Intervista a: Giuseppe Pino Maiolo
di: Paola A. Sacchetti

Il “revenge porn”: una violenza mascherata e distruttiva

Revenge_porn_Intervista_converted.png

Nei giorni del Safer Internet Day, la giornata mondiale per la sicurezza in rete, e delle attività proposte all’interno del “Mese della sicurezza in rete”, promossa dal Ministero dell’Istruzione e da Generazioni connesse per far riflettere ragazzi e ragazze sull’uso consapevole di Internet, ci tornano in mente i recenti episodi di revenge porn. L’ultimo in ordine temporale riguarda il caso della giovanissima arbitra Diana Di Meo, che ha avuto il coraggio di denunciare e “metterci la faccia”, riportando all’attenzione un fenomeno odioso e lesivo della dignità della persona.

Si tratta di una forma di violenza, una “vendetta” pornografica, in cui la diffusione online di immagini o video sessualmente espliciti avviene senza il consenso della persona ritratta con la volontà di umiliarla e danneggiarla, e che la giustizia italiana ora punisce penalmente con la Legge 19 luglio 2019 n. 69 nota come "Codice Rosso”. Spesso sono gli ex fidanzati a divulgare queste immagini per “punire” la ex di aver interrotto la relazione, ma non solo: persone che minacciano la diffusione di contenuti intimi per estorcere denaro, come è accaduto alla cantante americana Tiwa Savage, hacker che violano i cloud per “divertimento” o “sfida” e ne divulgano i contenuti, come è successo a Diana Di Meo.

Qualunque siano le motivazioni che portino a diffondere immagini o video privati altrui, gli effetti emotivi e psicologici sulla vittima di revenge porn possono essere devastanti.
Alcuni studi (per esempio, Bates, 2016 [LINK]) rilevano che si sviluppino sintomi di Disturbo da Stress Post Traumatico, simili a quelli di chi subisce uno stupro.

Prof. Maiolo, ci può spiegare cosa sperimenta e come vive una persona che subisce revenge porn?

Il reveng porn, da un punto di vista psicologico, è sempre un’esperienza devastante e non solo quando è la conclusione violenta di una relazione affettiva negativa, che caratterizza il finale come vendetta pornografica. Molte delle vittime, che sono donne, affermano di aver vissuto una violenza sessuale, dove la sensazione prevalente è quella del sentimento di invasione e di violazione della propria dimensione intima. Si parla in effetti di cyber-stupro o di abuso tecnologico, ossia di esposizione pubblica non voluta del proprio corpo nudo o della propria immagine in atti sessuali. La vittima coinvolta a sua insaputa prova sempre un profondo sentimento di vergogna e di colpa, al quale si aggiunge la svalutazione data dal giudizio altrui, perché esposta a qualsiasi tipologia di commento. Gli studi indicano numerose e gravi conseguenze che interessano soprattutto la sfera intima, relazionale e affettiva, come pure quella sociale e lavorativa. A livello individuale l’esperienza ha i contorni di un attacco violento all’identità e all’integrità personale che produce una caduta verticale della fiducia negli altri e, più ancora, nell’esistenza. Questi vissuti sono talmente forti che producono un’ansia estesa e ricorrente e una risposta depressiva che spesso alimenta pensieri e tentativi di suicidio.

Per denunciare sono necessari un grande coraggio e una forte rete di sostegno. Tuttavia potrebbero non bastare. Che cosa dovrebbero fare la vittima e le persone che le sono accanto?

Non vi è alcun dubbio che la denuncia di ogni azione di violenza subita richieda sempre uno sforzo incredibile in quanto la vittima di reveng porn vive soprattutto la perdita della propria autostima e sperimenta una spaventosa dimensione di solitudine. Di solito viene sommersa da profondi sentimenti di colpa alimentati anche da quel diffuso pregiudizio sociale che, collegato al “mito dello stupro”, viene sintetizzata dalla frase “Se l’è cercata”. Così, spesso, neanche il più grande coraggio serve a contenere più di tanto l’angoscia e la disperazione. Di seguito si sviluppa con frequenza la vittimizzazione secondaria (quando i pregiudizi sociali e culturali e la mancata attenzione e sensibilità da parte di istituzioni, media e società in senso ampio portano la vittima a rivivere la violenza e subire nuovi traumi), che la conduce al ritiro e all’isolamento sociale. La sensazione di aver perso il controllo della propria vita privata e la riduzione della sicurezza sono di solito associati a una quantità di disturbi emozionali e psicosomatici che sono espressione del Disturbo Post Traumatico da Stress. Tutto questo insieme di elementi richiede più di tutto un urgente intervento specialistico di psicoterapia e il sostegno di una consistente rete di supporto relazionale e affettiva.

Nell’era di internet e del sexting, il rischio di finire nella rete del revenge porn è molto alto, soprattutto tra i più giovani. Quali consigli possiamo dare?

La vita relazionale dei ragazzi, oggi, è in gran parte mediata dai social network e sempre più strutturata sulla condivisione massiccia di immagini personali e video intimi, che possono essere diffusi o “rubati” senza il loro consenso. I minori in effetti sono i soggetti più vulnerabili e più esposti al pericolo del sexting e della sextortion che in genere preludono al reveng porn. Nel primo caso, con il sexting condividono volontariamente proprie immagini a contenuto sessuale con il partner, che dovrebbero rimanere private, ma che, purtroppo, molto spesso vengono invece mostrate agli amici o condivise sulle chat di gruppo; nel secondo caso, chi si appropria di immagini intime o gira video di nascosto, usa tali immagini per estorcere qualcosa alla vittima o ottenere qualcosa in cambio.

Quindi, oltre all’importanza di scoraggiare l’invio di materiale e dati personali agli sconosciuti ma anche agli amici, io credo che i minori abbiano urgente bisogno di una corretta educazione all’utilizzo dei dispositivi digitali. Educazione che deve partire dall’esempio e dalle buone pratiche degli adulti, i quali, per primi, usano postare foto e riprese dei propri figli senza preoccuparsi dei pericoli che questo comporta. Serve formare gli adulti di riferimento e insistere con loro sulla prevenzione precoce del cyberbullismo a partire dall’educazione alla digitalità sia dei minori che degli adulti, che potrebbe aiutare a contenere i comportamenti offensivi in rete.

Dai dati dell’Osservatorio indifesa del 2019 [LINK], la paura del revenge porn ha superato quella di venire avvicinati da malintenzionati. La prescrizione di non farsi foto o non girare video in posizioni sessualmente esplicite non è sufficiente: sono molte le ragazze che le inviano ai propri partner sull’onda del sentimento provato o fiduciose dell’importanza della relazione e serietà del compagno/a. Come possiamo aiutare le ragazze a tutelarsi?

Non è facile enumerare i motivi che spingono le ragazze a inviare foto intime ai propri partner. È complesso tanto quanto il tentativo di spiegare le ragioni per cui i giovani, maschi e femmine, in questa nostra epoca digitale vengono attratti dalla pratica del sexting. Si può semplificare dicendo che secondo alcuni studi, le femmine sono più spinte a usare l’invio di materiale fotografico e testo sessualmente esplicito per affermazione personale, che serve ad aumentare la propria sicurezza e a sentirsi libere di vivere in autonomia la sessualità. Ci può anche essere il piacere di sentirsi desiderate dal partner che, di solito, ne chiede l’invio. Soddisfare la sua richiesta serve anche per impedire che l’altro perda interesse nei propri confronti. Di certo ci sta anche la fiducia nella relazione e nel compagno, ma credo che in molti casi sia l’onda emotiva che fatica a essere gestita dai giovani. Accade, a mio avviso, perché è carente l’educazione alle emozioni e alla loro gestione e, in ambito sessuale, prevale la competenza cognitiva. Nell’accondiscendere a queste richieste, sembra essere maggiore la paura di non essere desiderate e di venire abbandonate.

Il revenge porn balza agli occhi quando si leggono notizie “eclatanti”, come spesso accade quando esita in suicidi che rimbalzano sulle prime pagine dei giornali. Tuttavia, il fenomeno si sviluppa in modi silenti, subdoli, “visibili” spesso solo alle vittime e al suo gruppo di “amici”. Che cosa si può fare? Sensibilizzare gli adolescenti sull’argomento, parlandone a casa e affrontandolo anche in classe, può rendere i ragazzi consapevoli del rischio che possono correre e contribuire a evitare di trovarsi in una situazione difficile come questa?

L’importanza della consapevolezza dei rischi è fuor di dubbio e va sviluppata con azioni diverse che famiglia e scuola devono attivare. Il problema è come promuovere autoconsapevolezza. Non credo basti solamente il parlarne perché è insufficiente la semplice descrizione del pericolo che di solito fa scaturire unicamente misure proibizioniste e divieti. Credo sia necessaria un’educazione alla sessualità adeguata ai tempi in cui viviamo. Il sexting non è solo una pratica ad alto rischio e un possibile preludio della vendetta pornografica, ma è anche un modo di vivere l’intimità sessuale in forma diversa da un tempo. Contiene, se vogliamo, la ricerca di attenzione da parte del partner e cerca di esprimere una certa capacità seduttiva. Per i nostri adolescenti, che vivono relazioni distanti in cui il corpo è mancante, può essere un modo per avvicinarsi alla sessualità con minore ansia. In altre parole, la pratica sexting potrebbe essere considerata come una delle traiettorie possibili dello sviluppo sessuale e relazionale da non criminalizzare. Di certo è necessario che gli adulti di riferimento siano in grado, da un punto di vista educativo, di accompagnare i giovani nel processo di individuazione perché è l’educare che fa emergere gli strumenti necessari per crescere, realizzare se stessi e organizzare le risorse necessarie per proteggersi e contenere i rischi.

 

Giuseppe Pino Maiolo, psicologo e psicoanalista, è Professore incaricato di Psicologia delle età della vita e Psicologia dello sviluppo all’Università degli studi di Trento e cofondatore di “Officina del Benessere” a Desenzano. Come giornalista si occupa di divulgazione scientifica per diverse testate, e come specialista lavora da anni nel campo del disagio infantile e giovanile e della promozione del benessere. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Mio figlio tra bullismo e cyberbullismo. Vittima, bullo o complice? (Giunti Edu, 2019).

Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.