Loredana Cirillo

Il narcisismo e l’iper-idealità nel corso della crescita

Oggi, a cominciare dall’adolescenza, si punta molto sull’esaltazione del singolo, spesso a discapito però delle sue più profonde esigenze relazionali.

il-narcisimo-e-l'iper.jpg

La cultura educativa più diffusa oggi prevede che ai bambini sia concesso molto, pur di non interferire con la realizzazione del loro Sé nascente. Il contesto narcisistico contemporaneo punta molto sull’impreziosimento dell’individuo a tutti i livelli, ma spesso perde di vista la natura dei bisogni affettivi ed evolutivi fondamentali, più autentici e specifici, della fase di crescita che il soggetto sta attraversando. L’aspettativa di realizzazione e la condivisione di ideali di altissimo livello rappresentano il patto famigliare oggi esistente tra genitori e figli, impegnati a costruire un modello relazionale ed educativo basato sull’iper-idealità. Il bisogno di sentirsi adeguati e all’altezza del compito genitoriale e di ritrovare nei successi del figlio le prove della propria competenza definisce il regno dell’iper-idealità, in cui ogni azione e comportamento equivalgono a una prestazione e, in quanto tali, sono sempre giudicabili.

LA SPETTACOLARIZZAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA

La cornice entro cui avviene la stipula di questo imponente contratto è di natura prettamente affettiva; è l’amore a orientare verso il successo, a spingere verso la conquista della felicità e della realizzazione. Si tratta di un amore speciale e intenso, di marca prettamente narcisistica. I nuovi bambini vengono dunque al mondo e crescono in un contesto emotivo intriso di buoni propositi, con il mandato preciso non tanto di realizzare un sogno predefinito dai genitori, come accadeva in passato, quanto di essere felici e di “funzionare bene”. I figli e la loro realizzazione appaiono funzionali a soddisfare un bisogno di specularità e gemellarità, oltre che di conforto e convalida rispetto al proprio valore come genitore. La realizzazione o il fallimento dei figli diventa testimonianza della buona o cattiva riuscita del proprio progetto, prova della propria competenza materna e paterna. Dall’altro lato, la paura di sbagliare e di deludere i propri genitori diventa fedele compagna dei nuovi bambini fin dalla più tenera età, alla ricerca di successo e conferme in ogni ambito dell’esperienza, dalla scuola allo sport ecc.

Sempre più spesso la domanda clinica rivolta ai terapeuti dell’infanzia viene mossa dalla percezione di “problemi di autostima” riscontrati nei bambini già a partire dall’età prescolare. Fatica a tollerare gli insuccessi, così come i limiti imposti dagli adulti, e senso di inadeguatezza rappresentano le domande d’aiuto rivolte con più frequenza allo spazio psicologico. In adolescenza, nel momento in cui il processo di soggettivazione impone la ricerca delle proprie verità affettive e la ridefinizione di sé, il rischio di non sentirsi in grado di corrispondere alle attese dell’iper-idealità diventa ancora più pressante.

Le nuove generazioni nascono e crescono in un contesto non solo narcisistico, ma in cui la spettacolarizzazione di ogni accadimento della propria vita – anche il più intimo e privato – è ormai diventata la normalità. Le immagini della quotidianità vengono diffuse universalmente attraverso il web e i social network come raffigurazioni infinitamente riproducibili e frui­bili.

Il fatto che gli spazi di autonomia e dei comportamenti siano sempre più precoci è un altro importante organizzatore psichico della contemporaneità. I bambini sono spinti sempre più precocemente, appunto, alla conquista dell’autonomia dalla nuova famiglia, che è diventata grande promotrice di socializzazione e delle più disparate attività messe a disposizione per sostenere la crescita e la realizzazione. Anche l’abbigliamento non conosce oggi troppe differenze tra le linee per bambini e quelle per adulti. Come testimoniato dalle numerose campagne pubblicitarie di moda per l’infanzia – le cosiddette linee “mini-me” –, la gemellarità tra genitori e figli sembra divenuta un valore, evidenziando non solo l’investimento narcisistico che connota le relazioni all’interno della famiglia affettiva, ma anche la fatica di rappresentare l’altro, soprattutto il proprio figlio, come diverso da sé, portatore di bisogni specifici e non funzionali al proprio progetto narcisistico. La mancanza di corrispondenza tra le proprie aspettative e la realtà risulta quindi spesso alla base delle sofferenze e dei tormenti a partire dall’infanzia.

Questo scarto conta ancor di più in adolescenza, e proprio i ragazzi faticano a esprimere in modo chiaro ed esplicito il loro dolore, tanto intenso quanto impresentabile, poiché viene rappresentato come prova della propria indegnità e del fallimento soprattutto nei confronti dei loro genitori. Gli adolescenti spesso mostrano una tendenza a nascondere il dolore e la fragilità, travestendoli con agiti apparentemente trasgressivi, con l’apatia e la demotivazione e con il ritiro, per proteggersi dal contatto con vissuti intollerabili sia per loro che per il contesto di riferimento.

GRANDIOSITÀ E IMPOTENZA

Il narcisismo risulta dunque l’organizzatore psichico centrale della nuova famiglia. Il contributo sociale più allargato è altrettanto centrale nella costituzione dell’assetto narcisistico individuale. La cultura dell’immagine in cui domina l’estetica a discapito dell’etica e una nuova declinazione del concetto di intimità che prevede la sovraesposizione di qualsiasi area della propria vita privata attraverso il web e i social network sono solo alcuni degli ingredienti che contribuiscono alla costruzione del campo narcisistico in cui viviamo. La sovraesposizione che viene agita attraverso i canali di comunicazione online e che usa come strumento principale il corpo rappresenta un’interessante vetrina alla ricerca di sguardi di apprezzamento che impreziosiscono il valore personale.

Il selfie può rappresentare la fragilità dell’autostima ed esprimere la paura di non essere visti, di non essere presenti nella mente dell’altro. La sovraesposizione e la diffusione della propria immagine all’interno dei social network possono scongiurare questo rischio, nella speranza di conquistare popolarità e successo. Per gli adolescenti, tuttavia, la pratica del selfie assume spesso la funzione di laboratorio della propria immagine corporea, in cui si tenta di studiare il proprio corpo, l’effetto che si può fare sugli altri, svolgendo una funzione di supporto al processo di mentalizzazione del nuovo corpo adolescenziale e di costruzione dell’identità.

Grandiosità e impotenza, visibilità e invisibilità rappresentano i due poli della dialettica ambivalente che affanna la mente e l’autostima delle nuove generazioni e non solo. La fragilità narcisistica caratterizza il funzionamento degli adolescenti contemporanei e li espone a una fortissima sensibilità al sentimento della vergogna, a vissuti di inadeguatezza e insoddisfazione, ma anche alla fatica di scendere a patti con il desiderio di grandiosità e di successo.

Lo scacco narcisistico ha come principale canale di espressione la vergogna, affetto che nasce dalla mortificazione che colpisce il Sé e più complessivamente pervade l’identità del soggetto. Alla base della sofferenza psicologica più diffusa oggi, si troverebbe proprio l’incapacità o l’impossibilità di costruire e mantenere una solida autostima connessa a esperienze dolorose di vergogna. La fatica o il blocco nella realizzazione dei compiti evolutivi fase-specifici (separazione-individuazione, nascita sociale, mentalizzazione del corpo, costruzione di valori e ideali) si accompagna in particolare allo scarto tra il Sé ideale e il Sé reale. La mancanza di corrispondenza tra le proprie aspettative e la realtà (sociale, scolastica, famigliare) rappresenta il principale conflitto dell’adolescenza. La paura di non corrispondere ai canoni di bellezza prevalenti e di essere invisibili per gli altri, l’insuccesso amoroso, sociale o scolastico, la convinzione circa la propria impresentabilità sociale possono così costituire delle ferite narcisistiche intollerabili, capaci di dare avvio a forme di disagio psicologico anche molto severe, come i disturbi alimentari, le condotte antisociali, il ritiro sociale o i tentativi di suicidio.

IL SELFIE

Il comportamento oggi più diffuso per dar voce al bisogno di valorizzazione e di rispecchiamento è sicuramente il selfie che si affaccia dai profili social. Tramite questa moderna forma di autoritratto spesso si cerca di soddisfare un bisogno di visibilità sociale in cui il Sé viene collocato al centro della scena. Le foto postate su Instagram, per esempio, diventano occasioni straordinarie per ricercare successo, per parlare della propria quotidianità e della propria storia personale. Questi atteggiamenti amplificano un mondo percepito come ristretto e incapace di donare lo spazio ritenuto più adeguato alla propria celebrazione ed esaudiscono il bisogno di appartenenza a una comunità più ampia.

L’ALTRO MINACCIA LA MIA ESPRESSIONE?

Anche nel giovane adulto, il Sé resta in primo piano, sovente a discapito della reciprocità, della condivisione, della capacità di mediare per il bene comune. L’assetto narcisistico rende faticoso gestire la dipendenza dall’altro e dalle sue esigenze, vissute come potenzialmente minacciose per la libera espressione del Sé. I legami affettivi con i nuovi oggetti d’amore sono prepotentemente abitati dall’ambivalenza e di frequente si riscontrano importanti problematiche separative. La separazione viene vissuta come perdita di aspetti di sé e rinuncia all’onnipotenza, e non come possibilità di crescita mediante la trasformazione dei legami, della propria immagine, delle proprie aspettative.

Da un punto di vista evolutivo, i compiti di sviluppo del giovane adulto sono la costruzione del ruolo sociale e la definizione dell’identità sessuale. In questo periodo l’innamoramento assume caratteristiche innovative, inattese, e talvolta si accompagna a profondi turbamenti legati a sentimenti e affetti fino a quel momento poco esplorati. Anche la coppia amorosa resta ancorata a un’ottica prevalentemente narcisistica di rispecchiamento e di sostegno al Sé, difficilmente orientata alla progettualità.

La crisi del giovane adulto, in questa fase, è spesso rappresentata dalla difficoltà di accogliere nel processo decisionale la condizione di rinuncia, di perdita, ma anche dall’impossibilità che esista una scelta davvero adeguata a rispondere alle aspettative grandiose. Questa dinamica può essere ben evidenziata nella crisi collegata alla scelta universitaria, nella difficoltà di mettere a fuoco un orizzonte in cui pensare la realizzazione di sé, nell’assenza di vocazione da cui partire per organizzare il proprio futuro. I giovani adulti in difficoltà nell’affrontare tale compito sviluppano una sofferenza che difficilmente riuscirà a consentire agli altri compiti evolutivi di essere affrontati.

L’adattamento alle richieste sociali e la capacità di tollerare la frustrazione delle proprie fantasie onnipotenti sono gli aspetti più rilevanti della fragilità narcisistica alla base delle difficoltà psicologiche dei giovani adulti contemporanei. Un sentimento prepotente di vergogna può condurre al ritiro sociale, alla dimissione da tutti i contesti sociali e relazionali in cui il corpo e il ruolo sociale nascente potrebbero mostrarsi e rischiare di fallire miseramente. Spesso tale condizione di ritiro si ricontratta con la fine dell’adolescenza, e i ragazzi riescono a riavviare il percorso di crescita, a ristabilire una relazione con il mondo esterno. Quando la condizione di ritiro si protrae oltre l’adolescenza, o ha il suo esordio proprio nell’età del giovane adulto, le cose si complicano. L’assetto narcisistico alla base del ritiro sociale in questa fase del ciclo di vita risulta molto più rigido e potente, la pressione a costruire il proprio futuro è molto più consistente perché si accorciano i tempi, la propria definizione professionale ha un’incombenza più ravvicinata nel tempo.

Fallire nel progetto di realizzazione sociale, non riu­scire a trovare una strada da intraprendere che soddisfi e corrisponda alle aspettative ideali sono le condizioni alla base del blocco che porta il giovane adulto a scegliere la strada del ritiro sociale. Il blocco nel completamento del percorso di studi sempre più spesso rappresenta la domanda con cui arrivano i giovani alle prese con l’ultimo anno delle superiori o con la fine del percorso di studi universitario. Lo scontro tra le attese ideali e la realtà può risultare molto deludente e doloroso. La condizione di ricovero protetto come quella del ritiro, in cui tutto si ferma, anestetizza i pensieri sul futuro perché essi risultano troppo dolorosi. La condizione di ritiro appare in molti casi un’auto-cura, una protezione dal rischio suicidario che può apparire come via di fuga da un mondo che non ci si sente pronti ad affrontare perché non ci sente preparati e adatti.

I confini tra il narcisismo fisiologico e patologico nel contesto della contemporaneità appaiono dunque sfumati. L’iper-idealità è connessa con la ricerca di successo e riconoscimento in ogni ambito e contesto, così come con il dolore che viene esperito più di frequente nelle varie età della vita. La negazione del dolore porta ad aggravare le forme in cui esso cerca e trova espressione. Questa difesa proviene dalla necessità di abbellire l’esistenza, di scongiurare il rischio di sperimentare vissuti di inadeguatezza che in realtà abitano la mente degli individui in maniera pervasiva, tanto da guidare gran parte dei comportamenti e delle scelte anche educative.

Loredana Cirillo, psicologa e psicoterapeuta, è socia dell’Istituto Minotauro e docente del master in Psicologia dei nuovi media e della scuola di specializzazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto presso lo stesso istituto.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Lancini M., Cirillo L., Scodeggio T., Zanella T. (2020), L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui