Carmelo La Mela, Elena Puliti

La difesa di quel che abbiamo

Nell’invidia si reagisce a ciò che non si ha e che evidentemente si vorrebbe avere. Nella gelosia, invece, ci si concentra su ciò che si ha, ma che si teme di perdere a causa di una terza persona.

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La gelosia è il sentimento che accompagna il timore che qualcun altro minacci il nostro rapporto con una persona per noi fondamentale. È un sentimento frequente, presente in ogni età della vita: lo provano i bambini, gli adolescenti e gli adulti. Chi prova gelosia, l’avverte come un intenso sentimento spiacevole, un segnale di allarme che allerta per un pericolo, un grande pericolo inatteso ma dalle possibili conseguenze catastrofiche: perdere la persona amata e perderla a causa di qualcun altro intromessosi nella relazione. Quindi, si è gelosi solo e se ci sentiamo legati a qualcuno in modo speciale; la gelosia è un segnale di quanto siano importanti per noi la persona e la relazione in pericolo. Comunemente, quando si parla di gelosia, si pensa alla gelosia romantica, quella vissuta all’interno del rapporto di coppia. 

È invece da ricordare che la gelosia può caratterizzare qualunque tipo di rapporto, purché sia percepito come speciale, unico, esclusivo e indispensabile per il proprio benessere: possiamo, allora, essere gelosi del partner, così come di un amico, di un familiare, di un collega. Quindi, mentre la percezione di una relazione esclusiva con un altro amato attiva un senso di piacevole reciprocità, affinché si attivi la gelosia c’è bisogno che quel rapporto importante, che vogliamo esclusivo, sia minacciato da una terza persona. La gelosia può inoltre manifestarsi anche nel rapporto con gli oggetti, quando vengano sentiti speciali: può capitare per i libri, i vestiti, l’auto: non vogliamo che altri li usino, li tocchino, poiché li sentiremmo violati, in qualche modo ci sentiremmo violati. È come se le nostre cose più intime cui siamo maggiormente affezionati rappresentassero una proiezione del Sé, una parte di noi stessi che non vogliamo condividere con chiunque.

A volte una persona coinvolta in una relazione amorosa può sentirsi gelosa per un’infedeltà percepita e al contempo sentirsi sessualmente eccitata dalla fantasia di tale infedeltà. Inoltre possono accompagnare la gelosia il senso di colpa per il timore di essere la causa di ciò che sta succedendo e infine un sentimento di vergogna per quello che gli altri possono pensare di noi. Tutte queste diverse sfaccettature emotive possono alternarsi in continuazione nella mente del geloso, ma più spesso una di esse può rappresentarne l’aspetto prevalente in base alla tipologia caratteriale e personologica di chi soffre di gelosia. 

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 Avere e non avere: gelosia e invidia 

La gelosia è sottesa da un senso di unicità, possesso ed esclusività. Questo desiderio di possesso e di esclusività («È mia e solo mia…») può portare a confonderla con un altro sentimento molto frequente e per certi aspetti simile: l’invidia. A differenza della gelosia, l’invidia si caratterizza però per la rabbia o la tristezza che proviamo quando desideriamo qualcosa o qualcuno che non abbiamo e che vorremmo avere. Così possiamo invidiare il successo di un collega, la donna di un amico, il carattere particolarmente estroverso di un fratello. Insomma, sono geloso di ciò che ho, mentre invidio chi ha ciò che io non ho e che vorrei avere. Il senso di possesso ed esclusività sono due delle tante sfaccettature della gelosia, che è un sentimento complesso, intriso di un mix di emozioni più basiche: la paura di perdere la persona amata, la rabbia verso il terzo che si è intromesso e che mette a rischio il rapporto, la tristezza per qualcosa che c’era e che ora riteniamo perduto (il rapporto che credevamo perfetto, idilliaco, impermeabile a qualunque insidia, eterno, e che invece non sarà più come prima) e persino l’eccitazione.

 Una prospettiva evoluzionistica 

La psicologia evoluzionistica guarda ai comportamenti dei rappresentanti di tutte le specie viventi come finalizzati principalmente a 2 scopi: sopravvivenza nell’ambiente fisico nel quale si vive e riproduzione per il mantenimento della specie. In quest’ottica le emozioni hanno il significato di segnali che informano l’organismo rispetto a scopi e bisogni, desiderati o minacciati, che attivano comportamenti adeguati al ripristino della buona forma fisica e relazionale: così, per esempio, la paura segnala un pericolo per l’integrità fisica dell’organismo e motiva comportamenti di protezione, oppure la rabbia innescata da un’aggressione ha lo scopo di attivare una difesa.

Nella nostra specie, la vita di relazione ha fatto sì che questi scopi siano molto più complessi perché riguardano l’adattamento non solo all’ambiente fisico, ma anche a quello sociale e relazionale. Una recente pubblicazione di Leahy (2016) ci guida a capire meglio il senso della gelosia da tale prospettiva. Agli albori della vita umana, la probabilità di morire per un uomo era molto alta, ma se i suoi geni sopravvivevano quell’uomo superava l’esame della fitness evolutiva, cioè il successo riproduttivo, perché questi venivano trasmessi alla generazione successiva. Gli elementi in gioco nella fitness evolutiva sono 2: la procreazione e la sopravvivenza della prole. Bisogna procreare e fare in modo che i figli sopravvivano. Questi due aspetti sono alla base della teoria dell’investimento parentale (Trivers, 1972). Secondo tale ipotesi siamo più propensi a sforzarci e a condividere le risorse e prenderci cura dei piccoli quando ne condividiamo il patrimonio genetico: con i nostri figli, con i familiari. La gelosia, in un’ottica così, acquista il significato di segnale di minaccia per questi due imperativi biologici: per un uomo segnala l’eventualità che la partner, avendo o potendo avere rapporti sessuali con un altro uomo, partorisca figli non suoi, rischiando così di non trasmettere i propri geni; per la donna, che comunque ha la certezza invece di trasmettere i propri geni alla prole, la gelosia segnala il rischio che il partner la abbandoni, riducendo le possibilità di ricevere aiuto nell’accudimento e quindi riducendo le possibilità di sopravvivenza della propria prole. Tale ipotesi è coerente con ricerche recenti che mostrano come gli uomini abbiano maggiori probabilità di provare gelosia per un’infedeltà sessuale, mentre le donne mostrano più gelosia quando percepiscono il rischio di un tradimento affettivo del partner con un’altra donna (Geary et al., 1995).

Un’ulteriore ipotesi di origine evoluzionistica, definita teoria della competizione per le risorse limitate, ci è utile per comprendere le forme di gelosia che non si esprimono all’interno della relazione amorosa, ma che possono manifestarsi in tutte le relazioni rievanti e in tutte le età della vita, da quella infantile a quelle adolescenziale e adulta. Questa ipotesi spiega la gelosia tra fratelli in età infantile: in un passato remoto della vita, sulla terra, ha senso pensare che vi potesse essere una sorta di competizione tra i piccoli per ottenere più cibo, cura e protezione da parte dei genitori, per garantirsi una maggiore probabilità di sopravvivenza. Il sentimento di gelosia segnala così il pericolo che maggiori dosi di attenzione, cura, cibo date all’altro invece che a sé riducano la probabilità di propria sopravvivenza.

L’argomento della limitatezza delle risorse in una società moderna, applicato al campo delle relazioni sociali e non più esclusivamente a quello della sopravvivenza fisica, aiuta a comprendere perché si provi gelosia anche in altre relazioni diverse da quella amorosa. Qui in gioco non è più il timore di perdere l’amore, ma il timore di perdere la stima, l’attenzione, la cura nei nostri confronti da parte di una persona speciale. Immaginiamo per un bambino piccolo quanto potente possa essere il timore di perdere l’attenzione affettuosa dell’amata maestra a causa di un nuovo compagno di classe che sembri ricevere più attenzioni, ma anche quanto profonda e dolorosa possa essere per un adolescente la paura di perdere l’unicità del rapporto con il miglior amico che appaia interessato a un nuovo amico, o ancora quanto essa possa esprimersi anche nell’ambiente di lavoro, con un nostro speciale rapporto con un collega, compromesso dall’arrivo di un nuovo collega. Insomma, gli esempi possono essere moltissimi e illustrano tutti che la gelosia non ha a che fare esclusivamente con la passione amorosa e sessuale, ma è presente in tutte le relazioni significative quando queste siano percepite in pericolo, minacciate dall’irrompere di una terza persona. 

Proprio perché la gelosia riguarda tutte le relazioni intime, è utile anche ricordare il contesto relativo alle dinamiche famigliari vissute nelle nuove “famiglie acquisite”. Viviamo sempre più in una realtà sociale che vede un rapido aumento del numero delle separazioni e spesso gli ex partner si trovano a ricostruire una coppia, hanno altri figli con il nuovo partner e ciò comporta nuove relazioni tra i figli, patrigni, matrigne. Spesso tutti gli attori in gioco in questi nuovi contesti possono provare gelosia.

 Tra normalità e patologia 

La gelosia, come tutte le espressioni della nostra vita emotiva, è quindi un sentimento normale, protettivo di una relazione a cui teniamo e che temiamo in pericolo. Essa è un sentimento appartenente alla fisiologia della nostra vita affettiva, che però può avviare processi psicopatologici fino a veri e propri disturbi psichiatrici. Peraltro sugli aspetti della psicopatologia caratterizzata dalla gelosia bisogna essere molto chiari. La condizione di normalità o meno della gelosia non è data dalla sua intensità: è sbagliato pensare che poca gelosia sia normale e che molta sia invece patologica. Né è sufficiente il criterio della veridicità dell’evento che la genera: se c’è oggettivo rischio di infedeltà, essa è normale, se rischio oggettivo non c’è, essa è patologica. Non è così: si può essere affetti da un delirio di gelosia ed essere realmente traditi.

I criteri jaspersiani per il delirio – quelli di certezza assoluta, di impermeabilità a qualunque ipotesi diversa e contraria alla propria incrollabile convinzione, e soprattutto di assenza di nesso logico nell’intuizione che porta al convincimento delirante – possono essere presenti e segnare quindi la presenza di un delirio paradossalmente malgrado esso sia in linea con la realtà. La gelosia, pertanto, non rappresenta una condizione che si muove lungo un continuum che dal fisiologico arriva al patologico, ma, proprio perché rappresenta un sentimento profondamente radicato all’immagine di sé, così intrisa di esclusività e di possesso, è uno di quei dispositivi antropologici che attivano la fragilità e la vulnerabilità di personalità con disturbi paranoidei, borderline, narcisisti o dipendenti, avviando processi psicopatologici anche gravi, dalle conseguenze a volte tragiche.

 Intimità e mentalizzazione 

Quello che vogliamo dire, in conclusione, è che le emozioni motivano comportamenti volti a perseguire scopi dotati di evidente valore evoluzionistico. La gelosia è quindi uno stato emotivo di cui non aver paura e di cui non dobbiamo vergognarci. Quando la si prova segnala l’importanza che ha per noi la relazione, quanto sia speciale la data persona e quale sia il pericolo che accusiamo per la crisi in atto. La nostra vita moderna non ha più l’imperativo biologico della sopravvivenza fisica e della riproduzione, e le emozioni non servono più allo scopo dell’adattamento in un ambiente pericoloso e inospitale. Molto più spesso i nostri problemi nascono all’interno della vita socio-relazionale. Le emozioni, come bussole con le quali ci muoviamo nel mondo, sono però le stesse del nostro antenato Homo Sapiens. Magari in alcune migliaia di anni le abbiamo un po’ raffinate, ma rimangono quelle delle origini, e a volte può dunque capitare che non capiamo bene cosa vogliono dire, a cosa servono e come usarle. In questa difficoltà di capire si vivono relazioni spesso in crisi. Giacché se il nostro partner è interessato a qualcun altro o è sensibile alle lusinghe di un’altra persona è perché c’è una crisi nella relazione che preesisteva alla comparsa della terza persona e che le ha permesso di entrare nei pensieri del nostro partner. La gelosia, avente come scopo la protezione della relazione, consente di raggiungere lo scopo se riusciamo a riflettere sulla relazione, sul momento che sta attraversando. Se ci domandiamo quanto secondo noi la relazione andava bene, quanto tempo le dedicavamo, quanto ce ne prendevamo cura, ma anche se riusciamo a guardarla dal punto di vista del partner, cioè decentrandoci, provando a capire quanto andasse bene per il partner, quanto i nostri e i suoi bisogni di intimità, sintonia, impegno, sui quali avevamo fondato il nostro desiderio di coppia, fossero rispettati e quanto lo fosse il bisogno di privacy e autonomia, e quanto i nostri progetti comuni fossero ancora vivi e vitali.

Frith (2012) sottolinea come tali capacità intellettive di mentalizzazione e metacognizione, appartenenti in modo esclusivo alla specie umana, siano fondamentali a regolare e a sintonizzare al meglio le relazioni interpersonali. Cambiare prospettiva, cioè capire che il pericolo non viene dalle terze persone, che non sono loro la causa dei fallimenti della relazione, vuol dire ribaltare il nesso di causalità e capire che il preludio di un tradimento è nella crisi della relazione, e non viceversa. La soluzione non sarà la certezza del mancato tradimento perché il terzo se n’è andato, ma il ritrovare l’intimità e una condivisione di scopi e sentimenti.

Carmelo La Mela, psichiatra, dirige il Centro di Cognitivismo Clinico di Firenze e Prato, e ha curato Fondamenti di terapia cognitiva (2014) e I protocolli clinici della terapia cognitivo-comportamentale (2016) per le edizioni Maddali e Bruni.

Elena Puliti è psicologa, psicoterapeuta e membro della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva. Lavora presso il Centro di Cognitivismo Clinico di Firenze.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Frith C. F. (2012), «The role of metacognition in human social interactions», Philosophical Transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological Sciences, 367 (1599), 2213-2223.

Geary D. C., Rumsey M., Bow-Thomas C. C., Hoard M. K.
(1995), «Sexual jealousy as a facultative trait: Evidence from the pattern of sex differences in adults from China and the United States», Ethology and Sociobiology, 16, 355-383.

Leahy R. L. (2016), La cura della gelosia. Riconoscerla e superarla per non rovinare le proprie relazioni (trad. it.), Erickson, Trento, 2019.

Trivers R. L. (1972), «Parental investment and sexual selection». In B. Campbell (Ed.), Sexual selection and the descent of man – 1871-1971, Aldine, Chicago, pp. 136-179.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui