Intervista a: Santo Di Nuovo
di: Paola A. Sacchetti

A proposito di eutanasia e suicidio assistito: facciamo un po’ di chiarezza

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È della scorsa settimana la notizia che la Corte Costituzionale ha respinto il referendum sull’eutanasia, proposto dall’Associazione Luca Coscioni, che i primi di ottobre ha depositato in Cassazione più 1,2 milioni di firme per abrogare una parte dell’articolo 579 del Codice penale, che punisce l’“omicidio del consenziente” fino a 12 anni di carcere, ossia l’intervento del medico che fornisce i farmaci che causino il decesso su richiesta del paziente.

Per la Consulta, i quesiti erano scritti in modo “tecnicamente sbagliato” e perciò la parziale abrogazione di tale articolo avrebbe potuto legittimare i casi di omicidio del consenziente in molti altri casi non strettamente legati all’eutanasia.

La bocciatura ha sollevato rimostranze e polemiche e riaperto un dibattito vivace, ridando slancio alla proposta di legge sul fine vita, definita “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, ora in Parlamento, e che si presenta come una corsa a ostacoli visto l’elevato numero di proposte di modifica.

Si tratta di ambiti contigui ma diversi: nel suicidio assistito, su cui sta discutendo il Parlamento, il paziente terminale viene aiutato a suicidarsi, cioè ad assumere da solo il farmaco letale che viene preparato dall’équipe medica; nell’eutanasia, invece, è il medico a somministrare il farmaco, su esplicita richiesta del paziente. La differenza è quindi proprio in chi mette in atto l’azione di somministrare il farmaco letale.

La legge in discussione in Parlamento cerca quindi di riempire il vuoto normativo seguendo le indicazioni della Consulta dopo la sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019 sul caso di Dj Fabo, che comunque richiede di rispettare condizioni molto precise. Proprio su questo punto l’Associazione Luca Coscioni mostra preoccupazione per un ulteriore passo indietro, con il rischio di introdurre ulteriori restrizioni all’accesso della morte volontaria. Tra queste, l’obbligo di sottoporsi a un percorso di cure palliative, sostenuta fortemente dalla Pontificia Accademia per la Vita, ma che prolungherebbe le sofferenze del malato.

Nel leggere i commenti alla bocciatura del referendum e alla proposta di legge, ci rendiamo conto che i dubbi e la confusione vanno oltre la mancanza di leggi che regolamentino il suicidio assistito o l’eutanasia.

 

Nella proposta di referendum restavano punibili tutti i casi in cui siano coinvolti minori, persone incapaci di intendere o volere, sotto effetto di sostanze o a cui sia stato estorto il consenso. Non si trattava quindi di chiedere una legalizzazione dell’omicidio delle persone sofferenti o malate. In attesa del testo ufficiale della Corte Costituzionale che ha bocciato il referendum, possiamo cercare di capire che cosa ha determinato tutto questo scalpore?

Anzitutto, la maggior parte degli italiani non è contraria alla legalizzazione dell’eutanasia: anzi, oltre il 70% è favorevole, come dimostrano dati Eurispes pubblicati proprio quest’anno. Ma è vero anche che molti non hanno chiara la distinzione fra legalizzazione e depenalizzazione. In realtà, non tutti quelli che temono gli effetti negativi della proposta l’hanno letta e compresa nei dettagli. E quindi i timori restano. Timori che si possano avere casi di abusi, di raggiri, comportamenti come quelli presentati in certi film, che riflettono la perdita generalizzata di valori morali dell’intera società. Timori irrazionali che fanno pensare alla possibilità di consensi estorti, decisioni basate solo sull’emotività come nei suicidi, strategie di miglioramento della razza di tragica memoria.

Riferimenti all’eugenetica sono impropri e riflettono posizioni ideologiche, che però non vanno contrastate con posizioni altrettanto ideologiche, del tipo: “Ognuno è padrone della propria vita e deve decidere liberamente su di essa”, “È un giusto principio aiutare chi soffre a mettere fine alle sofferenze”. Ideologie circa l’eutanasia, sia passiva che attiva, che sono pregiudiziali quanto critiche, da cui si origina lo scalpore che turba molte coscienze.  

Parlare di suicidio o omicidio assistito sembra essere ancora un tabù in Italia. Per molti è legato al fatto che il Vaticano sia proprio sul nostro territorio. Cosa ne pensa?

Non credo sia questo il problema. O, almeno, che sia il problema principale. Norme sul divorzio e sull’aborto, cui il Vaticano era contrario, sono state approvate in Italia. Invece l’eutanasia non è ammessa in Paesi dove il Vaticano non c’è, anzi il cattolicesimo non è neppure maggioritario; e nelle nazioni di religione islamica. Piuttosto, il problema riguarda il modo in cui l’eutanasia viene presentata: se non si conoscono bene i contenuti della legge, e si continua a parlare di “omicidio assistito”, è naturale che chi crede nella vita – molti cattolici (e non solo…) ci credono – veda solo i rischi della nuova norma e non consideri i benefici che può apportare nei pochi casi estremi in cui sarà possibile. Nonostante ciò, in occasione del caso Welby, anche il 50% dei cattolici praticanti si era dichiarato favorevole all’eutanasia. Che poi alcuni politici ritengano di interpretare in Parlamento il volere del Vaticano per guadagnarne veri o presunti vantaggi elettorali, non è certo un fatto nuovo, e si è dimostrato in tanti episodi, anche recenti. Ma questo è un discorso diverso.  

Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, che fa parte del comitato promotore del referendum, nel presentare il referendum affermò che “nessuno sarà obbligato a scegliere l'eutanasia, e anzi sarà possibile prevenire ciò che accade ora: l’eutanasia clandestina, fatta di solitudine e disperazione e praticata nelle condizioni più terribili”. Nonostante la bocciatura dell’attuale referendum, sarà in futuro possibile ottenere questo risultato?

Sì, a condizione che si innesti un piano di sensibilizzazione per sgombrare la paura della legalizzazione dell’eutanasia, specie nella maggioranza dei cattolici che la temono per le ragioni che ho detto. Alla pubblicità nei modi semplificati che turbano l’opinione pubblica, e ai dibattiti fortemente ideologizzati, bisogna sostituire informazioni chiare e precise sui problemi psicologici del fine vita, del dolore e della disperazione. E su quello che la legge effettivamente prevede. Responsabilizzare le persone che devono scegliere in piena coscienza sul proprio destino. Coinvolgere i familiari, spiegando quali sono i rischi e come si possono superare. Rassicurare sul fatto che la legge stabilisce con precisione quali sono i limiti e i confini all’interno dei quali l’eutanasia deve essere possibile. 

 

Santo Di Nuovo è professore di Psicologia all’Università di Catania e Presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia.  Il suo ambito di ricerca riguarda le modalità di integra­zione tra sperimentazione e inter­vento psico­logico, anche mediante le nuove tecnologie; e le metodologie e tecniche di analisi dei dati con particolare riferi­mento alle neuroscienze e all’ambito clinico e giuridico.  

Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.