Santo Di Nuovo

La sfida della complessità e le neuroscienze

Nello studio delle scienze della mente può essere utile avvalersi di metodi simulativi, supportati dall’intelligenza artificiale e dalle reti neurali, che sono in grado di modellizzare realtà molto complesse

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Trent’anni fa, nell’introduzione al volume La sfida della complessità, i curatori Bocchi e Ceruti parlavano della «irruzione dell’incertezza irriducibile nelle nostre conoscenze, lo sgretolarsi dei miti della certezza, della completezza, dell’esaustività, dell’onniscienza che per secoli hanno indicato e regolato il cammino e gli scopi della scienza moderna» (pp. 7-8).

In un sistema complesso, il funzionamento dell’insieme non si può dedurre a partire dai singoli elementi che lo compongono, e la sua evoluzione è “caotica” cioè imprevedibile perché intervengono variabili aleatorie la cui azione non è definibile a priori.

TRA CAOS E REGOLE

Le teorie della complessità dei sistemi caotici sembrano contestare due capisaldi della scienza empirica tradizionale: la causalità lineare e il determinismo. In queste condizioni diventa difficile assicurare i processi di generalizzazione e soprattutto quelli di previsione su cui la scienza si fonda.

Per cogliere la causalità all’interno di una realtà complessa, la ricerca sperimentale ha da sempre implicato un rigoroso riduzionismo. Certo, non c’è rigore senza riduzione, ma quanta riduzione è indispensabile? Quale è tollerabile senza rischiare di snaturare il suo oggetto?

Con l’aumento della complessità aumentano le possibilità che emergano funzionamenti imprevisti, dovuti alle molte variabili non controllabili. Ci sono principi generali che governano questa emergenza? Esiste una regola – e quindi una prevedibilità – nel divenire “caotico”?

Per rispondere a queste domande, è utile individuare metodi capaci di cogliere più direttamente e “olisticamente” la complessità, contrastando il riduzionismo eccessivo. È necessario, inoltre, mettere in campo una reale interdisciplinarietà, come prevede il cosiddetto “esagono” che compone la scienza cognitiva: filosofia, antropologia, linguistica, psicologia, neuroscienze, informatica.

Esempi possono essere tratti dalle scienze naturali, come è stato mostrato nei fenomeni dell’“effetto farfalla” descritto da Edward Lorenz, o nei “frattali” di Mandelbrot. Questi esempi ben noti ci dicono che a partire da piccoli cambiamenti può scatenarsi una catena di variazioni imprevedibili e radicali; e che nelle variazioni caotiche si possono scoprire delle regolarità.

La domanda a questo punto diventa: nel rapporto fra causalità e casualità nel cambiamento, possiamo individuare applicazioni per la psicologia e per le neuroscienze?

L’attribuzione di causalità può essere deterministica e sequenziale (a una certa causa succede un certo effetto, e questo effetto si può prevedere conoscendo la causa), oppure non-deterministica: la causalità è aleatoria, e non è possibile attribuire l’effetto a una causa specifica che siamo in grado di prevedere o controllare. L’analisi del comportamento delle persone e dei gruppi sociali deve discriminare se e quanto gli effetti delle loro azioni sono influenzati in modo causale: l’agente è efficace nella determinazione delle conseguenze; in modo casuale: sono le circostanze e gli eventi imprevedibili a provocare le conseguenze, incontrollabili dunque per il soggetto.

La causalità può essere programmata e controllata dallo stesso agente spontaneamente, in modo efficace e spesso automatico; oppure l’auto-regolazione può essere orientata e sostenuta da interventi specialistici (educativi, riabilitativi, psicoterapeutici). O ancora, la regolazione può essere controllata direttamente dall’esterno: mediante farmaci, protesi, supporti umani o artificiali.

All’interno di questa triplice possibilità va collocata l’azione della scienza psicologica, in interazione con le altre scienze che compartecipano all’azione: genetica, pedagogia, farmacologia, ingegneria e intelligenza artificiale.

LA RICERCA DELLE NEUROSCIENZE SULLE REALTÀ COMPLESSE

Nelle neuroscienze, come in altre discipline, la complessità può derivare dal fatto che l’azione delle variabili interessate è del tutto casuale, cioè strutturalmente indipendente dagli altri elementi del sistema: in questo caso, la complessità deriverebbe dalla imprevedibilità della realtà in sé. Oppure la complessità e il caos possono apparire tali perché i fattori interagenti in un certo fenomeno sono talmente numerosi da non poter essere tutti analizzati e conosciuti scientificamente. In questo caso, la complessità comporterebbe un’imprevedibilità epistemica.

Se la complessità implica un’imprevedibilità strutturale allora non potrà mai essere completamente conosciuta e compresa nella sua essenza, ma solo monitorata e controllata nelle sue variazioni. Nel secondo caso, aumentando la potenza dei metodi di conoscenza e/o di analisi di dati, e cumulando modelli progressivamente sempre più onnicomprensivi, si potrebbero spiegare – seppur mai del tutto – eventi sempre più complessi. Si può ritenere che, nello studio della mente umana e delle sue manifestazioni, entrambe le accezioni siano valide, purché si distinguano i fenomeni cui sono applicabili.

Specie in settori come quelli clinici e psicosociali, gli eventi sono strutturalmente complessi e multi-determinati, poco suscettibili di scomponibilità, per cui qualunque operazione di riduzione risulta molto limitativa della conoscenza della realtà e permette solo una limitata prevedibilità degli sviluppi futuri. Insomma, la casualità sconfigge spesso la causalità, e solo un monitoraggio continuo può permettere un controllo efficace.

Ma esistono anche situazioni complesse in cui le difficoltà metodologiche di studio possono essere affrontate con tecniche sempre più raffinate, come i sofisticati strumenti di rilevazione, le diagnostiche per immagini di tipo dinamico, le analisi multivariate, le ricerche cumulative e le simulazioni. Queste metodologie consentono di “capire sempre di più” dei fenomeni complessi; pur persistendo andamenti imprevedibili che richiedono qualche forma di “controllo attivo del caos”.

La metodologia delle scienze della mente è ben avvezza a studiare le regolarità e a contrastare il caso: tutta la statistica probabilistica con cui si verificano le ipotesi è una sfida alla casualità per dimostrare la “significatività” degli effetti ottenuti. Inoltre, la metodologia tende alla generalizzazione e alla previsione, per cui conoscendo le cause di un fenomeno si può programmare come modificarlo verso una direzione valida in generale. Ma l’interferenza costante dei fattori casuali tipica di fenomeni complessi rende spesso aleatorie entrambe le opzioni.

Se complessità e casualità tendono a prevalere, occorrerà pensare ad altri criteri per la verifica delle ipotesi che incrociano i tre obiettivi fondamentali della scienza (spiegare, comprendere e cambiare) con il tipo di ricerca, il modo di trattare la complessità, il ruolo dell’agente di valutazione e/o di cambiamento.

Anche nelle neuroscienze le tematiche legate ai fenomeni complessi e “caotici” hanno messo ulteriormente in crisi le tentazioni “oggettivistiche” della scienza, sollecitando un’epistemologia centrata su:

  • una visione non-deterministica per cui le condizioni iniziali conosciute possono subire reazioni a catena e “salti” non prevedibili;
  • la circolarità della causalità: alcuni fattori ne influenzano altri, ma ne sono a loro volta influenzati, e così per molte delle relazioni all’interno di un sistema, per cui è il network che va gestalticamente analizzato prima delle sue componenti;
  • un approccio olistico, cioè globale e non riduzionistico, che considera l’effetto complessivo della sperimentazione e/o dell’intervento, superando il “rumore” delle variabili non controllabili (la logica dell’effect-size e delle meta-analisi su esso fondate).

Questa epistemologia presuppone che le variabili non sempre possono essere misurate in modo rigoroso e attendibile, ma ammettendo e ponderando i margini di errore o casualità: il funzionamento della mente e delle relazioni sociali non può essere quantificato al pari delle variabili fisiche o biochimiche. E riguardo all’analisi dei dati, non si può presumere a priori di valutare un certo effetto se non con rischio di errore al di là di quello previsto nelle analisi probabilistiche.

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L’APPORTO DELLA SIMULAZIONE E DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Nello studio della complessità può essere utile avvalersi di metodi simulativi, supportati dall’intelligenza artificiale e dalle reti neurali, in grado di modellizzare realtà molto complesse, e di verificare ipotesi con metodi diversi da quelli tradizionali (si veda il prossimo paragrafo).

La modellizzazione di realtà complesse mediante simulazione, allo scopo di superare i possibili funzionamenti caotici, consente un continuo controllo degli sviluppi dello stato iniziale e dei cambiamenti durante il processo. I sistemi simulativi attuano in autonomia, mediante le reti neurali ricorsive, il monitoraggio che nelle consuete prassi applicative della psicologia va fatto dall’operatore umano. In tal modo, lo supportano costantemente nel regolare il percorso verso i fini prefissati, fronteggiando in itinere le variazioni casuali che altrimenti esporrebbero l’intervento ai rischi di un’inevitabile caoticità.

Quanto fin qui detto è applicabile ai vari settori della psicologia: comunicazione, interazioni, azioni sociali; apprendimenti cognitivi, affettivi, relazionali; disturbi di apprendimento e comportamentali; aspetti economici, etici, estetici della vita quotidiana; trattamento della disabilità e delle patologie psichiche; applicazioni giuridiche e forensi; cura delle fasce “deboli” della popolazione: immigrati, anziani, nuove povertà; stress e burnout individuale e organizzativo; uso della pubblicità e dei social media… tutti ambiti dove la complessità è la regola, e in cui le neuroscienze e l’intelligenza artificiale possono aiutare a fronteggiarla con successo.

LA RICERCA SIMULATIVA PER GESTIRE LA COMPLESSITÀ

Un limite della ricerca psicologica sulla mente, specie in ottica applicativa, è la inevitabile semplificazione della complessità degli eventi studiati, in quanto solo poche variabili per volta possono essere considerate e trattate, e questo limita la validità “ecologica”. Le neuroscienze possono utilizzare metodologie in grado di diminuire il riduzionismo nella ricerca sulla complessità delle mente, anziché aumentarlo come spesso avviene negli esperimenti riferiti alla logica del laboratorio.

Negli studi che usano la simulazione e l’intelligenza artificiale è possibile costruire dei modelli iniziali, semplici e “ridotti”, senza però ritenerli la prova oggettiva di come funziona la realtà. I risultati costituiscono linee-base da connettere poi tra loro in modelli sempre più complessi e più vicini alla realtà, quindi “ecologicamente” validi. La simulazione consente quindi di fare in modo rapido ed economico quanto nella ricerca sperimentale va fatto usando disegni multivariati molto complessi, oppure mediante numerosi studi “pilota” e la cumulazione di risultati di diversi studi con replicazioni e variazioni sistematiche delle variabili. I modelli via via sperimentati nelle simulazioni possono essere poi applicati e generalizzati mediante ricerche-intervento sul campo.

Applicazioni di questa metodologia sono possibili nella generazione e implementazione di modelli riguardanti per esempio:

  • l’apprendimento del linguaggio e della comunicazione non verbale, e di una seconda lingua;
  • l’orientamento e il tutorato per studenti universitari;
  • il mental training di atleti per prestazioni agonistiche, e la riabilitazione dopo infortuni;
  • l’accrescimento di competenze sociali di persone con disabilità o di allievi con bisogni educativi speciali;
  • gli interventi misti farmacologici e psicologici per la prevenzione del deterioramento fisico e mentale.

E la lista potrebbe continuare a lungo. Possono essere studiate con metodi simulativi specifiche funzioni come l’immaginazione mentale, che costituisce a sua volta una simulazione interna alla mente.

Studi approfonditi sono in corso per usare la simulazione in ipotesi di assessment e intervento nei settori più impegnativi del lavoro dello psicologo, per esempio quelli online durante il distanziamento a seguito di pandemia.

 

Santo Di Nuovo è professore di Psicologia presso l’Università di Catania e presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP).


Bibliografia

Bocchi G., Ceruti M. (a cura di, 1991), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano.
Cangelosi A., Di Nuovo S. (2015), Vita naturale, vita artificiale, Franco Angeli, Milano.
Morin E. (1993), Introduzione al pensiero complesso (trad. it.), Sperling & Kupfer, Milano.
Ruelle D. (2003), Caso e caos (trad. it.), Bollati Boringhieri, Torino.

 

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui