Giorgio Nardone, Vittorio Porpiglia

Psicomania quantitativa: gli eccessi della quantificazione in psicologia e nelle scienze sociali

È sbagliato pretendere che la validità di una disciplina dipenda dal fatto di essere passibile di analisi quantitative. La psicologia, per esempio, ha una ineliminabile componente qualitativa e interpretativa.

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Nella prima parte del secolo scorso il grande sociologo Max Weber ideò il “modello burocratico” per evitare nelle relazioni tra chi lavorava nelle prime grandi istituzioni il rischio delle influenze emotive e degli equivoci comunicativi. Come oggi è a tutti evidente, i risultati non furono quelli attesi poiché la burocrazia piuttosto che sconfiggere i mali della disorganizzazione e delle inefficienze delle prestazioni li complicò ancora di più. 

Qualcosa di simile è accaduto negli ultimi decenni anche nelle scienze psicologiche e, come vedremo più avanti, nel mondo dell’economia e delle discipline che si occupano di decision making. Sulla scia di una logica di impostazione positivistica, infatti, sia la psicologia che l’economia hanno sempre più trovato supporto metodologico nelle discipline basate sul calcolo. Il tutto confidando nel fatto che il calcolo matematico garantisca la correttezza e l’idoneità delle procedure, e grazie a ciò il risultato auspicato. Purtroppo, però, troppo spesso l’analisi quantitativa e matematica viene considerata affidabile anche quando è applicata a fenomeni qualitativi non quantificabili. Come dire: siccome uso una scienza esatta, il procedimento non può che essere perfetto e il risultato assicurato. 

DUE PIÙ DUE PUÒ FARE CINQUE

Un esempio è la verifica dell’efficacia di una terapia, che è un fenomeno puramente qualitativo e che negli ultimi tempi è stato però ricondotto a metodiche quantitative e statistiche: le metodologie basate sull’evidenza e Randomized Controlled Trial (RCT) sono divenute il criterio di verifica dell’efficacia terapeutica, producendo il paradossale effetto di considerare empiricamente validate terapie la cui valutazione sia stata fatta mediante un metodo sperimentale da laboratorio applicato a piccoli gruppi di soggetti ma con un elaborato disegno statistico, mentre vengono ritenute non validate terapie che dimostrano la loro efficacia su larghi campioni di reale casistica clinica studiata sul campo e attraverso studi longitudinali.

Lo scorso anno, al riguardo, è stato pubblicato sul Journal of the American Medical Association un importante articolo dov’è riportato che da una revisione degli oltre 100 studi di questo tipo che avevano decretato la terapia cognitivo-comportamentale come gold standard, la maggioranza presentava importanti falle metodologiche e, per ciò, una fallacia nella valutazione degli esiti

Questo modo di ragionare, che rappresenta un sublime autoinganno cognitivo (Nardone, 2013), è il prodotto di millenni di logica che da Aristotele in poi hanno guidato con successo l’uomo a sviluppare l’intelligenza e la capacità di gestire la realtà. Ma quando tutto ciò diventa una forma rigida e assoluta di analisi di ogni fenomeno, il processo da funzionale diventa disfunzionale.

La cosiddetta “scienza esatta” è tale perché è stata costruita per esserlo, non perché lo sia intrinsecamente. In natura i numeri non esistono, sono un’invenzione dell’uomo per dare un ordine alle cose; 2 + 2 fa 4 perché il calcolo matematico è stato costruito in modo da produrre tale risultato, ma sia in natura che soprattutto nelle interazioni umane 2 + 2 può fare 5, 8 o addirittura 0, in quanto gli eventi naturali, così come le dinamiche relazionali, non sottostanno alla regola dei numeri. La matematica è infatti la disciplina meno concreta e più astratta che esista, una realtà inventata che produce effetti concreti poiché permette calcoli che danno la possibilità di progettare e realizzare operazioni pratiche che vanno dal mero scambio di merci al viaggio sulla luna. 

Pare che Pitagora stesso, a cui si attribuisce il ruolo di iniziatore della disciplina dei numeri e dei calcoli, vivesse dentro una tenda e che nessuno avesse mai visto le sue reali sembianze. La sua setta esoterica, che attribuiva ai numeri un potere magico, avrebbe dato origine al movimento sapienziale dei Pitagorici. La disciplina a cui si riconosce il grado di certezza più elevato nasce dalla ben poco rigorosa antica sapienza esoterica. Sin dalle sue origini la scienza è stata profondamente influenzata dalle credenze magico-religiose. D’altronde non poteva che essere così, giacché, come ci insegna l’antropologia culturale, il bisogno di rassicurazione ha indotto gli esseri umani a cercare di spiegare eventi e dinamiche della natura costruendo credenze divinatorie. Man mano che la capacità di conoscere e manipolare il mondo si è evoluta, anche le credenze magiche e superstiziose si sono evolute in forme di conoscenza sperimentata; le ulteriori conquiste conoscitive hanno portato alla nascita della scienza moderna.

L’IPERSOLUZIONE DEL RAZIONALISMO

In psicologia i metodi quantitativi, a differenza di quelli qualitativi, costituiscono ormai da diversi anni lo standard nella ricerca sperimentale: tecniche di analisi statistiche, di campionamento, elaborazione e misurazione di dati, sono le metodologie principali utilizzate per giungere alla conoscenza “oggettiva” dei fenomeni. Ma ci si dimentica che anche la scienza più pura, la fisica, ha dimostrato da un secolo i limiti fondamentali del concetto di oggettività scientifica.

L’osservato è sempre frutto dell’interazione con l’osservatore, eppure tuttora la maggioranza delle riviste di scienza continua a impiegare espressioni come “verità scientifica” e “conoscenze oggettive”. Negli ultimi decenni se un articolo scientifico non è corredato di un’analisi statistica, nella maggioranza dei casi non è ritenuto pubblicabile, in quanto carente di prove e verifiche. Ma fare di uno strumento operativo come la statistica un criterio di scelta e di verifica dei risultati significa elevarlo a deus ex machina teorico-applicativo, che non è assolutamente il ruolo per cui esso è stato approntato. Si tratta di un modo di procedere metodologicamente scorretto (Nardone e Tani, 2018) perché, come riportato da Denzin e Lincoln, «nessun metodo da solo può cogliere le sottili variazioni nel flusso dell’esperienza umana».

Nelle scienze economiche, per motivi di prossimità alle discipline del calcolo, questo fenomeno è ancora più evidente: la “dea Quantificazione” ha sedotto gli economisti, i quali hanno usato il calcolo matematico sempre più non solo come strumento di base per quantificare vantaggi acquisiti, guadagni o perdite, ma anche, tramite modelli di calcolo della probabilità, come metodo per giungere a decisioni che nulla hanno a che fare con la pura economia (Nardone, 2017). Si tratta dell’idea secondo cui mediante spiegazioni razionali e algoritmi matematici si possono risolvere tutti i problemi e prevedere tutti i fenomeni. Questo a scanso del fatto che i due premi Nobel Richard Thaler e Daniel Kahneman abbiano dimostrato come la maggioranza delle decisioni economiche sia presa su base emotiva, e non di freddo calcolo razionale. 

È ciò che Paul Watzlawick definiva l’«ipersoluzione» del razionalismo: riporre la propria fiducia, talvolta in modo cieco, nella capacità di analizzare qualunque fenomeno umano rischiarati dal lume dell’intelletto, e giungere attraverso una logica stringente alla spiegazione e al controllo. Ma non dovremmo mai dimenticare che nei ragionamenti logici e nei calcoli matematici “tutto torna” appunto perché noi abbiamo costruito modelli di analisi affinché tutto torni.

Non vogliamo mettere in discussione l’importanza delle discipline matematiche; al contrario, le vogliamo avvalorare, riconducendole al loro corretto impiego, piuttosto che forzare la realtà trovando in essa un ordine matematico che non c’è ma che ci rassicura pensare ci sia. Come già ammoniva William James ai primi del secolo scorso, dobbiamo usare i numeri per fare quello per cui sono stati ideati, invece di impiegarli per vedere nelle cose un ordine che non c’è e che siamo solo noi a introdurvi. 

L’illusione del controllo rigoroso conduce a metodologie autoreferenziali, lontane dai fatti reali della vita quotidiana, che misurano ciò che prima hanno letteralmente creato. A questo riguardo si devono ricordare le critiche degli epistemologi nei confronti della misura dell’intelligenza mediante il test del Quoziente Intellettivo (QI): alla fine, ciò che viene misurato è un quoziente prodotto da calcoli statistici basati sull’analisi di fattori presuntamente responsabili dell’essere intelligenti; in altri termini, prima si appronta una realtà, dopo la si misura e infine la si presenta come verità perché frutto di un “rigoroso” procedimento operazionale-statistico.

Secondo la moderna epistemologia, nessuna teoria forte che basi il suo metodo solo su procedure rigide può essere ritenuta valida. Non a caso, nella più pura e dura delle scienze coesistono la fisica teorica e la fisica sperimentale, basate su due teorie che si contrappongono: la teoria della relatività e la meccanica quantistica. Ma proprio questa apparentemente stridente contraddizione rende la fisica la più elevata e avanzata, in quanto le permette di non irrigidirsi in modelli standard. L’eccesso del ricorso a metodologie quantitative in psicologia è apparso evidente anche a coloro che ne hanno propugnato e sospinto l’avvento, ovverosia i ricercatori e gli studiosi dell’American Psychological Association (APA), che negli ultimi anni hanno prodotto numerosi studi di critica e di revisione di tale metodica, le quali però, per effetto “onda lunga”, nel frattempo sono divenute il cardine della didattica accademica internazionale. Per la prima volta della storia dell’APA, è stata anche fondata una sezione di pura psicologia teorica, proprio per bilanciare gli effetti del dominio della quantificazione

Questo è un deciso segno di cambiamento evolutivo per la psicologia, che richiederà del tempo per essere concretamente realizzato. Ma, come indica la saggezza antica, «Non importa se le cose si muovono lentamente, l’importante è che non stiano ferme».

REGALE OBIEZIONE

Un esempio che potremmo considerare grottesco se non avesse avuto implicazioni drammatiche, è quello della risposta fornita dalla britannica Accademia Reale delle Scienze al quesito apparentemente banale formulato dalla regina Elisabetta: se, come tutti gli economisti di fama hanno dichiarato, la crisi economica era prevista, perché essa non è stata ben gestita, o addirittura evitata? La prestigiosa Accademia, dopo settimane di attenta disamina della questione, rispose: «La crisi economica non è stata evitata né risolta perché gestita dagli economisti».

Questa, che sembra un’affermazione paradossale, trova però la sua spiegazione nel prosieguo della risposta alla regina, nella quale gli eminenti scienziati riferiscono che nella gestione della crisi non sono stati tenuti in conto fattori sociologici, psicologici e culturali, così come non sono state previste adeguatamente le reazioni alle drastiche misure economiche adottate. In altri termini, il fatto di valutare il problema solo da un punto di vista strettamente economico ha indotto a manovre che hanno innescato una catena di reazioni impreviste poiché estranee al puro campo dell’economia. 

La spiegazione di tale incapacità da parte di insigni studiosi ed esperti di economia si trova nelle parole dello scrittore austriaco Karl Kraus: «L’ortodossia della ragione istupidisce l’umanità più di qualunque religione».

 

Riferimenti bibliografici 

Hubble M., Duncan B., Miller S. (1999), The heart and soul of change: What works in therapy, American Psychological Association, Washington.

Leichsenring F., Steinert C. (2017), «Is cognitive behavioral therapy the gold standard for psychotherapy? The need for plurality in treatment and research», JAMA – The Journal of the American Medical Association, 318 (14), 1323-1324.

Nardone G. (2009), Problem solving strategico da tasca. L’arte di trovare soluzioni a problemi irrisolvibili, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G. (2013), Psicotrappole. Ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G. (2017), Sette argomenti essenziali per conoscere l’uomo, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G., Tani S. (2018), Psicoeconomia. Gestire fallimenti. Realizzare successi, Garzanti, Milano.

 

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua creatività che per il suo rigore metodologico.

Vittorio Porpiglia, psicologo e psicoterapeuta, è ricercatore associato del Centro di Terapia Strategica di Arezzo.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 270 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui