Mauro Cozzolino

Philip Zimbardo: l’eroe è in ognuno di noi

Il 21 ottobre uscirà nelle librerie italiane l’attesissima biografia del leggendario psicologo americano Philip Zimbardo. Mauro Cozzolino, direttore dell’Osservatorio sulla Promozione del Benessere presso l’Università di Salerno, ci offre un primo spaccato sul volume e sulla straordinaria vita di Philip Zimbardo, spiegandoci perché il pensiero di Zimbardo ha un impatto universale sulla cultura e la scienza contemporanee.

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Una delle volte, in cui Jerome Bruner è venuto presso l’Ateneo di Salerno durante l’ultima fase della sua vita, l’ho sentito dire che «non esistono storie più interessanti di altre, ma piuttosto persone che le sanno raccontare meglio»

ZIMBARDO copia.png Pur condividendo con Bruner il concetto che ogni storia di vita è importante e ha valore, mai, come nell’autobiografia di Philip Zimbardo, la straordinaria capacità di narrare gli eventi biografici si fonde con un’altrettanta innegabile eccezionalità della sua vita, offrendo al lettore, non solo storie, eventi e incontri, ma anche significati sul senso della vita e delle relazioni. Ogni passaggio di vita, grazie anche all’acuto intervistatore, è accompagnato da immagini e parole che ci pongono davanti alla sua storia come nella visione di un film avvincente. Il lettore/spettatore è catturato da un’intensa voglia di proseguire per scoprire altri straordinari eventi, incontri e aneddoti, desideroso di conoscere il seguito perché consapevole della straordinaria sorpresa che ci sarà di lì a poco, e che non potrà non arricchirlo e renderlo migliore.

 

A partire dal 2009, quando ho avuto modo di incontrare Philip Zimbardo e dialogare con lui per la prima volta durante uno nei miei viaggi di studio e ricerca negli Stati Uniti, ogni sua parola è stata e, continua ad essere per me, un’immensa fonte di apprendimento personale e professionale. D’altra parte, non poteva essere diversamente dal momento che, per molte generazioni di psicologi e non solo, dalla metà degli anni Sessanta, il professor Zimbardo è riuscito a incarnare in modo eccellente il ruolo di terapeuta, di docente, di ricercatore, di presidente APA, di pensatore indipendente, e molto altro. Delle diverse chiacchierate fatte nel corso degli anni, ne ricordo una in particolare, in cui gli chiesi a che età per la prima volta si era interessato sul perché le persone manifestavano comportamenti aggressivi e devianti. La mia domanda nascondeva una convinzione che avevo maturato nel formarmi con altri importanti maestri di diverse branche della psicologia come Ernest Rossi, Irving Ialom, Paul Ekman, Jerome Bruner, Salvador Minuchin e tanti altri. Il mio personale convincimento era che l’intuizione che aveva contraddistinto la vita professionale del prof. Zimbardo, così come era avvenuto per altri grandi studiosi, non poteva essere nata esclusivamente e unicamente dal suo percorso sul piano accademico, scientifico e professionale, seppure fondamentale ed eccellente.

La risposta di Phil Zimbardo mi illuminò e mi aiutò a comprendere il filo di una trama latente e invisibile agli occhi di molti, ma che si era costruita nel corso di tanti anni, attraverso traiettorie non lineari che hanno caratterizzato spesso le biografie di molti autorevoli protagonisti della storia.

Nel rispondermi, tornò alla sua vita da bambino, nel ghetto del Bronx e mi disse che proprio in quegli anni si pose una domanda che poi, come un seme, germogliò in lui interrogativi sempre più complessi sul perché alcune persone scelgono il male e/o manifestano comportamenti violenti e cosa li orienta in tal senso. La domanda di quel bambino, siamo negli anni Trenta, che vedeva amici buoni come lui, con cui era cresciuto, perdersi giorno dopo giorno nel girone della devianza, dell’aggressività e del crimine ha continuato a riproporsi in lui con questioni che avrebbero influenzato, insieme a tante altre domande, il suo intero percorso personale e professionale e di conseguenza anche parte della storia della psicologia. La risposta a quella domanda non ha mai previsto giudizi o valutazioni negative nei confronti di quegli amici meno fortunati di lui che avevano intrapreso un percorso “diverso”, ma il desiderio tangibile di comprendere i meccanismi socio-contestuali che avevano reso possibile la trasformazione di amici che, inizialmente buoni come lui, avevano cambiato rotta.

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La risposta del professore confermava, ancora una volta, che anche la ricerca più innovativa, rivoluzionaria e scientificamente solida, nasceva da un connubio tra dialoghi interni all’uomo e le rigorose leggi della scienza. Phil Zimbardo aveva mosso i suoi studi e le sue ricerche dalle domande che si era posto da bambino, rispondendo via via, in modo sempre più complesso e articolato in funzione del suo sviluppo scientifico e professionale fino a giungere all’epico esperimento della prigione di Stanford. È anche grazie a questa straordinaria capacità di traslare i propri quesiti di bambino sul rapporto tra bene e male che, come disciplina psicologica, abbiamo avuto le coraggiose risposte scientifiche che prima di quel mitico esperimento non avevamo.

 

Questa autobiografia svela l’intreccio tra eventi biografici e professionali, rendendo visibile l’incredibile contributo che le storie di vita possono dare a ognuno di noi. La storia di vita raccontata dal prof. Zimbardo, costituisce una fonte straordinaria di apprendimento, di memorie e significati che vanno al cuore stesso dell’essenza della vita.

Il lettore si confronta con diversi temi sociali come quello dell’emigrazione che ci tocca da vicino perché ci rammenta che, come italiani, siamo stati un popolo di emigranti e ne abbiamo sofferto le implicazioni, riuscendone però a trarre i benefici che scaturiscono dalla lotta per l’affermazione della propria identità, proprio come narra la sua storia. Ci confrontiamo con il tema della relazione tra culture, italiana e americana e con la possibilità di integrarle nel migliore dei modi come ha fatto il nostro autore; con il tema della povertà delle periferie, o per meglio dire dei ghetti, antichi e contemporanei, e della voglia di portare fuori da li, da quella esperienza, la voce di coloro che non ne hanno, ai cosiddetti “cattivi” e al loro “divenire cattivi” senza appello. Così come ci confrontiamo con il tema dell’impegno sociale, civile e politico che ha contraddistinto la sua vita e la contraddistingue ancora oggi.

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La narrazione della sua vita ci offre una visione luminosa e propositiva proprio perché proviene da chi ha conosciuto le tenebre, le ha sperimentate sulla propria pelle (vedi esperienza di quarantena quando era bambino) e ne ha fatto un marchio di fabbrica anche quando poteva ormai sentirsi distante da tutto ciò e riporre nel cassetto del passato le difficoltà superate. Invece, l’autobiografia in questione ci offre un nuovo scenario, un nuovo epilogo creativo, avvincente e straordinario che diviene esso stesso fonte inesauribile di resilienza allo stato puro. Incoraggia in noi la luce, anche quando è piccola, nascosta o mai vista prima d’ora, che prende forma nella possibilità di andare avanti, nonostante tutto, utilizzando al meglio, ogni esperienza, negativa e positiva che sia. È come se il prof. Zimbardo, attraverso la sua storia di vita, ci insegnasse, tra le tante cose, la possibilità di vivere implementando la questione: «Come posso utilizzare ciò che accade nella mia vita per imparare qualcosa in più, qualcosa di diverso?». Ed è proprio questo implicito e silenzioso richiamo che assumiamo, quasi inconsciamente, nell’immergerci nella lettura della sua vita. La chiamata a “provare ad essere migliori”, giorno dopo giorno, con forza e coraggio, a cui ogni essere umano è incline, per sua stessa natura. Allora pian pianino, mentre scorriamo con occhi e bocca aperti le pagine di una vita straordinaria, vediamo posizionarsi il seme dell’eroicità, presente da sempre in Zimbardo e che, con grande generosità e autenticità, lui ripone in ognuno di noi, condividendo il suo mondo privato ed intimo.

 

Sembra tutto ormai definito eppure, dopo aver dedicato buona parte della vita a chiedersi come “si può diventare cattivi” ed essere ormai sull’olimpo dei padri fondatori della psicologia, Philip Zimbardo si pone e ci pone un altro straordinario interrogativo. Se si può “diventare cattivi”, pur non essendolo in partenza, allora è possibile anche “trasformare ogni persona comune in un eroe”, intendendo per eroe colui che assume la responsabilità, ma anche l’eccezionale opportunità di plasmare, da protagonista, la propria vita e il proprio destino, esprimendo il meglio di sé in armonia con sé stesso e gli altri? Naturalmente, come ogni eroe, Zimbardo non si limita semplicemente ad attestare, in modo inequivocabile, la possibilità di diventare migliori ma ne sviluppa i passaggi fondanti, i pensieri, le emozioni e le azioni che possono rendere ognuno di noi, un “eroe di vita quotidiana”. Un eroe che ha la capacità di muoversi in favore degli altri e, al tempo stesso, è in grado di esprimere la propria essenza. Quella che, nella maggior parte dei casi, rimane soffocata dai compiti di sviluppo e dalle molteplici sfide che la vita ci pone. Tutto ciò prende forma in un movimento di portata mondiale ideato da Zimbardo e che si traduce in uno specifico percorso formativo, l’Heroic Imagination Project che prende forma e trova la sua applicazione anche qui in Italia grazie a una proficua e preziosa collaborazione con l’Università di Salerno.

Naturalmente se è vero che ognuno di noi può diventare un “eroe” è anche altrettanto vero che nessuno di noi potrà mai trasformarsi in un “Super-eroe” perché è di questo che stiamo parlando, uno come lui non può che essere definito così.

di Mauro Cozzolino, Direttore dell’Osservatorio sulla Promozione del Benessere, Università di Salerno