Guido Sarchielli

Quando pensare troppo al lavoro diventa un assillo

Effetti del rimuginare

Non sono rari questi episodi che mostrano non solo quanto sia difficile “staccare la spina” dal lavoro, ma soprattutto quanto un lavoro possa invadere la vita personale, stimolare pensieri stressanti e mettere a rischio l’efficacia, l’efficienza e
la soddisfazione del lavoratore.

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«Qualche giorno fa mi è capitato, alla fine della giornata, di essere severamente ripresa dal mio capufficio per una relazione molto impegnativa che stavo concludendo in ritardo sulle scadenze e che, secondo lui, non andava bene e doveva essere rifatta. Ci sono rimasta molto male e con un senso di vergogna (anche perché l’episodio è avvenuto in pubblico) ho cercato di trovare delle scuse. La cosa non si è fermata lì.

Anche a casa rivedevo di continuo la situazione. Anzi, quando sono andata a letto avevo come dei flashback su quanto successo, ripensavo di continuo alle possibili cause del mio cattivo risultato e a come avrei potuto spiegare meglio la situazione; mi chiedevo con ansia crescente se fosse stata colpa mia e a come avrei potuto rimediare. La mia mente non mi dava tregua. Più il tempo passava più mi sentivo triste. Insomma ho passato una notte infernale e da qualche giorno mi sveglio con un pensiero fisso assillante: come potrò risolvere la mia questione?».

Non sono rari questi episodi che mostrano non solo quanto sia difficile “staccare la spina” dal lavoro, ma soprattutto quanto un lavoro possa invadere la vita personale, stimolare pensieri stressanti e mettere a rischio l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione del lavoratore.

Pensare con attenzione a come risolvere un problema lavorativo non previsto e che desta preoccupazione è sicuramente d’aiuto nell’affrontarlo. E in sé non c’è niente di male a farlo anche fuori dal lavoro. Tuttavia, quando ciò occupa troppo tempo, risulta ricorrente e quasi automatico, ha effetti irritanti e ansiogeni e impedisce di fare altro, allora diventa un segnale di possibile ruminazione.

Con questo termine gli psicologi si riferiscono a un continuo e tormentante ripensare alle caratteristiche di una situazione vissuta o alle ragioni dell’insuccesso in un compito che si è svolto o che è stato interrotto e dovrà essere completato.

In realtà, si specifica che la ruminazione si riferisce alla persona che pensa di continuo a ciò che le è successo di negativo, mentre quando ci si rivolge al futuro e ad immaginare eventi preoccupanti o minacciosi si parla di rimuginio.

In ogni caso, siamo in presenza di una catena di pensieri mal controllabili, pervasivi e ripetitivi, riferiti a un compito percepito come poco risolvibile. Ad essi sono associati risvolti emotivi negativi e sentimenti di dubbio circa la propria capacità di superare l’impasse in cui ci si trova.

In genere, coesistono due aspetti che complicano questa condizione e la rendono una forma di regolazione cognitiva ed emotiva non adattiva:

  1. un’incapacità di analizzare freddamente e in modo critico la situazione per individuare soluzioni;
  2. la tendenza a svalutare le proprie risorse psicosociali con conseguenti difficoltà nell’indirizzarle su efficaci strategie di coping.

La ricerca psicologica ha mostrato che le persone che si fissano su uno stile di pensiero rimuginante tendono a ricordare con insistenza le cose negative capitate nel passato, a interpretare pessimisticamente il presente e a sperare poco sul futuro.

Se questa condizione si prolunga si evidenziano conseguenze negative anche gravi, a vario livello:

  • ridotta attenzione e concentrazione sui compiti lavorativi;
  • tendenze depressive importanti miste ad ansia;
  • abbassamento della stima di sé e dell’autoefficacia, con sentimenti di inutilità e tendenze al ritiro dell’impegno personale e all’apatia;
  • maggiore vulnerabilità allo stress, con ipersecrezione del cortisolo;
  • disturbi della qualità del sonno, con irrequietezza e maggiore affaticamento lavorativo;
  • condotte mal adattive contro se stessi (per esempio, consumo eccessivo di psicofarmaci, di cibo o di alcool);
  • relazioni insoddisfacenti nell’ambito familiare e amicale per un allentamento dei rapporti dovuto all’eccessiva insistenza della persona a fissarsi solo sui propri problemi.

Così anche il sostegno sociale dei colleghi viene facilmente logorato. Si può addirittura determinare una situazione di co-rumination cioè di contagio tra colleghi che, insistendo a parlare troppo solo degli aspetti negativi di una situazione, rafforzano a vicenda il loro pessimismo nel trovare effettive soluzioni.

Come uscirne? La risposta non è semplice anche se una ragionevole via d’uscita sarebbe quella di:

  1. impegnarsi in altri compiti lavorativi più stimolanti che riducano gli effetti del problema lavorativo che ha scatenato la ruminazione;
  2. coinvolgersi in attività interessanti extralavorative (hobby, esercizio fisico, ecc.) che facciano distrarre la persona dai suoi pensieri ossessivi sul lavoro e facilitare il ristoro.

In realtà, tali strategie non sono di immediata applicazione poiché prima occorre delimitare l’invadenza della ruminazione in atto.

Per far ciò gli psicologi suggeriscono almeno di:

  • relegare il rimuginio in un tempo delimitato della giornata;
  • esercitarsi nell’autoriflessione positiva e in varie forme di meditazione ovvero concentrarsi su aspetti semplici della vita quotidiana lavorativa e non lavorativa che danno soddisfazione e possono incrinare a poco a poco uno stato d’animo triste;
  • provare ad imparare le skills adatte a risolvere i problemi con un allenamento alla ricerca di alternative possibili e alla flessibilità;
  • cercare un sostegno psicologico professionale per contrastare queste modalità di pensiero disfunzionali.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 254 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui