Primo Lorenzi

Transfert e controtransfert

Nel drammatico confronto tra amore e odio

L’amore e l’odio si possono considerare due diverse attitudini verso l’altro e il mondo. In quanto tali, presiedono ad ogni relazione umana, come mostrato dal ruolo che essi giocano nel transfert e controtransfert delle psicoterapie del profondo.

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«Odi et amo/ Quare id faciam, fortasse requiris/ Nescio, sed fieri sentio et excrucior». Molti ricorderanno i due fulminanti versi di Catullo, su cui ci siamo attardati tra i banchi del liceo. La traduzione ha sfidato il meglio dei traduttori e poeti di tutte le lingue. È infatti difficile rendere la densità di senso di queste apparentemente semplici e lapidarie affermazioni. A cominciare dalla constatazione icastica («Odi et amo», “odio e amo”) di poter amare e odiare in contemporanea: apparentemente un assurdo, perché i due sentimenti si elidono – o si dovrebbero elidere – a vicenda. Poi la domanda: «Tu mi domandi perché mai lo faccia», anch’essa statuaria. E la risposta disperata: «Non lo so, ma sento che succede e me ne cruccio». Disperata e rassegnata: veicola l’idea di una forza superiore che ti costringe in una direzione. Una forza a cui non è possibile resistere e che, con rammarico, si è destinati a subire. Ma «excrucior» rimanda a qualcosa di più di un semplice “rammarico”; letteralmente significa “ex cruce”, “dalla croce”. Dunque, veicola l’idea di un dolore lancinante, di un martirio che ti entra nella carne.

Odio e amore rappresentano i due poli motivazionali estremi di ogni relazione umana. Più che come sentimenti, si possono definire come due attitudini verso l’altro e verso il mondo e, come tali, si dispongono sempre all’orizzonte di ogni relazione. Due spinte basilari “verso” ciò che è fuori da sé, le quali, nelle prime fasi dello sviluppo, dettano i modi in cui ci apriremo al mondo per tutta la vita a seguire, fino a sancire lo stile relazionale di ciascuno di noi. Premessa anche di drammatiche disfunzionalità e ricadute psicopatologiche.

Perché ciò avviene? Quale significato hanno questi due sentimenti così strutturanti il nostro esistere? Come influenzano la relazionalità umana? E, in particolare, che parte hanno nel determinare i movimenti transferali e controtransferali che muovono le psicoterapie del profondo?

AL CUORE DI OGNI RELAZIONE UMANA

L’esperienza dell’altro (e dunque anche di sé e della realtà) è forse il più raffinato obiettivo della nostra mente. Snodo cruciale per la costruzione di ogni soggettività, di ogni schema autorappresentativo e di ogni relazionalità. Ed è proprio in questa prospettiva, indicata dagli psicoanalisti come “costruzione di un legame oggettuale”, che si inseriscono le esperienze dell’amore e dell’odio. Entrambi i sentimenti si uniscono nel contribuire alla definizione egoica.
L’amore, affermandoci nell’espansione verso una coincidenza con il mondo. L’odio, definendo un oggetto che, disconfermando, ci dà il senso del confine e ribadisce chi siamo ancor più di ciò (l’amore) che ci può affermare fino alla dispersione.

Sarà giocoforza pensare che movimenti tanto importanti nella definizione del proprio Sé possano entrare pesantemente nella relazione psicoterapeutica che si propone, mediante i meccanismi del transfert e del controtransfert, di attualizzare le prime relazioni interpersonali. Così da conoscerle ed eventualmente modificarle.

Ogni relazione umana è un’avventura; ogni volta nuova, ma sempre tessuta su un canovaccio dettato dalle relazioni pregresse. In particolare da quelle attraverso cui la nostra innata capacità relazionale si è, all’inizio, esercitata e costruita. Le nostre relazioni si indirizzano, così, secondo trame grosso modo prefissate che ricalcano e ripropongono vissuti propri dei primi rapporti, tutti segnati dal drammatico dilemma odio/amore: con me o contro di me. Un tale contesto interno plasma la realtà percepita definendosi come una specie di grande tela capace di far vedere alcune cose e di nasconderne altre, aprire a speranze ed esporre a paure e aspettative.

Il già vissuto, il pregresso, si confronta e amalgama con il nuovo: il passato si attualizza e il presente continuamente rimanda a ciò che è stato. Il tutto finisce per dare un’impronta originale alla percezione della realtà di ciascuno di noi, che solo in un secondo tempo si cerca poi di accordare con quella collettiva. Un meccanismo che raggiunge il suo punto di massimo impegno proprio nella lettura e nella percezione dell’altro, quando intensamente investito di intenzionalità, come nelle esperienze passionali (Lorenzi, 2018).

Le tracce pregresse definiscono le aperture relazionali di ciascuno di noi, così da essere in gioco anche nella stessa scelta dell’altro (Lorenzi, 2011). A questa linea di pensiero vanno ricondotte le “affinità elettive” che talvolta ci suscitano tanta meraviglia. Mi riferisco a quelle condizioni in cui risulta di patente evidenza che si incontrano sempre le stesse persone, si costruiscono relazioni simili, si commettono gli stessi errori, si viene catturati da aspettative sempre uguali. Il discorso vale per la scelta del partner, per le persone che ci suscitano interesse e attrazione, e anche per quelle che ci comportano disagio, paura, rabbia. Il processo, però, non va in una sola direzione – dal soggetto all’altro –, ma anche nella direzione opposta: dall’altro al soggetto. In altre parole, «Ogni relazione oggettuale è una nuova aggiunta ai primi definitivi attaccamenti dell’infanzia» (Brenner, 2014) e in qualche misura modifica quel canovaccio di prevedibilità e di progettualità che detta la trama dell’incontro. Lo modifica e ne viene modificata.

Molta patologia può essere letta come frutto di un particolare indurirsi di questo schema, che porta a riproporre, senza flessibilità, aspettative e paure, desideri e speranze spesso ormai disattualizzati.

Ecco dunque che si delinea un quadro così schematizzabile:

• il nostro sistema nervoso ha delle strutture neuroanatomiche volte a costruire la vita relazionale. Si tratta del cosiddetto “social brain”, la cui conoscenza è una delle frontiere attuali della ricerca neurobiologica;

• fin dai primi periodi della vita, tali strutture neurobiologiche ci permettono di tessere relazioni. Ma non in modo standardizzato: ognuno di noi ha una sua specificità che già dà una coloritura “temperamentale” al nostro modo di aprirci al mondo;

le prime relazioni interagiscono con questo sistema, ne sono frutto, ma insieme lo plasmano in modo assai rilevante. Un po’ come può fare un buon (o cattivo!) trainer. Ed è proprio in queste prime relazioni che si impara, o si dovrebbe imparare, a costruire relazioni d’oggetto con un adeguato mix di amore e odio. A saper cioè maneggiare la difficile alchimia fra le due attitudini;

• gli schemi operativi che vengono costruiti saranno attivi per tutta la vita, modellando il nostro orizzonte relazionale con una coloritura che è propria a ciascuno di noi. Influenzeranno il nostro modo di porci nel mondo e di costruire le relazioni umane più significative. Fino a definirsi quasi come un “destino”;

• si tratta di trame di senso che si pongono in un rapporto dinamico con le nuove esperienze: appunto, le modificano e ne possono essere modificate. Da qui la formidabile intuizione freudiana che una nuova esperienza relazionale – quella psicoterapeutica – possa portare al massimo tale attitudine, fino a modificare la trama primigenia della nostra relazionalità (Freud, 2003).

UNO STRUMENTO DI CURA

In questa catena di passaggi si possono trovare i nuclei di senso e gli snodi causali su cui poter indirizzare i nostri interventi terapeutici. Da quelli sul fondo biologico che sottende tutta la vita relazionale (terapie somatiche) a quelli che, avvalendosi di una relazione attuale, cercano di capire la realtà delle prime relazioni. Tanto da poter essere strumento di conoscenza e pure di cambiamento. È questo l’ambito in cui si muovono tutte le psicoterapie a indirizzo psicodinamico.

All’inizio del secolo scorso, Freud ebbe la geniale intuizione sia dell’esistenza di questo canovaccio sia della possibilità di usarlo come strumento di conoscenza e di cambiamento. Al fenomeno dette il nome di “transfert”, da intendersi come la riattualizzazione, all’interno del rapporto con il terapeuta, di dinamiche relazionali specifiche per ogni paziente. Di lì a poco si renderà conto che un fenomeno analogo coinvolge pure il terapeuta e che anch’esso può essere impiegato come strumento di conoscenza e cura. Ad esso dette il nome di “controtransfert”, da intendersi come un insieme di risposte emotive che il terapeuta esperimenta come risposta specifica a un dato paziente. Fu proprio per maneggiare questo potente meccanismo che Freud cominciò a considerare indispensabile un periodo di analisi “didattica” per ogni nuovo psicoterapeuta (Freud, 2003).

Da tale bagaglio teorico nacque l’idea di poter utilizzare la relazione terapeutica come mezzo per ricostruire e riattualizzare i modi in cui il paziente aveva costruito le sue aperture relazionali, così da sottrarre alla “coazione a ripetere” comportamenti e reazioni ormai disattualizzati. Conoscere, dunque, ma anche poter controagire: cambiare. Quello che poteva anche essere letto come la prosecuzione moderna dell’“itinerarium in se ipsum” tanto caro al pensiero medievale si apriva ora a un uso terapeutico. Reso possibile da una preparazione tecnica del terapeuta (la cosiddetta “analisi didattica”) e dalla definizione di un contesto atto a rendere tale processo il più efficiente possibile rispetto agli scopi prefissisi: la conoscenza e il cambiamento. A questo contesto verrà dato il nome di “setting” (“contesto”).

Il gioco del transfert e controtransfert in un particolare contesto diventò ben presto l’armamentario fondamentale della relazione psicoterapeutica, che si andava definendo non come un puro incontro fra due persone, ma come una relazione asimmetrica, dove al paziente era richiesto di agire il proprio transfert e al terapeuta di “astenersi” dall’agire il controtransfert. Sarà, questo, uno dei grandi spunti di riflessione del Freud maturo che lo porteranno ad aspri scontri con altri psicoanalisti. Il tema del “digiuno” e quello dell’“astinenza” (dall’azione fisica e mentale) diventeranno centrali nell’intero dibattito psicoanalitico, soprattutto nella misura in cui impongono al terapeuta di tenere per sé, di elaborare al suo interno, il controtransfert. Cosa non facile, specie quando si ha a che fare con patologie importanti che necessitano anche di interventi attivi e di scelte pressanti.

Ricapitolando, si possono considerare i movimenti transferali come attivi in ogni relazione umana. Nel transfert terapeutico gli stessi movimenti transferali sono sfruttati per conoscere ed eventualmente variare i modi in cui la relazionalità di quel singolo paziente si è costruita. L’uso del contesto e di una specifica preparazione (anche esperienziale) del terapeuta permette di potenziare al massimo le possibilità conoscitive e di interventive. Il modo in cui ciascuno di noi costruisce la relazione con l’altro (in tal caso, con il terapeuta) ci può dire tante cose del suo stile esistenziale, delle sue fragilità e della sua storia. Portandoci talora fino a quel momento in cui certe esperienze sono state fatte per la prima volta e hanno poi influenzato quelle a venire.

Le modalità transferali acquistano dunque un significato diagnostico. Così, per esempio, l’erotizzazione del transfert è da considerarsi espressione di una modalità isterica di porsi nel mondo; attestato di una soggettività che cerca conferma tramite il sentirsi amata, considerata, apprezzata. E che impronta ogni relazione in questa direzione, ricorrendo ai mezzi più molteplici: dalla franca offerta erotica alla ricerca di visibilità e di apprezzamento. Il tutto volto a riempire un vulnus che si è verificato in un tempo remoto e che da allora si ripete come se fosse ancora attuale.

La ri-attualizzazione transferale, proprio perché relativamente asettica, può permettere al paziente di vedersi: di oggettivarsi e di prendere consapevolezza di come i suoi modi di inquadrare la realtà si traducano in comportamenti fattivi. Fino a poter ricostruire, mediante i segni nel presente, le vicende passate che hanno avuto una funzione matriciale. O almeno a poter inferire il tenore e l’area in cui dette vicende, con buona probabilità, si possono essere mosse. L’attenuazione e la modifica della modalità malfunzionante nel corso della relazione possono dare pure indicazioni prognostiche. Ecco, così, che tutti i passaggi dell’operare medico appaiono in successione: dalla possibilità di fare diagnosi a quella terapeutica e prognostica.

In questo processo anche il controtransfert porta il suo contributo. In altre parole, il transfert che il terapeuta attua sul paziente, quando maneggiato e riconosciuto, può servire a fare diagnosi: il fatto di provare certe esperienze è suggestivo di particolari e specifiche realtà cliniche. Tutto sta nel saperle riconoscere e usare, cercando di non controagire. Attenendosi cioè al “principio dell’astinenza” così fortemente sottolineato dall’ultimo Freud.

LE GRANDI SFIDE DEL TRANSFERT 

La prima sfida è senz’altro quella dell’astinenza. Amore e odio, più che sentimenti, sono due modalità organizzative, due modi di porsi nei confronti del mondo. Non è facile, pertanto, stare in una relazione che riattualizza le prime relazioni così cariche di amore e odio, capaci quindi di muovere controrea­zioni e isometricità di coinvolgimento. Non è facile quando tutte le regole del contesto siano in essere. E ancor meno quando debbano essere messe tra parantesi o addirittura sospese. I primi psicoanalisti che si avventurarono nel trattamento delle psicosi o di gravi disturbi della personalità lo ebbero ben presente e spesso ne fecero anche le spese. Il primo riferimento va a Ferenczi, che si avventurò in terreni, in rapporti, così devastanti, da avere essi forse avuto parte anche nell’accelerarne la prematura morte (Ferenczi, 2002).

Uno dei fondamenti del contesto psicoterapeutico è la dimensione duale della relazione terapeutica. Senza terze presenze che ne possano sovvertire le dinamiche. L’aspirazione è a far sì che ogni cosa “terza” possa essere minimizzata e svelenita attraverso le regole che costituiscono il “contratto” terapeutico. Ma talvolta ci sono interferenze che non possono essere evitate. Mi riferisco alla presenza dell’istituzione (come avviene quando la psicoterapia si attua negli ospedali o nei servizi pubblici) che porta le sue norme, impone le sue regole (o licenze). Allo stesso modo, se la relazione prende un deciso aspetto interventivo – come in presenza di gravi patologie –, può esservi la necessità di contattare colleghi, familiari, altre agenzie di assistenza o, più semplicemente, di fare i conti con l’uso di farmaci e di chi li prescrive.

La modifica del contesto (e dunque del gioco di transfert e controtransfert che ne consegue) altera profondamente il rapporto terapeutico, con tutte le inevitabili conseguenze. Una sfida che, per i puristi della tecnica, si definisce come troppo pericolosa per essere accettata, ma che, d’altro canto, ha aperto a nuovi sviluppi e a nuove possibilità applicative: dalla cura delle psicosi alle psicoterapie infantili, a quelle dei disturbi di personalità.

 

PRIMO LORENZI è psichiatra e psicoterapeuta. Autore di molte pubblicazioni, ha lavorato e insegnato presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Firenze, ed è docente a contratto presso l’Università.

 

Riferimenti bibliografici
Brenner C. (2014), Breve corso di psicoanalisi (trad. it.), Giunti, Firenze.
Ferenczi S. (2002), Opere. 1927-1933 (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, vol. IV.
Freud S. (2003), Casi clinici e altri scritti 1909-1912 (trad. it.), Bollati Boringhieri, Torino.
Husserl E. (1931), Meditazioni cartesiane. Con l’aggiunta dei “Discorsi parigini” (trad. it.), Bompiani, Milano, 2002.
Lacan J. (2008), Il Seminario Libro VIII - Il transfert (1960-1961) (trad. it.), Einaudi, Torino.
Lorenzi P. (2011), Donne e dee. Figure dell’eterno femminino, Alpes, Roma.
Lorenzi P. (2018), La dipendenza affettiva. Da Orfeo alle nuove dipendenze, Alpes, Roma.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui