Silvia Bonino

Pensiero magico e azione magica: non solo nei bambini

Spesso pretendiamo, anche da adulti, che le cose aderiscano al nostro volere e che i problemi si risolvano magicamente e non grazie ai nostri sforzi di comprensione logica.

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A molti adulti è capitato, da bambini, di fare giochi che molti piccoli fanno spontaneamente: per esempio, saltare le righe tra le lastre di pietra di un marciapiede o tra le piastrelle di un pavimento, contare i gradini di una rampa di scale, toccare le sbarre di una cancellata. Non si tratta di semplici giochi di abilità, perché a queste azioni vengono associati esiti positivi o negativi: per esempio, se si tocca la riga, a scuola succederà qualcosa di brutto, mentre se si finisce la conta con un numero pari succederà qualcosa di bello. Altri bambini tengono con sé un pupazzetto da cui non si separano mai quando devono affrontare qualcosa che li spaventa: il buio, l’addormentamento o un’interrogazione a scuola. Altri ancora, quando desiderano fortemente qualcosa che non possono ottenere (per esempio, mangiare un dolce), lo disegnano o ne ripetono il nome, in tal modo rendendo presente, attraverso la finzione, l’oggetto del loro desiderio.

Tutti questi comportamenti, pur diversi tra loro, sono espressione di una modalità di relazione con il mondo che è assai frequente nei bambini, in particolare nel periodo della scuola dell’infanzia, ma che non scompare mai del tutto in seguito e quindi si può riscontrare anche nell’adulto. Si tratta del pensiero magico, cioè di una modalità di ragionamento, e più in generale di rapporto con la realtà, che si fonda sull’assenza di differenziazione tra sé e il mondo circostante. In questo tipo di pensiero il bambino vive in modo unitario e sincretico – e non separato – sé stesso e ciò che è fuori di sé. Di conseguenza i confini tra sé e il mondo sono scarsi e molto permeabili, sia nel senso che il mondo è interpretato secondo lo proprie esigenze emotive contingenti sia nel senso che l’ambiente esercita una diretta influenza su di sé.

Questo atteggiamento è riconducibile all’egocentrismo caratteristico del bambino piccolo, e, quasi un secolo fa, è stato definito dallo psicologo dello sviluppo Heinz Werner «egomorfismo»: partendo dall’esperienza del proprio corpo, del proprio mondo interiore, delle proprie emozioni e azioni, il bambino attribuisce a ciò che lo circonda le proprie stesse caratteristiche, senza distinguere sé dalla realtà con cui interagisce. In concreto, egli “personalizza” la realtà, configurandola secondo le proprie emozioni e i propri desideri. Il mondo, così, diventa animato, vivo e dotato di intenzionalità, e su questo mondo egli può agire mediante l’azione magica, che ha il potere di determinare la realtà e di piegarla al proprio volere, in modo onnipotente.

La nostra cultura ha sviluppato ormai da millenni la consapevolezza che il mondo esterno è separato da noi e risponde a leggi proprie, indipendenti dai nostri desideri, paure, intenzioni. L’essere umano può solo cercare di conoscere queste leggi tramite il faticoso esercizio del pensiero logico, sapendo che i nostri strumenti di conoscenza sono limitati e fallaci; per questo c’è bisogno di una particolare cautela, di un continuo confronto con gli altri e di un’attenta verifica della validità delle nostre affermazioni. Tutta la scienza si basa sul ragionamento logico e ha sviluppato metodologie rigorose volte allo scopo di contenere il più possibile il rischio di interpretazioni egomorfiche, rispondenti appunto ai nostri desideri e non alla realtà di un mondo esterno distinto da noi. Eppure, nonostante un contesto culturale plasmato da scienza e tecnologia, l’atteggiamento, il ragionamento e l’azione magici non restano confinati nelle prime fasi dello sviluppo infantile e sono ben presenti anche nell’adulto scolarizzato del mondo occidentale.

Questo fatto non deve stupire, perché il ragionamento magico rappresenta, insieme a quello logico, una delle modalità di funzionamento del pensiero umano. Esso svolge funzioni diverse, che sono sia di conoscenza, sia di difesa, sia di propiziazione. Di conseguenza, quanto più la realtà con cui la persona adulta si confronta è sconosciuta, pericolosa, imprevedibile e difficile da controllare, tanto più il ricorso al magismo appare rassicurante. In assenza della possibilità di comprendere la realtà, di renderla meno minacciosa e di agire per neutralizzarla, il pensiero e ancor più l’azione magici possono costituire, anche agli occhi dell’uomo civilizzato occidentale, l’unico modo per non essere travolti da esperienze soverchianti.

È quanto avviene, per esempio, nei confronti di una malattia grave e sconosciuta o di un evento naturale calamitoso e imprevedibile: situazioni sulle quali la nostra conoscenza scientifica e le nostre possibilità di intervento sono fortemente carenti. In tutti questi casi il ricorso alle azioni magiche può apparire come l’unico modo per affrontare una realtà incomprensibile e schiacciante. Nei fatti, però, l’atto magico non solo si rivela illusorio, ma distoglie dal mettere in atto azioni efficaci basate sulla conoscenza delle leggi che regolano il mondo biologico e fisico fuori di noi. Per quanto limitate e lacunose, queste azioni potrebbero con buona probabilità ridurre il senso di impotenza e portare a realizzare difese utili, mentre l’uso del pensiero magico si risolve in una inevitabile sconfitta dolorosa. Così, una malattia che potrebbe essere affrontata con gli strumenti offerti dalla ricerca scientifica, per quanto non risolutivi, viene invece illusoriamente curata con pratiche prive di fondamento, accettate secondo una mentalità magica. Analogamente, non vengono attuate pratiche di prevenzione delle catastrofi naturali, che, per quanto limitate, si rivelerebbero utili.

È quindi importan­­te che l’educazione, in particolar modo quella scolastica, aiuti a riflettere sugli aspetti egocentrici che sono insiti nel pensiero magico e sulla necessità di conoscere il mondo al di fuori di noi e le leggi che lo governano, attraverso il pensiero logico e la metodologia scientifica. Tutto ciò senza trionfalismi, nella consapevolezza dei limiti insiti nel nostro pensiero, per non cadere di nuovo nell’abbaglio egocentrico di poter intervenire in modo onnipotente e a nostro piacere, stavolta attraverso il pensiero logico, sul mondo esterno.

La realtà fisica, come quella biologica, risponde a leggi proprie e le possibilità di comprensione e di intervento del pensiero umano sono sempre limitate. Si tratta di coltivare un senso del limite che purtroppo talvolta manca nello stesso mondo scientifico e tecnologico, quando pretende, appunto in termini ancora una volta magici e onnipotenti, di plasmare la realtà secondo i propri desideri.

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui