA VITA OLTRE LA MORTE: “INIZIATIVA 2045”

Questa utopia di potenziale immortalità è stata tradotta in pratica dal miliardario russo Itskov, che nel suo ambizioso progetto “Iniziativa 2045” aspira a sostituire le persone reali, fragili e mortali, con persone olografiche, potenzialmente immortali. In futuro, la risposta definitiva ai dolori e alle sofferenze della vecchiaia potrebbe essere quella di trasformare se stessi in un avatar simile alla vita reale, che non soffre, non si ammala e appunto non muore.

Nei siti dedicati a questo progetto, ambiziosamente denominato “Electronic Immortality Corporation” (www.2045.com e www.immortal.me), si chiede: «Vuoi essere immortale? Agisci!». Con lo slogan «Downloadable you» si dice che le nuvole immortali erano qualcosa una volta riservate solo agli angeli, mentre adesso il cloud dell’immortalità include una copia senza età di se stessi, depositata all’interno di un immenso database virtuale.

Trasformando gli individui in realistici avatar si risponderebbe all’antica aspirazione di superare i limiti fisici della vita umana. Le malattie e le sofferenze dell’invecchiamento potrebbero essere risolte mediante la trasformazione della persona in un avatar simile al reale e a basso costo.

Le tappe verso lo scopo finale partono da una copia bionica del corpo umano, riprodotto in un momento e in uno stato che siano ottimali per la persona; poi si creerà un avatar nel quale riprodurre esattamente, mediante gli attuali potenti mezzi di simulazione, il cervello e la personalità individuali, per arrivare – entro il 2045, appunto – alla persona olografica svincolata dai limiti dell’umano.

Si aprirebbe così la possibilità di superare il termine della vita individuale, realizzando la potenziale immortalità cui l’umanità aspira fin dalle origini del mondo, che tutte le religioni traducono nella credenza in una vita ultraterrena e nella possibilità di reincarnazione, che la simulazione potrebbe adesso realizzare. Ma questa persona olografica potenzialmente immortale sarebbe realmente cosciente come la persona vivente da cui deriva? È davvero possibile creare un altro sé in un avatar che non invecchia e non muore, appagando così il desiderio di immortalità?

LA COSCIENZA SI PUÒ SIMULARE?

Non mancano certo perplessità rispetto a questo slancio verso un futuro di pervasiva simulazione e critiche di tipo etico-religioso, rivolte al tentativo di eliminare il limite biologico e di sostituire alla vita eterna, che diverse religioni propongono, un futuro eterno basato sull’artificiale prodotto dall’umanità stessa.

Ma il problema è anche scientifico. Da parte delle scienze psicologiche rimangono forti dubbi sul fatto che la coscienza sia effettivamente simulabile. Non appare al momento possibile (e sensato) raggiungere artificialmente elevati livelli di coscienza senza un substrato vitale e ambientale perfettamente riproducibile pure in modo artificiale. Ci si chiede se questa impossibilità sia legata ai limiti di potenza attuale delle macchine e alla sofisticatezza dei criteri per programmarle, oppure sia un problema fondamentalmente insormontabile rispetto alla complessità della coscienza umana, fatta di emozioni, creatività e libertà di opzioni in relazione alle opzioni di altre coscienze, e di un’autocoscienza individuale e collettiva di tutto ciò: quindi irriducibile a simulazioni, per quanto avanzate. Certo, se si potesse ottenere una consapevolezza dell’organismo artificiale in relazione al contesto anch’esso simulato, sarebbe un risultato non da poco, ma comunque non equivalente alla coscienza umana estesa nel mondo, almeno come la psicologia fino ad oggi la intende, sottolineandone gli aspetti squisitamente relazionali e sistemici, non riducibili ad algoritmi per quanto sofisticati e flessibili.

CHI CONTROLLEREBBE UN FUTURO IMMORTALE?

Un ulteriore problema si pone a livello etico e socio-politico: la “vita oltre la vita” – ammesso che la si possa davvero realizzare – da chi sarebbe governata, se non da altri agenti intelligenti con poteri sulla riproduzione e conservazione della mente cosciente, cioè l’essenza stessa dell’esistenza?

Lo stesso Bostrom fondatore del trans-umanesimo di recente ha messo in guardia contro i rischi che superintelligenze sempre più dotate rispetto all’intelligenza umana possano indurre una dipendenza dell’umanità da tali macchine e creare potenziali catastrofi esistenziali: quei rischi di un “totalitarismo cibernetico” che gli umani avvertono d’istinto immaginando umanoidi dall’intelligenza superiore, come affermato da tanta produzione letteraria e cinematografica sui robot “troppo umani”.

Può l’umanità avvalersi del supporto delle menti intelligenti che essa stessa crea, usandole per fini positivi all’interno della vita, piuttosto che al di là di essa? E per supportare gli umani nella loro esistenza mortale, piuttosto che appagare – forse illusoriamente – un desiderio di immortalità che non trova realizzazioni in altro modo?

È questa una delle sfide che la realtà virtuale e la simulazione della mente dovranno affrontare nel prossimo futuro. 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 267 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui