Umberto Galimberti

Sessualità

Nell’inflazione di immagini in cui versa, il sesso ha ormai perduto ogni carica eversiva. Depotenziato nel mercato della contrattazione e della ripetizione meccanica.

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Le case chiuse sono state veramente chiuse non dalla legge Merlin, ma dallo spostamento della domanda che non chiede più scambio sessuale, bensì compravendita dell’immaginario. Ciò che si vende per le strade e nelle case non più chiuse, infatti, non è tanto il sesso, quanto la rappresentazione del sesso e lo sfavillio delle immagini che produce. Allo stesso scopo rispondono i locali notturni, la pornografia via Internet, i sexy shop sparsi in tutta Italia per la vendita di video, DVD, attrezzi e indumenti di varia immaginazione. Di tanto in tanto si ha un intervento della Guardia di Finanza per il controllo di questo mercato, il cui giro d’affari è calcolato nell’ordine di diversi milioni. Spesso il controllo porta al sequestro, il sequestro allo stoccaggio in appositi magazzini: l’immaginario sessuale finalmente in cantina.

Accomuno prostituzione e produzione di materiale pornografico in base alla mia convinzione che oggi la prostituzione non venda sesso, ma l’allucinazione che il desiderio promuove e che il denaro dà per un attimo l’impressione di poter realizzare. Infatti, a contrattazione conclusa, dove lo sguardo del corpo disabbigliato della prostituta o del travestito ha innescato la sua trappola giocata sulla fascinazione, i due si avviano a quella breve pratica sessuale nella quale la fascinazione implode nel regime che regola ogni nostra attività inscritta nella massima «Il tempo è denaro». E così, sotto la promessa del sesso, ciò che davvero si compra è la possibilità, l’idea, l’illusione che la sessualità sia a portata di mano e finalmente percorribile secondo i tracciati del desiderio.

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Ma il desiderio non sa cosa vuole, è un atto infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione e perciò cerca la novità che subito invecchia, spostando di continuo il “comune senso del pudore”, non perché siamo diventati più emancipati, ma perché ormai siamo saturi per sovrabbondanza di visioni sessuali giocate su tutti i registri: dalla pubblicità, dove si vorrebbe far desiderare un prodotto con la stessa intensità con cui si desidera il sesso, alla pornografia, dove il principio della distribuzione massiccia rende normale ciò che è ovunque diffuso. Tutto ciò è consentito perché, fra il custode della moralità e il trasgressore, fra il tutore dell’ordine che dà alla prostituta e al viados il foglio di via e il fruitore che va a rintracciare prostituta e viados su un’altra via, c’è una comune persuasione: in gioco non è il sesso, ma la sua rappresentazione allucinatoria e il ventaglio, promesso e mai mantenuto, delle sue invitanti variazioni.

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Sono professioniste le prostitute, professionisti sono diventati i viados, professioniste sono entraîneuse e spogliarelliste, professioniste sono le pornostar. Ciò che allora si legge nel mondo notturno dell’eros è la regola diurna che regola gli scambi. In questo modo il sesso, che conosce solo il furto e il dono, nonostante la fantasmagoria del suo scintillio viene sepolto dal principio della contrattazione e della ripetizione, cioè dalle due grandi regole che organizzano il nostro vivere quotidiano. Esse si rivelano più forti dell’indignazione morale e della repressione delle forze dell’ordine, perché non c’è più notte se nelle tresche della notte si leggono le rigide leggi del giorno.

Il sesso, che è innanzitutto sguardo e volto, esce così di scena e perciò diventa o-sceno. Non tanto per la gestualità scomposta del corpo nudo, ma per la ripetizione monotona e prolungata di questa gestualità, dove un corpo senza volto si offre con le cadenze ossessive di uno spasmo che ha più parentela con i ritmi della morte che con quelli del desiderio. In questo senso dico che nella nostra consumata cultura non c’è più sessualità, ma solo la sua parodia, già ampiamente controllata dai produttori della sessualità che, inscrivendola nella contrattazione e nella ripetizione, hanno finito con l’estinguere il desiderio e la sua fascinazione. Infatti, nel proliferare incontrollato di immagini sessuali, sulle strade, sugli schermi, sulla carta stampata, la sessualità è estinta in ciò che ha di potenzialmente sovversivo e creativo, perché ciò che circola è solo la ripetizione monotona di una promessa mancata, dove il sesso è rigorosamente arruolato nel professionismo, nella contrattazione e nella ripetizione: le regole diurne dell’Io, non gli sconfinamenti di quella follia che ci abita e che trova nella sessualità non professionale, non contrattata e non ripetitiva la sua prima parola.

UMBERTO GALIMBERTI, membro dell’International Association of Analytical Psychology, ha insegnato Filosofia della storia all’Università di Venezia. Autore di molti volumi, tradotti anche all’estero, collabora con la Repubblica.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui