Pietro Trabucchi

Ma lo stress fa ingrassare?

Forse in gran parte è vero, ma il fattore decisivo sono i comportamenti che noi decidiamo di attuare in risposta ad esso.

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Nel 2006 Debra Zellner e la sua équipe pubblicarono una serie di studi sulla scelta di cibo in condizioni di stress (Zellner et al., 2006).

In uno degli esperimenti venivano osservati 2 gruppi di donne: il primo doveva risolvere dei problemi alla sua portata; il secondo affrontava (senza saperlo) un problema irrisolvibile, circostanza che finiva per ingenerare una situazione stressante.

Durante l’esperimento le ragazze potevano mangiare attingendo a un tavolo posto nelle vicinanze. Sul tavolo erano presenti sia cibi salutari, come frutta, sia cibo “spazzatura” ad alto indice glicemico ed elevato contenuto di grassi.

L’esito dell’esperimento fu che il gruppo “stressato” non solo mangiò nettamente di più, ma preferì anche il cibo spazzatura.

Perché le persone stressate tendono a mangiare di più e a scegliere cibi meno sani? Ed è solo questo il motivo per cui le persone sotto stress tendono a ingrassare (oggi si parla addirittura di “stress-induced obesity”)?

Uno degli effetti immediati dello stress è quello sul metabolismo. Il nostro sistema nervoso si attiva di fronte a ciò che percepisce come una minaccia, un pericolo o una sfida impegnativa: in questi casi, gli ormoni dello stress preparano l’individuo a lottare o fuggire liberando nel sangue il glucosio immagazzinato nel fegato e nelle fibre muscolari.

Si tratta di una reazione del tutto appropriata di fronte a minacce acute, concrete e temporanee: un animale feroce, una tribù ostile, un incendio. Se dovessimo trovarci a tu per tu con una tigre dai denti a sciabola questo sistema ci permetterebbe di utilizzare istantaneamente le migliori fonti energetiche disponibili: come una vettura bi-fuel che deve sfuggire a un inseguitore, noi passeremmo istantaneamente dal diesel (acidi grassi) alla benzina super (glucosio).

 

In altre parole, si tratta di un sistema molto efficace perché reagisce ai pericoli aumentando la glicemia, così da innalzare l’energia metabolica disponibile.

Tuttavia, questo sistema così ingegnoso oggi presenta delle criticità: negli ultimi diecimila anni il contesto in cui viviamo – e le minacce che lo popolano – è completamente mutato ed esso “non ha fatto in tempo” ad adattarsi.

Infatti, gran parte degli stressor che oggi ci affliggono non sono più minacce concrete e temporanee come la tigre dai denti a sciabola (la tigre è temporanea perché il processo per il quale le si sopravvive o soccombe dura comunque pochi istanti); al contrario, sono quasi sempre cronici e immateriali oppure legati a relazioni continuative: il capufficio, la suocera, il timore di fallire, la paura del terrorismo.

Questa situazione fa sì che la glicemia nel nostro organismo tenda ad essere stabilmente elevata per l’azione degli ormoni corticosteroidi.

Le conseguenze portano alla sindrome metabolica, un quadro clinico che include: obesità addominale, valori anomali dei lipidi nel sangue, elevata pressione sanguigna, resistenza insulinica, predisposizione alle trombosi e agli stati infiammatori. L’esito successivo è lo sviluppo del diabete, a causa dell’aumento della resistenza insulinica.

Ci sono moltissimi studi che dimostrano come l’insorgenza di alcuni tipi di diabete sia legata – oltre che ad abitudini alimentari inappropriate – anche alla gestione inefficace dello stress (in particolare quello psicologico).

Tra i più significativi mi piace citare uno studio compiuto nel 2005 da Peter Wiesli dell’University Hospital di Zurigo, in cui è stato dimostrato come un episodio di stress psicologico rallenti significativamente il metabolismo degli zuccheri nei pazienti diabetici.

Diversi studi suggeriscono pure l’ipotesi che l’alterata resistenza insulinica comprometta anche il funzionamento della leptina, l’ormone che controlla il senso di sazietà (McGarry, 2002) e che bilancia il cortisolo, l’ormone dello stress coinvolto nella fame da stress.

Quali sono i correttivi adottabili di fronte a questo stato di cose? Il primo rimedio è quello di potenziare il “filtro cognitivo”: cioè aumentare il nostro livello di consapevolezza verso i processi che ci causano stress. Capire, per esempio, che reagire in modo automatico a certe situazioni non serve a niente, ma solo a provocarci un’inutile tempesta ormonale.

Infatti, reagire a un problema scatenando gli ormoni serve soltanto se possiamo produrre un cambiamento concreto nella situazione: arrabbiarsi tutti i giorni, per esempio, poiché c’è sempre traffico sulla strada per l’ufficio, non serve a nulla – solo a mangiare di più durante la giornata – dato che non ci porta a cambiare la situazione.

Un secondo rimedio passa dall’esercizio fisico. Mentre l’assenza di movimento è un segnale di blocco leptinico, il movimento regolarizza la secrezione della leptina riportando in equilibrio il bilanciamento con il cortisolo.

Il terzo rimedio consiste nel non lasciare il senso della fame e della sazietà in completa balia degli automatismi ormonali. Occorre recuperare un maggior rapporto con le sensazioni del corpo. La ricerca ha dimostrato, per esempio, che le persone che sono attente e connesse con sé stesse quando mangiano, tendono a ingrassare di meno (Framson et al., 2009). Questo proprio perché sono maggiormente in contatto con i segnali di fame e di sazietà che derivano dal loro corpo. Nessun equilibrio biochimico riesce ad essere più efficace dell’esercizio della consapevolezza.

 

Riferimenti bibliografici

Framson C., Kristal A. R., Schenk J. M., Littman A. J., Zeliadt S., Benitez D. (2009), «Development and validation of the Mindful Eating Questionnaire», Journal of American Dietetic Association, 109 (8), 1439-1444.

McGarry J. D. (2002), «Dysregulation of fatty acid metabolism in the etiology of type 2 diabetes», Diabetes, 51 (1), 7-18.

Zellner D. A., Loaiza S., Gonzalez Z., Pita J., Morales J., Pecora D., Wolf A. (2006), «Food selection changes under stress», Physiology & Behavior, 87 (4), 789-793.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui