Nicola Nardelli, Vittorio Lingiardi

Omofobia e aggressioni in pubblico

Commento a un fatto di cronaca

Non è raro leggere notizie di cronaca che hanno come protagonisti persone omosessuali vittime di violenza. I giornali quasi quotidianamente ci raccontano episodi in cui è evidente un fenomeno sociale che alimenta il pregiudizio verso omosessuali, bisessuali, transessuali: l’omofobia. 

omofobia-rid.jpg

È recente la notizia di un ragazzo, presidente dell’Arcigay di Taranto, preso a calci e schiaffi da un gruppo di ragazzini in una piazza nel centro affollato della città, nel corso di un’iniziativa per sensibilizzare contro le malattie trasmissibili sessualmente, l’omo-bi-transfobia, la xenofobia e la violenza sulle donne.

Per cercare di capire perché accadono questi episodi, abbiamo contattato Vittorio Lingiardi, professore ordinario di psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma e Nicola Nardelli, psicologo e psicoterapeuta.

Cosa spinge dei ragazzini ad aggredire fisicamente un uomo gay che, in piazza, dietro a un banchetto, sta conducendo pacificamente una campagna di sensibilizzazione contro l’omofobia, le malattie sessualmente trasmissibili, la violenza sulle donne?

Le cause dell’omofobia sono sia individuali sia socioculturali. Alcune ricerche, per esempio, hanno dimostrato che l’omofobia può essere considerata una formazione reattiva contro sentimenti omoerotici conflittuali provati dall’omofobo stesso. Tali sentimenti, negati dentro di sé in quanto “inaccettabili”, vengono proiettati aggressivamente all’esterno e purtroppo spesso agiti contro le persone omosessuali. Quella dei “meccanismi di difesa” non è, tuttavia, l’unica spiegazione dell’omofobia. Altre ricerche mostrano che il pregiudizio esercita una funzione difensiva per rinforzare la stima di sé attraverso la denigrazione di individui (o gruppi) percepiti come “deboli” e stigmatizzati e (quindi non solo gay e lesbiche ma anche donne, immigrati, ebrei ecc.). Oltre a questi fattori che costituiscono la matrice psicodinamica dell’omofobia, non bisogna dimenticare la matrice socioculturale. È chiaro che i fattori individuali e sociali si alimentano a vicenda. Un contesto sociale o un clima politico particolarmente omofobi (comprese le dichiarazioni di personaggi pubblici) possono legittimare atteggiamenti e agiti omofobi. Al contrario, un contesto più accogliente, informato e rispettoso delle minoranze e delle cosiddette “diversità” (che preferiamo definire “varietà”) può rendere inaccettabile l’omofobia e la sua espressione.

Come è possibile che queste aggressioni possano accadere davanti a tanti spettatori e che nessuno muova un dito?

Anche in questo caso non dobbiamo sottovalutare l’influenza dell’intreccio tra fattori individuali e socioculturali. Gli atteggiamenti verso le minoranze sono un po’ come la punta di un iceberg. In particolare, sembra che venga a determinarsi la stessa dinamica di gruppo che ci capita osservare nei casi di bullismo: difendere una vittima omosessuale (o considerata tale) significa correre il “rischio” di essere considerati omosessuali. Al contrario, rimarcare la propria distanza dall’outgroup significa rinforzare l’appartenenza all’ingroup. A costo di allontanarsi dalla propria umanità.