Gabriele Giacomini

La misura della felicità

Come riconoscere ed evitare gli errori che ci allontanano dalla felicità

«La felicità esiste, ne ho sentito parlare». In questo modo lo scrittore Gesualdo Bufalino ironizzava sulla difficoltà di raggiungere la felicità. Gli sviluppi recenti della psicologia aprono, tuttavia, scenari inediti sulla comprensione di questo sentimento.

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La nostra capacità di controllare un fattore così importante per la nostra vita, come la felicità, sembra particolarmente limitata: si tratta di un sentimento spontaneo, che arriva inaspettato, difficile da definire e quindi anche da cercare volontariamente. Secondo le ricerche dello scienziato cognitivo e premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman è vero che abbiamo serie difficoltà nel pensare cosa ci farà felici in futuro, ma è altrettanto vero che percepiamo con grande facilità il piacere, la soddisfazione e il benessere nel momento in cui li stiamo vivendo. Misurando le percezioni di felicità che le persone sperimentano, analizzando in quali momenti della giornata e in quali situazioni queste sensazioni si verificano maggiormente, sarà finalmente possibile avere delle informazioni che possano suggerirci con buona affidabilità la migliore strada verso il benessere.

Siamo in grado di sapere ora quello che ci farà felici in futuro? Se non riusciamo ad avere ben chiaro quello che potrebbe farci felici, difficilmente potremo costruire una vita soddisfacente. Che poi è quello che spesso accade. Ogni giorno ognuno di noi prende un gran numero di decisioni, che ci mettono di fronte a situazioni più o meno piacevoli. Peccato che, nel giudicare e nello scegliere, siamo raramente razionali e ci lasciamo influenzare dal contesto sociale e culturale. Ricorriamo spesso a meccanismi cognitivi, chiamati euristiche, che sono comodi, automatici e poco dispendiosi, ma che spesso ci portano fuori strada.

In uno studio sperimentale è stato chiesto di immaginare gli effetti sul benessere della propria famiglia nel caso di un improvviso trasferimento da una città ad un’altra. L’idea da cui si è partiti è che, in media, il disagio dello spostamento raggiunge il suo massimo nel primo periodo, per poi diminuire con il tempo. I soggetti dell’esperimento, invece, credevano che le conseguenze edoniche provocate dal trasferimento si sarebbero mantenute uguali sia dopo i primi mesi sia addirittura dopo tre anni. Un pensiero senza dubbio fallace: nella realtà subentrano sempre meccanismi di adattamento alle nuove situazioni.

Spesso le nostre strutture cognitive non ci supportano come vorremmo. Seguendo euristiche ingannevoli, potremmo convincerci che un certo cambiamento possa avere conseguenze determinanti per la nostra vita, e questa convinzione può diventare motivante. Ad esempio, qualcuno potrebbe pensare di spostarsi da una regione dell’interno degli Stati Uniti alla California, aspettandosi un aumento del benessere per via del clima californiano. In realtà, come mostrano le ricerche sperimentali di Kahneman, difficilmente la previsione si rivelerà corretta: si potrebbe trattare, almeno in parte, di una valutazione senza fondamento, di una vera e propria illusione cognitiva. 

Le difficoltà nel pensare il futuro riguardano principalmente i nostri giudizi e le nostre decisioni. Nel momento in cui sperimentiamo piacere o soddisfazione, però, non giudichiamo né scegliamo, semplicemente percepiamo. L’esperienza della percezione è più elementare e diretta, quindi può essere raccontata con particolare facilità e affidabilità. Per questo, la sfida di Kahneman e dei suoi collaboratori è quella di misurare la felicità nel momento in cui viene sperimentata dai soggetti. Sarebbe possibile creare una mappa dei fattori del benessere umano che possa rispecchiare la realtà della nostra vita per come viene percepita e non per come viene pensata o immaginata. In che modo?

Kahneman ha elaborato un processo di rilevazione denominato “metodo della ricostruzione giornaliera”, che consiste nel compilare un diario degli eventi della giornata precedente. Per ogni episodio vissuto viene richiesto agli individui di indicare con quali persone stavano interagendo e di attribuire un voto al proprio stato d’animo. In questo modo il rischio di affidarsi ai giudizi e alle euristiche che li caratterizzano è minimizzato: gli episodi richiamati alla memoria delle persone sono così specifici e così vicini nel tempo che i resoconti sono sufficientemente accurati.

I risultati di queste ricerche sono molto interessanti. Quasi tutte le attività giornaliere più piacevoli hanno luogo fuori dall’ambito economico-produttivo: avere relazioni intime, stare in compagnia della propria famiglia, bere un aperitivo con gli amici. Al polo opposto si trovano il lavoro, il trasferimento da casa al lavoro e viceversa, ma anche fare shopping è nella parte bassa della classifica del gradimento. Le persone vivono situazioni di scarsa soddisfazione sia quando sono produttori sia quando sono consumatori. Le risposte delle persone intervistate possono essere interpretate anche dal punto di vista delle relazioni interpersonali: è risultato evidente che il tempo investito con gli amici è quello che offre un maggiore contributo in termini di felicità, seguito da quello trascorso in solitudine. All’ultimo posto, quello in cui si interagisce con il proprio capo.

Anche alcune circostanze di vita hanno avuto differenti effetti sulla valutazione. Ad esempio, donne divorziate hanno segnalato un livello di soddisfazione generale inferiore rispetto a quello delle donne sposate. Gli influssi benefici del rapporto di coppia e in particolare del matrimonio non devono stupire troppo. Stare insieme porta benefici peculiari: sposandosi, due persone non decidono solo di vivere insieme, ma anche di darsi supporto reciproco. Ovviamente si tratta di medie statistiche: è possibile essere sposati con la persona sbagliata. Ciò non toglie che, generalmente, avere vicina una persona con cui condividere la vita aiuta a migliorarla. 

Dunque, le relazioni umane sono di gran lunga il migliore investimento in termini di felicità. Sembra una banalità? Se osserviamo la realtà non si tratta affatto di un’acquisizione scontata. Uno studio ha mostrato che il 70% degli studenti americani pensa che «fare un sacco di soldi» sia un obiettivo «molto importante». Anche se ci guardiamo attorno, notiamo vestiti alla moda e automobili sempre più veloci. All’opposto, il numero dei matrimoni è in calo mentre quello delle separazioni in aumento, i genitori passano sempre meno tempo in compagnia dei propri figli e il massiccio utilizzo di Internet e della televisione ha sottratto ore preziose un tempo dedicate alla vita sociale. Non a caso il demografo statunitense Richard Easterlin ha scoperto il “Paradosso reddito-felicità”: negli ultimi decenni, mentre il reddito pro capite delle nazioni sviluppate ha continuato a crescere, i loro abitanti non sono diventati più felici.

Forse questo accade perché siamo come degli antichi viaggiatori che, pur desiderando raggiungere una città chiamata Felicità, possono soltanto contare su ciò che ha offerto loro la natura: una vista discreta ma limitata, qualche riferimento fallace come il sole e le costellazioni. Misurare la felicità, invece, significherebbe raggiungere questa città con l’aiuto di una moderna mappa che si basa su rilevazioni il più affidabili possibile. Allora ognuno potrebbe scegliere liberamente la strada che preferisce, raggiungendo la città in autostrada o seguendo la strada panoramica. Almeno il cammino non sarebbe in balia dell’intuito, dei meccanismi cognitivi ingannevoli e dell’influenza del contesto sociale e culturale, ma potrebbe essere progettato con maggiore consapevolezza e cognizione di causa.

Insomma, come evitare gli errori di valutazione che ci allontanano dal nostro benessere? Più sappiamo sul perché e sul come delle nostre azioni, più saremo in grado di influire sul nostro futuro. Essere consapevoli dei limiti cognitivi e dei trabocchetti mentali in cui sistematicamente cadiamo, quindi, significa aver già percorso metà strada verso una vita più felice. In particolare, è fondamentale sforzarsi di non considerare in maniera acritica qualunque nostro desiderio: ad esempio, la nostra mente può essere facilmente influenzata dalle persone che abbiamo accanto o dalla pubblicità. Dobbiamo invece focalizzarci sulle attività che ci fanno più felici nel momento in cui le stiamo vivendo, cercando di attribuire loro un ruolo sempre più importante nella nostra vita.

Inoltre, si potrebbero promuovere riforme del sistema sociale ed economico. Ad esempio, il PIL è il simbolo di un sistema collettivo centrato sulla produzione di beni e servizi, una finalità sicuramente importante in un mondo in cui le risorse a nostra disposizione sono scarse, ma non sempre la crescita della produzione è sufficiente a portare un aumento della soddisfazione. Allora perché non affiancare al PIL un criterio di misura della felicità della popolazione? In questo modo potrebbe essere più facile costruire istituzioni e regole di convivenza che ci sostengano nel perseguimento dello stare bene. Del resto la prospettiva dei ricercatori è chiara: superare il problema della natura spontanea della felicità, coltivandone le condizioni e facendo in modo che il benessere diventi uno stato d’animo il più possibile presente nelle nostre vite.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 230 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui