Intervista a: Luciano Arcuri
di: Paola A. Sacchetti

La comunicazione sugli immigrati

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La percezione della minaccia legata ai flussi migratori in queste settimane sembra aver assunto maggiormente i colori delle bandiere degli Stati da cui arrivano gli immigrati. Abbiamo letto affermazioni contrastanti e dissonanti di alcuni rappresentanti politici sull’accoglienza della popolazione ucraina in fuga dalla guerra e su quella dei profughi siriani o provenienti dall’Africa. Quindi si tratta di colore delle bandiere (della pelle)? O del mezzo con cui giungono in Italia, barconi no, pullman e furgoni di fortuna sì? Si tratta di guerre riconosciute (da chi?) come più vere rispetto ad altre (e in base a cosa?) e di immigrati più meritevoli e bisognosi di altri?

Queste opinioni espresse dai vari leader politici ovviamente rispecchiano quelle di una parte della popolazione e inizia ad emergere la preoccupazione di una futura “guerra tra poveri”, del momento in cui, a causa delle difficoltà economiche, politiche e sociali in Italia, l’esasperazione del “noi” contro “loro” porti a un contrasto tra rifugiati di nazioni diverse e poi al rifiuto di tutti i rifugiati, anche di quelli che ora vengono considerati più “accettabili”.

Prof. Arcuri, quali sono le dinamiche psicologiche che si attivano quando un gruppo di maggioranza, il Paese ospitante, entra in contatto con i membri di un gruppo di minoranza, appunto gli immigrati?

Le più frequenti modalità con cui le dinamiche psicologiche si manifestano quando il gruppo di maggioranza entra in contatto con i membri del gruppo di minoranza sono individuabili nella comparsa di due fenomeni potenzialmente preoccupanti: il pregiudizio e la discriminazione.

  • Il pregiudizio è un atteggiamento dominato da tendenze sistematiche capaci di indirizzare i processi di pensiero in direzioni scorrette. Il risultato è il frequente ricorso all’uso di stereotipi per categorizzare i comportamenti o le caratteristiche delle persone descritte, in questo caso i membri del gruppo di minoranza.  Gli stereotipi non sono neutrali: implicitamente veicolano sistemi di valore, gerarchie di tipo etico, giudizi tendenziosi.  
  • Il secondo fenomeno è la discriminazione: si tratta di un comportamento basato sul trattamento ingiusto di determinati gruppi di persone. Talvolta la discriminazione non è solo offensiva, ma estremamente dannosa per i gruppi verso cui è diretta. Può diventare violenza fisica nei confronti di coloro che appartengono a gruppi di minoranza, e raggiungere il livello del genocidio.

Come si possono spiegare le affermazioni lette nelle ultime settimane che rimandano a tipi “diversi” di immigrazione, come se alcuni profughi meritassero accoglienza maggiormente rispetto ad altri?

Immaginiamo un gruppo coeso di persone che occupano posizioni ben collocate nello scenario sociale. Aggiungiamo a tale gruppo un altro insieme di persone e immaginiamo che questo sia un gruppo meno socialmente dotato e che condivida con il primo lo spazio fisico di vita e di lavoro. I dati sulle relazioni tra i due gruppi ci dicono che il gruppo minoritario si attiverà nelle situazioni di interazione per guadagnare posizioni nella gerarchia, mentre il gruppo maggioritario si impegnerà per mantenere alta la distanza sociale che lo separa dal gruppo di minoranza.

La logica seguita per diminuire o aumentare la differenza nel grado di valutazione tra i due gruppi potrà dipendere dal “conflitto realistico” che si manifesta quando il gruppo di maggioranza e quello di minoranza adottano dei comportamenti le cui cause sono ascrivibili a ragioni di tipo economico o politico.

I gruppi, sia di maggioranza sia di minoranza, possono adottare un comportamento che enfatizza “l’identità sociale” del proprio gruppo di appartenenza. Nel caso di un conflitto realistico, i due gruppi sono in competizione perché devono giustificare l’eventuale differenza di prestazione ricorrendo a un fattore oggettivo: come a dire, i due gruppi possono differenziarsi nelle prestazioni ottenute ricorrendo alle caratteristiche del conflitto che ha giustificato il confronto. Nel caso dell’identità sociale, invece, l’emergere della differenza tra i due gruppi è dovuta alla funzione che una buona prestazione ha sull’autostima dell’individuo.

Volendo tradurre questo paradigma in una condizione che si può testare, possiamo dire che un gruppo di minoranza alle prese con una condizione in cui può migliorare la propria posizione cercherà modi per giustificare la propria prestazione e utilizzerà tale strategia per acquisire identità sociale. Se una nazione conosce i problemi dell’immigrazione, i membri della maggioranza cercheranno di giustificare il proprio successo invocando una spiegazione basata sull’autostima, mentre i membri della minoranza troveranno modo di giustificare la propria scarsa prestazione invocando i principi del conflitto di tipo realistico. Come a dire: “Siamo un gruppo di maggioranza e abbiamo successo nei compiti che eseguiamo perché è naturale per noi comportarci bene”. Oppure: “Siamo un gruppo di minoranza e fatalmente non possiamo che usare gli strumenti che la società ci concede, e quindi arrenderci di fronte a un conflitto con un avversario troppo avvantaggiato”.

Riportandoci alla situazione vissuta dai due tipi di immigrati, possiamo individuare differenze che separano gli immigrati di vecchia tradizione provenienti dall’Africa e quelli recenti provenienti dagli stati ex-sovietici. Innanzitutto, i primi (gli africani) costituiscono una realtà con cui gli italiani (ossia la maggioranza) si sono confrontati da almeno 20 anni. Essi possono finire per rappresentare un elemento di concorrenza sul mercato del lavoro. Nei termini di immagine fisica, sono diversi per alcune significative caratteristiche del volto, della pelle, della postura, così come, talvolta, per gli abiti indossati. Per questo motivo, se è più vistosa la differenza tra persone che appartengono alla maggioranza o alla minoranza, questa si manifesta in maniera più evidente per gli immigrati africani che per gli ucraini. Per questi ultimi, aiuto, solidarietà, sostegno sono la risposta più naturale al momento attuale da parte degli italiani.   

Spesso la percezione degli immigrati è legata all’aumento della criminalità: quali aspetti psicologici influenzano tale percezione?

È opportuno ricordare che gli stranieri immigrati, appena arrivati nell’ambiente sociale che spesso è fatto di sospetti e aspettative preoccupate, elaborano giudizi, idee, sentimenti che globalmente attivano emozioni negative, e disgusto: tutto questo finisce per materializzare un atteggiamento di pregiudizio, come ho già ricordato nella risposta alla prima domanda. La percezione di minaccia che coinvolge il mondo delle idee e dei sentimenti, in alcuni casi, interessa anche l’aspetto fisico dello straniero arrivato. Questo spesso viene sospettato di essere portatore di elementi patogeni, di pericoli per la salute.

Ma il fenomeno più evidente riguarda le stime che gli abitanti di una zona di immigrazione emettono a proposito del numero di immigrati arrivati. Una tendenza sistematica che si riscontra è la sovrastima della frequenza degli immigrati. Tale indicatore è tanto più elevato quanto più gli individui sono caratterizzati da elementi inusuali e quanto più la persona che stima la numerosità possiede un atteggiamento negativo nei confronti dello straniero.

Quanto peso hanno le notizie riportate sui giornali e sui media sulla creazione e sul mantenimento di queste percezioni? Nel suo volume Due pesi due misure afferma che i media possono veicolare stereotipi e giustificare pregiudizi; ci può spiegare come?

Il mondo dell’immigrazione è fatalmente al centro di interesse, soprattutto quando il fenomeno assume vaste dimensioni. Le scarse informazioni direttamente accessibili ai cittadini determinano uno squilibrio nella gestione delle conoscenze, per cui gli organi mediatici nelle varie articolazioni dei canali utilizzati (televisione, stampa, sistema web), così come le organizzazioni politiche nazionali che si ispirano a scelte ideologiche molto differenziate godono il vantaggio di potersi rivolgere a cittadini poco informati a proposito delle presunta o reale presenza di immigrati sul territorio nazionale, confezionando alcune volte in maniera tendenziosa le loro comunicazioni.

Il modo più efficace per influire sugli atteggiamenti dei fruitori della comunicazione consiste nel ricorrere alle euristiche, ossia a strategie di giudizio che fanno leva sui più disponibili processi di pensiero. Solo per fare un esempio, ritornando alla situazione descritta nella risposta alla domanda precedente: la sicurezza e velocità con cui un lettore effettua una stima della numerosità degli immigrati dipende dalla facilità con cui esemplari di immigrati vengono recuperati dalla memoria dell’intervistato. In altre parole, quante più notizie, filmati, commenti, proporrete ai fruitori dell’informazione tanto maggiore sarà la sovrastima degli immigrati di cui avete parlato. E ovviamente questo giudizio tendenzioso è il primo passo in direzione di un pregiudizio nei confronti del gruppo degli immigrati (“Se ce ne sono tanti sono pericolosi”).

 

Luciano Arcuri è Professore emerito di Psicologia sociale nell’Università di Padova. I suoi ambiti di ricerca riguardano la cognizione sociale, le basi psicologiche del pregiudizio e lo studio sperimentale dei processi impliciti nel giudizio sociale. Autore di numerosi volumi e articoli, sull’argomento ha pubblicato Due pesi due misure. Come gli immigrati e gli italiani sono descritti dai media (Giunti, 2015).

Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.