Guido Sarchielli

Maleducazione e condotte incivili?

È sempre più diffusa la mancanza di rispetto verso chi lavora. A seconda del servizio in questione, clienti, utenti, pazienti, studenti e relativi genitori finiscono per aumentare lo stress lavorativo con la loro scortesia.

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Se chiediamo a un infermiere, a un assistente sociale, a un medico che fa le guardie serali o a un insegnante se è capitato loro di subire durante il lavoro atti di scortesia e maleducazione, commenti offensivi e talvolta minacciosi da parte dei loro utenti, è molto facile ottenere risposte affermative. Non solo: emergono anche grande preoccupazione e insoddisfazione per il progressivo peggioramento del loro lavoro, che in larga parte è basato su rapporti interpersonali. 

Del resto, negli ambulatori medici, nelle ambulanze, nei servizi sociali, nei servizi pubblici “di sportello” e nel mondo della scuola (a partire persino da quella primaria) ormai quotidianamente sono denunciati dalla stampa episodi di maleducazione, arroganza e mancanza di rispetto da parte di clienti, utenti, pazienti, studenti e rispettivi genitori.

Situazioni spiacevoli che spesso evolvono in conflitti, aggressioni verbali e addirittura in gravi forme di violenza fisica. Anche le nuove tecnologie comunicative tendono a favorire tali modalità di scambio irrispettoso tra professionista e utente, trasformando qualsiasi eventuale piccolo incidente in un’occasione di messa alla gogna mediatica del tutto ingiustificata.

Siamo di fronte all’inciviltà sul posto di lavoro, intesa come una deformazione dell’interazione professionale, caratterizzata da scorrettezze, villania, arroganza. Esse esprimono una sostanziale assenza di rispetto per il lavoro degli altri e un’incapacità di decentrarsi nella relazione con un professionista che eroga la prestazione richiesta in un contesto organizzativo non sempre facilitante e ottimale. 

Maleducazione e condotte incivili?

Questo fenomeno negli ultimi anni è venuto al centro dell’attenzione degli psicologi dal momento che ha una notevole prevalenza nell’ambito dei servizi (le ricerche mostrano che oltre i due terzi dei lavoratori sono stati vittime o testimoni di episodi di inciviltà lavorativa). Esso tende ad articolarsi in 2 grandi modalità:

a. inciviltà lavorativa intra-organizzativa (riferita ai rapporti con colleghi e superiori), che si manifesta, per esempio, quando ci si prende il merito per sforzi altrui, si diffonde il gossip contro qualche collega, si risponde in modo scortese e irritato anche quando si è in torto, si scrivono e-mail piene di invettive contribuendo a creare un terreno fertile per forme persecutorie più gravi, come il mobbing;

b. inciviltà lavorativa extra-organizzativa, relativa all’interazione con utenti/clienti. Guardando tale relazione solo dal lato dell’utente, l’inciviltà si manifesta con comportamenti di disprezzo ingiusti, insolenti o scortesi, nell’intento, non sempre consapevole, di danneggiare il lavoratore violando le regole della convivenza civile e del rispetto professionale. Esempi di inciviltà degli utenti includono: fare commenti sgradevoli e umiliativi sull’operatore, interromperlo e alzare la voce mentre cerca di dare una risposta, minare la sua credibilità di fronte agli altri anche con atteggiamenti non verbali, rivolgere minacce in forma più o meno obliqua. Da notare che questo genere di inciviltà, derivante anche dalla pretesa di essere serviti subito senza rispettare le regole, si focalizza soprattutto su operatori che ricoprono posizioni di minore potere sociale ed è molto comune nei lavori di front-office.

In entrambi i casi si deve parlare di “inciviltà lavorativa” solo quando i vari comportamenti scorretti e i maltrattamenti si presentano con un’intensità bassa. Il loro grado di intensità, cioè, li differenzia dai 3 sbocchi possibili della pericolosa escalation simmetrica (rigida e crescente contrapposizione) di un’interazione distorta tra operatore e utente:

1) l’aggressività verbale, che è diretta esplicitamente verso l’obiettivo di ferire l’interlocutore;

2) la violenza vera e propria, corrispondente a una forma di aggressività fisica purtroppo spesso grave e incontrollabile; 

3) i comportamenti contro-produttivi dell’utente dovuti alla frustrazione per qualche esito insoddisfacente del rapporto con i servizi e che si esprimono, per esempio, con danneggiamenti di oggetti, furti o con reclami menzogneri e rifiuto di collaborare.

 

La crescente diffusione dell’inciviltà lavorativa è motivo di preoccupazione per una serie di possibili conseguenze deleterie per le persone e per l’organizzazione. La ricerca psicologica ha mostrato che l’inciviltà costituisce uno stressor sociale giornaliero (social daily hassle). Esso, seppure di piccola portata unitaria (modesti fastidi, irritazioni e sconforto momentaneo), si accumula progressivamente, provocando gravi effetti negativi sul benessere psicofisico del lavoratore.

In particolare, la componente emotiva del burnout – esaurimento psicofisico connesso a sentimenti di impotenza, “intrappolamento” e talvolta disperazione – sembra essere la più colpita, determinando anche forte insoddisfazione lavorativa e interferenze sull’impegno e il livello delle prestazioni.

Dal punto di vista organizzativo, le conseguenze più temute riguardano la crescita dell’assenteismo e delle richieste di cambio del lavoro e lo sviluppo di un clima psicosociale sfavorevole alla cooperazione. Soprattutto è stato segnalato l’abbassamento della qualità del servizio: subire condotte incivili dagli utenti/clienti spinge gli operatori a dare risposte routinarie e veloci pur di chiudere l’interazione e li rende poco motivati a fornire prestazioni ottimali.

Pertanto, un’organizzazione intelligente dovrebbe adottare un’ottica preventiva inserendo la “cultura della civiltà lavorativa” tra i valori della propria mission ed esplicitare una logica di tolleranza zero per le condotte incivili interne e all’esterno, rispetto agli utenti/clienti.

In particolare, i dirigenti dovrebbero assumere stili di interazione basati sul rispetto e la cortesia, fare da modello agli altri, incentivare un clima psicosociale di civiltà ed evitare forme di leadership lassista, bloccando così da subito il rischio della degenerazione da qualche episodio di inciviltà lavorativa a forme di aggressività, violenza e condotte contro-produttive.

 

Riferimenti bibliografici

Sliter M. T., Jex S. M., Wolford K. A., McInnerney J. (2010), «How rude! Emotional labor as a mediator between customer incivility and employee outcomes», Journal of Occupational Health Psychology, 15, 468-481.

Torkelson E., Holm K., Bäckström M., Schad E. (2016), «Factors contributing to the perpetration of workplace incivility: The importance of organizational aspects and experiencing incivility from others», Work & Stress, 30 (2), 115-131.

Walker D. D., Van Jaarsveld D. D., Skarlicki D. P. (2014), «Exploring the effects of individual customer incivility encounters on employee incivility: The moderating roles of entity (in)civility and negative affectivity», Journal of Applied Psychology, 99 (1), 151-161.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui