Giorgio Gronchi

La natura della conoscenza

Un’analisi attenta mostra che spesso la certezza che abbiamo di conoscere qualcosa è soltanto una credenza nata dall’accesso che abbiamo alle informazioni più sofisticate. Basta che siamo messi alla prova sulle nostre reali competenze perché riveliamo tutta la nostra ignoranza

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«Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana». Comunemente attribuito ad Albert Einstein, questo aforisma è spesso seguito dalla frase «e non sono sicuro della prima», oppure «ma riguardo all’universo ho ancora dei dubbi». È una citazione estremamente frequente su Internet, con oltre 197 000 risultati su Google nella sola traduzione italiana (al giugno 2021). Viene riportata nei meme condivisi sui social media e molti utenti la usano per commentare link e notizie. Le occasioni per usare la citazione di Einstein non mancano: gli esseri umani, infatti, quotidianamente commettono errori o fanno affermazioni sbagliate. Eppure, l’evoluzione tecnologica e scientifica suggerisce una visione completamente diversa: oggi l’uomo è in grado di fare cose che un paio di secoli fa erano considerate impossibili o vere e proprie magie. Com’è possibile che gli esseri umani siano contemporaneamente così stupidi e così intelligenti?

UNA CONOSCENZA ILLUSORIA

Gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach hanno cercato di rispondere a questo paradosso nel libro L’illusione della conoscenza. Le riflessioni degli autori si muovono a partire dalla vasta letteratura scientifica che mostra la tendenza delle persone a sovrastimare la propria comprensione del mondo. Per esempio, su una scala da 1 a 7 (dove 1 è «nessuna comprensione» e 7 «comprensione totale»), quanto pensate di sapere come funziona una penna a sfera? Se siete come la maggior parte delle persone, probabilmente pensate di conoscere abbastanza bene come funziona una penna (d’altra parte, è un oggetto estremamente familiare che usiamo fin da bambini) e perciò indicherete un valore al di sopra del punto centrale di questa scala. Tuttavia, se vi viene poi chiesto di spiegare in modo dettagliato come funziona una penna a sfera, allora le cose diventano più complesse. Come fluisce fuori l’inchiostro? Come funziona il meccanismo della sfera? Di che tipo di materiale dev’essere fatta la sfera? Quando iniziamo a porci queste domande e riflettiamo sull’effettivo modo di funzionare di una penna a sfera ci rendiamo conto di saperne molto poco (a meno di non lavorare nell’ambito della produzione di penne). Se successivamente viene presentata la domanda sulla stima della propria comprensione del funzionamento della penna a sfera, a causa del tentativo insoddisfacente di generare una spiegazione dettagliata, le persone rivedono la propria stima al ribasso.

Questo fenomeno, messo in luce circa vent’anni fa dagli psicologi Frank Keil e Leonid Rozenblit, si chiama “illusione della profondità esplicativa”. È un risultato empirico estremamente robusto: è stato osservato per un’ampia varietà di oggetti (toilette, elicotteri, orologi ecc.) e per fenomeni (politica fiscale, cambiamento climatico, vaccini ecc.) in campioni molto diversi (dalla popolazione generale a studenti di prestigiose università). L’illusione della profondità esplicativa testimonia come ognuno di noi sopravvaluti la propria conoscenza del mondo: crediamo di comprendere il funzionamento di ciò che ci circonda, ma in realtà non è vero. Questo vale per oggetti, fenomeni, ma, a maggior ragione, anche per la conoscenza di semplici fatti. Pensiamo all’esempio iniziale della citazione di Einstein: quanti di noi l’hanno usata dando per scontato che effettivamente Einstein abbia detto quella frase? Ma siamo davvero sicuri di ciò? Un approfondimento sul tema potrebbe rivelare delle sorprese: dietro una semplice citazione può esserci, infatti, una storia assai articolata e complessa…

Si potrebbe obiettare che approfondire la storia della citazione di Einstein, mettendo in discussione il fatto che sia stata effettivamente pronunciata, richieda una motivazione sufficiente a spendere del tempo per acquisire ulteriori informazioni: molto più semplice dare per scontato che sia stato Einstein a pronunciarla. Tuttavia, la nostra limitata conoscenza del mondo si manifesta anche in compiti estremamente semplici: per esempio, sapete riconoscere una bicicletta? La bicicletta è un mezzo di trasporto comune e relativamente semplice nel modo di funzionare: ognuno di noi, anche se non ne possiede una, uscendo per strada ha modo di vederne qualcuna. In uno degli esperimenti condotti dalla psicologa Rebecca Lawson venivano mostrati quattro diversi disegni di una bicicletta, dei quali uno solo corretto (ossia di una bicicletta realmente capace di funzionare) e tre sbagliati (per esempio, in uno la catena era collegata ad entrambe le ruote). Molti dei partecipanti all’esperimento non riuscirono a identificare la rappresentazione corretta della bicicletta. La cosa sorprendente è che anche ciclisti esperti commettono errori in questo compito apparentemente semplice.

LA COMUNITÀ DELLA CONOSCENZA

Siamo quindi vittime di un’illusione: pensiamo di sapere più di ciò che sappiamo. Da dove deriva questa illusione? La spiegazione proposta da Sloman e Fernbach fa riferimento all’idea che la nostra mente non risieda solo all’interno della nostra scatola cranica, ma che ci sia molto altro oltre la nostra testa: per esempio, il nostro corpo, gli oggetti intorno a noi e le persone che ci circondano (la cosiddetta “comunità della conoscenza”). Pensiamo, per esempio, a quanto l’ambiente circostante influenzi i nostri processi cognitivi: immaginiamo di telefonare a un collega affinché ci legga un codice scritto su un documento che è nel nostro ufficio. Trascorriamo parecchie ore in quella stanza: se fossimo effettivamente presenti, trovare il documento sarebbe questione di un attimo. Tuttavia, se non siamo fisicamente presenti, ci accorgiamo che non è per niente facile visualizzare la stanza nella nostra mente e quindi spiegare al nostro collega dov’è il documento.

Per dare al collega indicazioni precise è necessario specificare numerosi dettagli: ma la nostra mente non è fatta per immagazzinare e rievocare grandi quantità di informazioni in modo accurato. Evolutivamente ha poco senso investire energia e risorse per ottenere ciò: i dettagli sono a nostra disposizione nell’ambiente intorno a noi!

La comunità della conoscenza è composta soprattutto dalle persone che ci circondano: ognuno di noi ha una conoscenza superficiale della quasi totalità dei fenomeni e degli oggetti attorno a noi, ma è anche esperto di un ambito estremamente ristretto, tipicamente legato alla sua professione. Se abbiamo una tosse persistente e febbre, ci rivolgiamo al nostro medico di famiglia che, dopo aver valutato la situazione, potrebbe consigliarci di consultare uno specialista; se c’è una perdita sotto il lavandino, chiamiamo l’idraulico. La tendenza a sopravvalutare le nostre conoscenze può portare a peggiorare il problema: se decidiamo di riparare la perdita senza chiamare l’idraulico è probabile che il risultato sia un disastro!

Secondo Sloman e Fernbach il fatto che ognuno di noi abbia accesso alle conoscenze specialistiche che possiedono i vari attori della comunità della conoscenza è alla base della sopravvalutazione della nostra comprensione del mondo: l’illusione della conoscenza si fonda sulla nostra incapacità di distinguere ciò che sappiamo in quanto individui da ciò che sappiamo in quanto appartenenti alla comunità della conoscenza; in particolare, è la possibilità di accedere alle informazioni che possiedono gli individui (e, più in generale, l’ambiente) intorno a noi che ci fa illudere di possedere tali conoscenze.

Per esempio, supponiamo che un team di scienziati abbia scoperto una nuova tipologia di roccia con proprietà peculiari. Si specifica che gli scienziati hanno reso pubbliche le informazioni raccolte su questa roccia. Se chiediamo alle persone di quantificare il proprio grado di comprensione delle proprietà della roccia in questione, è probabile che forniranno un’autovalutazione medio-alta. Ma se specifichiamo che gli scienziati hanno deciso di mantenere segreto ciò che hanno scoperto sulla roccia, a parità di informazioni fornite le persone autovalutano la propria comprensione come medio-bassa.

Sapere che la conoscenza è accessibile nelle menti degli altri determina quindi la sopravvalutazione delle nostre conoscenze. Se compro un libro di storia medievale e lo tengo sul comodino senza leggerlo, il semplice fatto di avere potenzialmente accesso al libro mi porterà a sopravvalutare ciò che so di storia medievale. È importante notare che anche Internet fa parte della comunità della conoscenza: persone che svolgono ricerche in rete su un certo argomento (per esempio, come funzionano le penne a sfera) sovrastimano la propria capacità di rispondere a domande non associate alle precedenti (tipo: «Perché ci sono più uragani atlantici ad agosto e settembre?») in misura maggiore rispetto a un campione che non ha svolto la medesima ricerca in rete.

UN PRESUNTO BRAVO FOTOGRAFO

L'illusione della conoscenza è strettamente associata al famoso effetto Dunning-Kruger, per il quale gli individui meno competenti tendono a sopravvalutare le proprie capacità. Questa distorsione cognitiva viene attribuita al fatto che l’unico criterio che un individuo può usare per autovalutarsi è la propria conoscenza ed esperienza personale. Immaginate che le foto dei vostri viaggi, condivise sui social, inizino a ricevere commenti estremamente positivi dai vostri amici e colleghi. Questi ultimi insistono affinché facciate voi le foto durante compleanni e feste (magari addirittura a un matrimonio!) e ben presto diventate il fotografo ufficiale del vostro gruppo di amici, malgrado non siate così esperti oggettivamente di fotografia. È evidente che tutto ciò vi porta a considerarvi un bravo fotografo.

Ma bravo quanto? Dal momento che sapete ben poco di aspetti tecnici di fotografia, non siete un giudice affidabile delle vostre capacità. L’unico metro del vostro successo fotografico sono le persone che frequentate: se tra queste non c’è nessun esperto, l’apprezzamento delle vostre foto è fortemente condizionato dall’amicizia che hanno per voi. Qualora iniziaste a studiare realmente fotografia, vi rendereste conto di tutta una serie di fattori che prima ignoravate (la composizione, come muoversi rispetto alla luce con un mezzo fotografico). Confrontandovi con persone esperte, osserverete che le vostre capacità sono piuttosto limitate. Essere competenti significa avere sia la capacità che la consapevolezza di cosa serva per essere capaci in un certo ambito: più si diventa competenti, più si diventa consapevoli di ciò che non si sa.

 

TRE TIPI DI RAPPRESENTAZIONE DELLA CONOSCENZA

Tenendo conto di questi risultati nel loro complesso, Sloman e Fernbach, insieme a Nathaniel Rabb, hanno distinto 3 tipi di rappresentazione della conoscenza. Il primo tipo è la conoscenza dettagliata: ognuno di noi possiede questo genere di rappresentazione relativamente a pochissimi ambiti o argomenti. Pensiamo a un medico specializzato in endocrinologia, a un avvocato esperto in diritto di lavoro o a un operaio specializzato in un certo tipo di macchinari. Ogni individuo contribuisce alla comunità della conoscenza attraverso le proprie competenze: inoltre, queste conoscenze dettagliate non riguardano solo la propria professione, ma comprendono anche i propri hobby, le vicende personali e famigliari nonché il luogo che abitiamo o gli oggetti che possediamo (nessuno conosce meglio di noi cosa c’è in casa nostra, sopra la nostra scrivania o nel nostro computer, al netto dei limiti cognitivi di ogni individuo).

In secondo luogo abbiamo la conoscenza superficiale: si tratta di informazioni estremamente limitate e approssimative che riguardano però moltissimi oggetti e fenomeni con i quali abbiamo usualmente a che fare.

Come osservato in precedenza, facciamo riferimento quindi al funzionamento di una penna a sfera o di una bicicletta: nessuno di noi ha bisogno di una comprensione approfondita di questi oggetti (a meno di non occuparci – per lavoro o per hobby – di produzione delle penne a sfera o di riparazione di biciclette) perché questa conoscenza sommaria e imprecisa è sufficiente per usare, nella vita quotidiana, penne e biciclette. Dipendiamo dalla comunità della conoscenza per i dettagli, ma la conoscenza superficiale ci consente di operare in modo flessibile e adattivo anche da soli.

Il terzo tipo di conoscenza funge da “marcatore”; in altri termini, fornisce un’indicazione su dove si trova la conoscenza che non possediamo in quanto individui. I marcatori possono riguardare delle semplici annotazioni nelle quali abbiamo scritto delle cose che dobbiamo ricordarci, le persone a cui possiamo riferirci per avere delle informazioni o per svolgere un certo compito, ma anche il sito web (banalmente Wikipedia) che dobbiamo consultare per rispondere a una certa domanda.

L’illusione della profondità esplicativa si fonda proprio su queste diverse rappresentazioni della conoscenza: quando inizialmente ci viene chiesto quanto pensiamo di sapere un certo argomento o fenomeno, confondiamo la nostra conoscenza superficiale con una forma di conoscenza dettagliata a causa della presenza dei marcatori. In altri termini, siamo incapaci di distinguere tra l’indicazione di dove si trova la conoscenza e l’effettiva presenza della conoscenza dettagliata.

Questa breve sintesi di alcune delle ultime ricerche sulla natura della conoscenza umana supporta l’idea di come la condizione naturale dell’uomo sia uno stato di ignoranza: possiamo essere realmente esperti di un insieme ristretto di argomenti, tuttavia esperiamo di continuo l’illusione di sapere più di quanto effettivamente sappiamo. Ciò, specie in una società tecnologicamente avanzata, come quella odierna, può avere gravi conseguenze. Per esempio, in ambito medico, la possibilità di avere accesso tramite Internet a grandi quantità di informazioni su sintomi e malattie può portare le persone a sopravvalutare le proprie conoscenze mediche e a dubitare delle indicazioni del medico, se queste ultime vanno in direzione opposta a ciò che tali persone credono (magari a causa della propria comunità della conoscenza, per esempio se frequentano gruppi di “no-vax”).

La buona notizia, però, è che la ricerca psicologica sta indagando sempre più sistematicamente la natura della conoscenza umana, mettendo in luce quali sono i meccanismi sottostanti alle distorsioni e alle illusioni di cui è vittima il pensiero umano. Grazie a queste nuove consapevolezze, potremo prendere delle contromisure per arginare le conseguenze dell’illusione della conoscenza e per trovare architetture di scelta e di interfacce tecnologiche tali da ridurre questi problemi.

 

Giorgio Gronchi è ricercatore presso l’Università di Firenze, dove insegna Psicologia generale e Psicologia cognitiva e della percezione. È stato visiting scholar presso la Brown University negli Stati Uniti. Si occupa di pensiero e di modelli computazionali in psicologia.

 

Bibliografia
Fernbach P., Sloman S. (2018), L’illusione della conoscenza (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano.
Lawson R. (2006), «The science of cycology: Failures to understand how everyday objects work», Memory & Cognition, 34 (8), 1667-1675.
Rabb N., Fernbach P. M., Sloman S. A. (2019), «Individual representation in a community of knowledge», Trends in Cognitive Sciences, 23 (10), 891-902.
Rozenblit L., Keil F. (2002), «The misunderstood limits of folk science: An illusion of explanatory depth», Cognitive Science, 26 (5), 521-562.

 

 

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui