Annamaria Manzoni

Quando il gatto è un clandestino

In breve: a Gioia Tauro giorni fa un gattino viene visto all’interno di una scuola primaria. Per liberarsene viene chiamato un bidello, che lo uccide a bastonate, provocandone una lunga agonia davanti ai bambini.

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Dell’intervento degli insegnati, in base alle cronache, non c’è traccia ed è inquietante pensare che si siano limitati ad una supervisione silenziosa. E i bambini? Le dichiarazioni del preside, giustificatorie dell’operato del bidello, non adombrano preoccupazione per l’impatto emotivo sugli alunni.

Se l’eco mediatica è stata ampia, la reazione emotiva può oscurare considerazioni importanti: ogni adulto agli occhi dei bambini riveste autorità morale, perché è da lui che devono arrivare le “linee guida” per comprendere la realtà e discernere il giusto dallo sbagliato, quando le capacità critiche sono solo in nuce. Tra gli adulti vi sono persone che, in virtù del loro ruolo, sono dotate di maggiore autorità come gli operatori scolastici: se la funzione educativa è demandata agli insegnanti, gli altri operatori sono comunque tenuti a comportamenti adeguati al contesto. L’episodio è grave anche alla luce degli studi, che collegano gli effetti della violenza assistita a quelli della violenza subita o di quella perpetrata. Quella sugli animali è stata individuata dal DSM come uno dei criteri di diagnosi per il Disturbo della Condotta, connotata come elemento degno di attenzione. Ne consegue che perpetrare violenza sugli animali davanti ai bambini in un contesto scolastico viola ogni norma in loro tutela.

Per i bambini già esposti a modelli violenti questo episodio potrebbe aver rappresentato la norma, con una conseguenza di semplice rafforzamento nell’abitudine alla violenza; per quanti sono stati maggiormente tutelati in famiglia, invece, l’esposizione a un episodio di crudeltà fino a quel momento sconosciuta potrebbe aver rappresentato uno shock; per altri ancora, invece, potrebbe aver portato all’emersione di precedenti esperienze rimosse. In ogni caso l’evento si può classificare come emotivamente tossico.

L’OMS, nell’affrontare il tema della prevenzione dalla violenza, parla di “modelli ecologici”, riferendosi alle sue manifestazioni, a volte disconosciute perché “normali”: come, aggiungo io, lo scapaccione “educativo” al bambino, il cane alla catena, il morso nella bocca del cavallo. Le Linee Guida per la Protezione dei Bambini dalla Violenza (Consiglio d’Europa, 2009) non lasciano adito alle possibili minimizzazioni: i minori devono essere protetti da qualunque forma di violenza “however mild”, “anche tenue”. In un mondo, in cui i bambini sono anche quelli devastati quotidianamente dai bombardamenti siriani, imprigionati come criminali nelle prigioni libiche, ammazzati di botte da padri e patrigni nelle case italiane, la tentazione di giustificare con il confronto vantaggioso la cronaca del gattino ucciso è dietro l’angolo. Tuttavia lavorare per la costruzione di una società non violenta, significa riconoscere l’impatto di ogni crudeltà: poiché come diceva Freud “una volta formatosi nella vita psichica, nulla può perire”.

Annamaria Manzoni www.annamariamanzoni.it