Silvia Vegetti Finzi

Imparare a litigare bene

A qualunque età, i conflitti non devono essere considerati per forza indici di una qualche disfunzionalità. Gestiti bene, infatti, possono contribuire a instaurare equilibri mancanti e rapporti più corretti e leali.

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Arturo, 9 anni, è certamente un bambino buono, troppo buono. Da quando è nato, mai un capriccio, un litigio con i compagni, un gesto sgarbato, un tono di voce alterato. D’altra parte, come potrebbe? Nella sua famiglia regna un’inalterabile armonia, i nonni sono sensibili e premurosi, la villetta in cui vivono è confortevole e ordinata. E a scuola non ci sono problemi: pochi alunni, insegnanti preparati, silenzio conventuale, ottimi risultati. Ma allora, cosa c’è che non va? Che giorni fa Arturo, dopo aver subito un dispetto da un compagno che, senza chiederglielo, gli aveva preso le matite colorate, gli è saltato addosso graffiandogli il volto con la punta della squadra sino a farlo sanguinare. Solo dopo essere stato sgridato e punito, ormai infranta l’immagine ideale che gli era stata attribuita, il ragazzino ha avuto il coraggio di confessare il suo disagio.

È emerso così che, nonostante l’apparente “calma piatta”, la classe è attraversata da ostilità e conflitti che si sono coagulati, non a caso, sul più mite. Sino al momento in cui la classica goccia non ha fatto traboccare il vaso, con le conseguenze che si sono dette. Un tempo, l’interesse degli insegnanti si sarebbe concentrato sulla condotta del bambino e quello degli psicologi sull’interpretazione del sintomo. Ma ora siamo in grado di ampliare il discorso e di considerare anche l’ambiente. (CONTINUA SULLA RIVISTA...)

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 260 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui