Laura Parolin

Psicologia e prevenzione

Si sta finalmente superando l’immagine dello psicologo come “medico che cura i matti”, ma molta strada resta ancora da fare perché la psicologia possa davvero diventare un presidio accessibile e funzionale di prevenzione e tutela del benessere mentale

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La pratica della psicologia ha iniziato a svilupparsi nei primi anni del Novecento, inizialmente in termini più di diagnosi e valutazione del funzionamento mentale. A partire dalla seconda metà del XX secolo, gli psicologi hanno gradualmente iniziato ad occuparsi sempre di più di aspetti di pertinenza della disciplina psicologica, secondo diversi orientamenti teorici, legati a contesti differenti. Infatti le competenze e gli strumenti offerti inizialmente dalla psicologia clinica trovano applicazione in vari contesti di vita nei quali ci si occupa del benessere psicologico dell’individuo, del gruppo, delle organizzazioni e della comunità e che danno origine a sottoinsiemi disciplinari che emergono come ambiti professionali più o meno autonomi.

Cos’è la salute psicologica

Promuovere la salute psicologica significa per il lavoro dello psicologo:

  • fare emergere problemi latenti che inficiano la sfera personale del soggetto;
  • offrire un supporto specifico a problemi manifesti;
  • aiutare a cambiare punto di vista sui problemi;
  • indicare la strada da perseguire per il proprio equilibrio personale;
  • aiutare non solo a risolvere difficoltà, ma anche a potenziare risorse e resilienza.

INCONTRARE LA PSICOLOGIA (E GLI PSICOLOGI)

Globalmente, nelle sue declinazioni, la psicologia si occupa della persona in senso ampio: approfondisce insomma il funzionamento delle persone nel loro modo di sperimentare emozioni e comportamenti, che riguardano sé e gli altri, così come tutti gli aspetti che possono portare a sperimentare sofferenza. Data la complessità dell’oggetto di studio le competenze richieste agli psicologi sono ampie e interdisciplinari, e includono tutto ciò che riguarda la prevenzione, la diagnosi e l’intervento mirati alla promozione della salute psicologica.

Oggi, contrariamente a quanto avveniva in passato, l’immagine dello psicologo tra la popolazione generale risulta maggiormente aderente alla realtà e finalmente lontana dallo stereotipo di “medico dei matti”.

Eppure ancora oggi non c’è una completa chiarezza tra le persone su ciò di cui si occupano gli psicologi: anche per questo negli ultimi anni si è spesso sentito parlare di altre figure che afferiscono a professioni non riconosciute (ovvero professioni non normate e le cui prassi sono identificate da criteri e compiti specifici) e in qualche modo vicine all’area psicologica, quali counselor, motivatori e life coach. Queste figure risultano scarsamente distinte tra loro, andando a spesso a confluire nell’ambiguo calderone dei “promotori del benessere”, quasi in supposta antitesi a quello che di cui dovrebbe occuparsi lo psicologo, ovvero il “curatore del malessere”. In realtà, la cura del malessere e la promozione del benessere sono entrambe parti del lavoro dello psicologo: questa considerazione è ancora più importante se si pensa che spesso succede che persone non qualificate svolgano compiti di pertinenza dello psicologo.

Per riflettere su questo tema può essere allora utile servirci di uno degli strumenti di cui sempre la psicologia si serve, ovvero l’ascolto e la raccolta dei bisogni.

La recente approvazione del cosiddetto “bonus psicologico”, e l’imponente reazione della cittadinanza di fronte a un iniziale taglio degli investimenti da parte del governo, hanno messo in evidenza il bisogno di psicologia della popolazione.

È purtroppo vero che quella dello psicologo è una figura talvolta recepita come non facilmente accessibile, sia in termini di rappresentazione – è visto come chi si occupa solo di casi molto gravi (specialmente per chi non vi si è mai rivolto) – sia in termini squisitamente economici.

Come avvicinare allora la figura dello psicologo valorizzandone le possibili aree di intervento e rendendolo più accessibile anche per chi non può permetterselo economicamente?

Proverò a suggerire qui di seguito alcune considerazioni.

UN PROFESSIONISTA DEL BENESSERE

La prima riguarda la necessaria transizione dello psicologo da una figura associata alla cura di psicopatologie a quella di un professionista dedicato all’aiuto e al sostegno di chi senta la necessità di un supporto psico-emotivo (variamente espressa: dalla figura di “uno che cura i matti” a un “consulente del benessere”). In termini macrosociali, il principale ostacolo a una maggiore espressione del potenziale dello psicologo è di stampo culturale, legato alla delicatezza del disagio mentale, che a differenza di quello fisico porta con sé uno stigma, scrupoli e ritrosie. Uno dei principali ostacoli alla piena espressione del potenziale degli psicologi è dunque banalmente il senso di vergogna legato all’immagine pubblica.

In questa direzione, è importante far conoscere la professionalità dello psicologo come una figura più ampia, di supporto generale al benessere individuale e collettivo, e non solo clinica. Si pensi per esempio a numerose altre applicazioni innovative della professionalità psicologica, oltre ai campi già noti come la scuola, la psicologia giuridica e la neuropsicologia: l’ambito dell’innovazione, che ha bisogno di psicologia per poter essere ancora più innovativa. L’innovazione necessita di skills di comprensione dei bisogni umani attuali e futuri, di una maggiore sensibilità umana nella genesi dei progetti di innovazione; la smart mobility, disegnata a misura d’uomo, grazie a un apporto forte di expertise psicologica; l’ambito della finanza/business, dove molti manager con background di professione di psicoterapeuta hanno dimostrato successo grazie alla conoscenza delle persone, della psiche, della società; l’economia comportamentale e il nudging: qui lo psicologo può intervenire nel selezionare e plasmare contesti che possono avere una ricaduta positiva; l’industria, per plasmare ambienti e dimensioni della vita lavorativa con l’esigenza di mettere l’uomo al centro; la formazione e l’istruzione – certamente non un ambito nuovo ma suscettibile di grandi innovazioni future, in cui lo psicologo può ricoprire un ruolo fondamentale: in primis lo smart learning (in cui lo psicologo può co-progettare sistemi di fruizione dell’offerta formativa che rispondano al meglio alle esigenze future anche in modalità blended cioè parte live e parte online, grazie alla conoscenza dei modi e dell’efficacia dell’apprendimento della mente umana, di bambini e adulti).

Un secondo aspetto di resistenza è l’aspetto economico: lo stereotipo dei servizi di psicologia come un intervento solo per chi può permetterselo è persistente – e tuttora in buona parte giustificato dalla diretta associazione tra la figura dello psicologo e il comparto privato. Questo aspetto se non affrontato seriamente, con interventi sul comparto pubblico o forme di assistenza indiretta, rischia di limitare molto il ricorso allo psicologo e il suo ruolo nel futuro.

Sicuramente oggi appare coerente l’aspettativa che lo psicologo diventi una costante figura di riferimento, equiparabile per accessibilità e normalità di utilizzo al medico di base. Una figura alla quale rivolgersi non solo per necessità ma come sana abitudine, a scopo non solo di rimedio ma continuativo e di prevenzione. Si può pensare quindi ad una figura di psicologo che sarà in mezzo alla gente, sul campo; non più qualcuno da cercare (soprattutto al momento del bisogno, come oggi) ma più spesso disponibile, vicino, alla portata di tutti (anche economicamente), facilmente accessibile e diffuso sul territorio.

AL DI LÀ DELL’EMERGENZA: PER UNA PSICOLOGIA “DI BASE”

I dati sulla salute mentale della popolazione parlano chiaro: la pandemia, il lockdown, la scarsa socialità e la paura negli ultimi due anni hanno inciso in maniera decisiva sulla psiche di tutti noi. A farne le spese sicuramente bambini e adolescenti, ma anche donne e uomini di tutte le età. Sicuramente, la pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza l’importanza della Salute con la S maiuscola, quella che l’OMS sottolinea come «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia»: una salute non solo fisica, ma anche psicologica dunque, che ha fatto emergere con forza il bisogno di uno spazio di ascolto e di un supporto psicologico per la popolazione e di conseguenza la necessità di strutturare nuovi spazi che possano rappresentare dei cosiddetti presidi di prossimità, luoghi ancorati alla realtà e alle specificità del territorio.

I dati allarmanti sulla salute psicologica degli italiani raccontati dalla cittadinanza (CNOP, 2021) ma anche i dati che arrivano dalle strutture sanitarie in grande fatica (si pensi alle neuropsichiatrie, ma non solo), hanno sottolineato con evidenza come sia necessario mettere in campo strategie che abbiano un duplice intento: da una parte, accogliere in anticipo le difficoltà e la sofferenza psicologica delle persone (cioè prima che siano gravi abbastanza da richiedere il ricovero ospedaliero); dall’altra, mettere in campo azioni di informazione e prevenzione. Gli studi nazionali e internazionali ci mostrano l’utilità, l’efficacia e anche il risparmio economico per la società che questo tipo di iniziative possono avere (l’Inghilterra è sicuramente un esempio virtuoso).

Sicuramente l’emergenza ha evidenziato con forza il potenziale vantaggio di un coordinamento tra ospedali e territorio: un unico sistema sanitario che funzioni tra residenzialità e domiciliarietà con il preciso obiettivo di garantire continuità di cura e assistenza alla persona ammalata e fragile, ma anche, aggiungo io, che permetta di accogliere per tempo tutte quelle situazioni di malessere che spesso non si rivolgono ai servizi se non quando il disagio è già grave e conclamato. Presidi di prossimità, e di prevenzione.

Allo stesso tempo, già prima dell’emergenza molte ricerche hanno dimostrato che, accanto a bisogni di salute di carattere fisico, la presenza e la soddisfazione dei bisogni psicologici risultano altrettanto importanti e fondamentali per la salute psico-fisica degli individui. La letteratura, inoltre, ci dimostra che la maggior parte di queste persone, in fase iniziale, chiede aiuto al suo medico di famiglia, e almeno il 50% di dette richieste esprime un disagio psicologico-relazionale.

È proprio in questa direzione che, in Lombardia, tra gli obiettivi della Legge Regionale n. 15 del 2016 troviamo la sperimentazione della figura dello psicologo di base nei servizi pubblici e privati accreditati; sperimentazione che, solo recentemente, ha trovato una forma più compiuta all’interno della riforma del sistema socio sanitario. Il Consiglio Regionale della Lombardia è anche in procinto di perfezionare tale proposta attraverso una maggiore definizione del ruolo e dei confini di tale figura professionale. Lo psicologo di base si occupa di offrire un primo contatto di supporto psicologico gratuito alla cittadinanza, esattamente come succede con il medico di base.

Un primo contatto significa poter raccogliere per tempo i bisogni dei cittadini, bisogni che, mi sento di dire, includono sia la necessità per i professionisti di intercettare la qualità (e quantità) della sofferenza, sia di mettere in campo azioni che valorizzino risorse e punti di forza. Le competenze di questa particolare figura di psicologo si pongono tra quelle cliniche e quelle della psicologia di comunità, che costituisce, infatti, un’area di studi, ricerche e interventi professionali che si focalizza sulle persone e i gruppi all’interno dei contesti socioculturali, economici, organizzativi e territoriali nei quali vivono e con i quali interagiscono continuamente.

Tale figura può allora:

  • intercettare e diminuire il peso crescente dei disturbi psicologici della popolazione, costituendo un filtro sia per i livelli secondari di cure che per il pronto soccorso;
  • intercettare i bisogni di benessere psicologici che spesso rimangono inespressi dalla popolazione;
  • organizzare e gestire l’assistenza psicologica decentrata rispetto ad alcuni tipi di cura;
  • realizzare una buona integrazione con i servizi specialistici di ambito psicologico e della salute mentale di secondo livello, e con i servizi sanitari più generali.

Lo psicologo di base, insomma, può essere una risposta concreta alle difficoltà e uno strumento per valorizzare risorse. L’inserimento dello psicologo di base (anche detto psicologo delle cure primarie) all’interno delle Case di Comunità (previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, PNRR) permetterà allora di accorciare quella distanza tra la cittadinanza e i servizi che sicuramente la pandemia ha messo in luce. La cittadinanza potrà accedere al servizio attraverso il sistema sanitario, come già succede con il medico di base.

È infine rilevante sottolineare il fatto che fornire una risposta più appropriata ai bisogni e ai problemi produce risparmi effettivi perché gli interventi risultano più efficaci ed efficienti: la sola medicalizzazione o la non risposta a problemi a forte componente psicologica produce un incremento dei costi sanitari e sociali, come acclarato da molti studi; al contrario, una risposta pertinente, integrata e tempestiva risulta fortemente virtuosa dal punto di vista economico e in grado di produrre risparmi effettivi, aumentando la sostenibilità del sistema.

 

Laura Parolin è psicologa, psicoterapeuta e dottore di ricerca. È professore associato presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, dove insegna Psicodiagnostica clinica, e docente presso diverse Scuola di specializzazione in psicoterapia e Master post lauream. È presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia (OPL) per il quadriennio 2020-23 e vicepresidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP).

 

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 287 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui