Luciana d'Ambrosio Marri

Il lato oscuro della gelosia sul lavoro

Le nuove forme lavorative dei nostri tempi lasciano spazio a dinamiche di gelosia di diverso tipo: è importante conoscerle per imparare a gestirle.

Il-lato-oscuro-della-gelosia-sul-lavoro.jpg

Oggi nel mondo l’idea tradizionale del lavoro è messa in discussione. Viviamo in un’epoca di forti ambivalenze tra pressioni individualistiche e spinta alla condivisione: da un passato centrato sul lavoro come arte tra casa e bottega, abbiamo vissuto il passaggio alla società industriale, basata su paradigmi del lavoro meccanizzato, sfruttato e organizzato. Siamo poi arrivati a una società post-industriale tra contraddizioni, conflitti e miglioramenti della qualità del lavoro; giungiamo al XXI secolo con una globalizzazione forsennata e poco governata che – sposandosi con digitalizzazione e nuove forme del lavoro – sta producendo delle vere e proprie metamorfosi ovunque, anche nei comportamenti. 

Ma attenzione: se guardiamo il gioco dei fenomeni di tendenza tra loro e con la vita delle persone nelle organizzazioni di lavoro che cambiano, ecco emergere che la vita emotiva delle stesse persone è influenzata da questi processi di cambiamento e a propria volta li influenza, in quello sviluppo affascinante e dinamico che è l’interazione tra sistemi complessi e aperti.  (CONTINUA...)

I sistemi d’impresa sono comunità umane: miscele di razionalità, sentimenti, emozioni. Nelle relazioni interpersonali-professionali e nelle prese di decisione, quindi, l’elemento umano ma irrazionale spesso diventa il sotteso motore che domina tanti comportamenti, al di là delle motivazioni organizzative e delle analisi razionali. In questa dinamica tra ragione e sentimento anche nell’ambiente di lavoro, sentimenti e motivazioni emotive di segno positivo – come senso di appartenenza, piacere e senso della collaborazione – si confrontano e/o si scontrano con sentimenti e motivazioni di segno negativo di varia natura, tra cui la gelosia.

GELOSIA E INVIDIA

Può essere opportuno richiamare la differenza tra invidia e gelosia, due sentimenti che spesso nel quotidiano del pensare e dell’agire possono essere considerati simili.

La gelosia è il voler tenere per sé qualcuno o qualcosa che si ritiene essere di personale proprietà, non volervi rinunciare: non si accetta di lasciarli andare o di “cederli”, secondo la logica del possesso. Da qui deriva il testardo quando non ossessivo accanimento a trattenere ciò che già si possiede (basti pensare alla cultura basata sul non-
rispetto della libertà della donna, che è spesso alla base dei femminicidi). L’invidia è quel sentimento intriso di acredine, astio e rancore verso chi ha qualcosa, un bene o una qualità, che si vorrebbe avere ma che invece non si ha: si arriva a non sopportare che un’altra persona abbia, per esempio, maggiori o diverse capacità rispetto alle proprie.

In sintesi, se chi è invidioso ritiene che gli manchi qualcosa, il geloso è legato al timore di perdere qualcosa che ha o pensa di possedere. Spesso questi due sentimenti vanno però a braccetto: anzi, secondo Klein (1957) l’invidia è un precursore della gelosia e lo sviluppo della gelosia è influenzato da precedenti esperienze di invidia. 

Conflitti.png

GELOSIA DELLA CONOSCENZA

Affrontiamo ora la gelosia sul lavoro, per scoprire come riconoscerla e come prevenirla o gestirla non solo in termini di sistema organizzativo, ma soprattutto dal punto di vista soggettivo.

Secondo Han, filosofo sudcoreano, nella società del XXI secolo «la positività del poter-fare è molto più efficace della negatività del dovere. Così, l’inconscio sociale passa dal dovere al poter-fare. Il soggetto di prestazio­ne è più veloce e più produttivo del soggetto d’obbedienza» (Han, 2010). Ecco, dunque, la stanchezza e i suoi pericoli derivanti dal non sentirsi più in grado di fare qualcosa, sentirsi in colpa per questo e quindi cadere in prospettive e comportamenti autodistruttivi. Viviamo in una società della prestazione dove, per Han, è sempre più diffusa la depressione: la malattia di una società che soffre dell’eccesso di positività, e dove la libertà è una libertà costrittiva mirata a massimizzare la prestazione. 

In questo scenario, la gelosia sul lavoro può scatenarsi in modo più diffuso di quanto possa sembrare. Ormai è prassi lavorare in team su progetti che necessitano di competenze tecniche specifiche di specialisti che sappiano però interagire in modo fluido e funzionale e tra i quali i confini di azione possono essere labili. In questa situazione può scattare la gelosia della conoscenza: un soggetto può sentirsi geloso del proprio sapere e temere di perdere il proprio potere derivatogli dal “possesso di conoscenza” rispetto a un collega attiguo in termini disciplinari, con cui deve scambiare saperi per il raggiungimento dell’obiettivo del team.

Fa, d’altronde, riflettere come il fenomeno delle Comunità di Pratica (CdP) si muova in controtendenza rispetto al fenomeno della gelosia della conoscenza, anzi potrebbe esserne un antidoto. Infatti, in molte realtà aziendali, sono nate le CdP, una sorta di tribù di esperti in un determinato campo tecnico-specialistico che scelgono di scambiarsi le conoscenze e di condividerle al fine di favorire un apprendimento diffuso dettato sia dalla ricerca di conoscenze e/o di soluzioni sempre più affinate, nuove, sia dal piacere del dono, dello scambio e dell’appartenenza a una community che va oltre i limiti di manuali, gerarchia, risorse individuali. 

GELOSIA DELLA LEADERSHIP

Altro caso è la gelosia della leadership in strutture organizzative articolate a matrice dove le persone hanno spesso due capi: uno gerarchico e stabile e uno funzionale e temporaneo. Qui può manifestarsi gelosia tra i due capi, ognuno dei quali vorrebbe sentirsi riconosciuto dai rispettivi collaboratori, diretti per uno e indiretti per l’altro, un maggiore potere di influenza e di decisione, e di essere un riferimento che, al di là delle procedure formali, è in realtà un potere da negoziare e costruire ogni giorno, di cui non si vive di rendita perché non è mai dato una volta per tutte. Presi da questa gelosia si ha paura di delegare compiti e responsabilità, si teme di non essere più percepiti come capi autorevoli o competenti, o di perdere proprio il ruolo e il potere organizzativo. Le forme della leadership, con la loro forza positiva o distruttrice, sono di varia natura e anche da queste deriva la salute o il malessere nelle organizzazioni di lavoro. Ebbene, quando la leadership assume una forma distorta e distruttrice, le risorse umane si trasformano in risorse disumane (Castiello d’Antonio e d’Ambrosio Marri, 2017), in soggetti mutanti che inquinano le organizzazioni e distruggono collaboratori, colleghi, gruppi. Costoro interpretano e gestiscono il ruolo di potere ricoperto, a seconda della patologia che li caratterizza, con modalità che riducono l’innovazione, la visione, il clima di fiducia, il coraggio e la serenità di base dei singoli che vorrebbero svolgere il proprio dovere magari anche con il piacere di lavorare. 

GELOSIA DELLO SPAZIO

Sul lavoro può anche accendersi la gelosia dello spazio. Siamo nell’era della condivisione, grazie a Internet e ai social network:
«Lavorare attraverso piattaforme digitali, non avere più bisogno della scrivania, eliminare la postazione fissa e la propria presenza stabile e oraria in ufficio superata dal lavoro da remoto, altrove e ovunque, produce sicuramente nuovi modi di lavorare e di intendere il lavoro, soprattutto il suo senso» (d’Ambrosio Marri, 2018). Il workplace si trasforma e nascono differenti impostazioni e connessioni emotive dei rapporti professionali. Il lavoro agile, lo smart working, può certo innescare circoli virtuosi per impresa e dipendenti.

D’altro canto, se sparisce la scrivania, spazio fisico ma anche simbolo del proprio territorio sul posto di lavoro, se gli spazi sono condivisi e il proprio può variare ogni giorno sia nella sede dell’azienda sia geograficamente per gli spostamenti legati alle attività professionali, si può fare fatica a muoversi in uno spazio privo di personalizzazione. Si assiste talvolta alla riproposizione della guerra non più di scrivania ma di spazio di lavoro dai confini invisibili, ricercando uno spazio che per esempio renda più visibili al passaggio di “chi conta”, e di quello spazio si diventa gelosi. 

GELOSIA DELLE INFORMAZIONI

L’informazione è potere, quindi è possibile sul lavoro la gelosia delle informazioni. Condividerle diventa un problema: meglio per alcuni spargere un alone di segretezza, da non confondersi con la legittima e necessaria riservatezza; è qualcosa che in alcune situazioni si gioca sulla manipolazione, e sulla paura di rendere queste informazioni accessibili ad altri, perdendone il potere esclusivo.

Questo può accadere quando un neo-assunto non viene coinvolto dal capo in riunioni dove invece potrebbe essere più visibile, conoscere meglio le dinamiche aziendali, le specifiche di un’attività che dovrà poi svolgere. Succede così che il capo, o l’esperto anziano a cui il giovane è “affidato”, lo escluda volontariamente e sia più concentrato sul timore di vedersi superare dal collaboratore, che sulla qualità di prestazione del collaboratore stesso.

GELOSIA DEL CAPO

C’è poi la possibilità che si manifesti la gelosia del capo. Ciò accade quando uno dei collaboratori vive
la relazione di dipendenza gerarchica dal proprio capo come un rapporto privilegiato. Si sente (o in effetti è) “il collaboratore preferito” e non sopporta che altri suoi colleghi condividano con lui fiducia e positività interpersonale col capo. In tal caso si vuole mantenere quella che si presuppone essere l’unicità del rapporto, una sorta di relazione preferenziale, con il timore di perdere la sensazione e lo status di essere (o supporre di essere) l’oggetto esclusivo favorito del capo, il suo oggetto d’amore. 

Il rapporto tra gelosia e autostima

C’è un filo trasversale che accomuna tutti gli esempi di gelosia sul lavoro che abbiamo visto: il rapporto tra gelosia e autostima. Fondamentalmente, emerge che (anche) sul lavoro per alcune persone l’autostima è profondamente scalfita se non si ha l’esclusiva proprietà di qualcosa. In questi casi quello che di norma è un legittimo sentimento umano assume invece una tale intensità da far perdere il senso di realtà e quello della propria relatività. Il timore della perdita scatena un attaccamento ostinato, tutto viene letto a conferma dei propri timori e il soggetto ha la necessità di agire subito, di fare qualcosa, di adottare un comportamento che sottolinei in primo luogo a sé stesso il controllo della situazione e dell’altro. Ciò è ancora più complicato emotivamente in epoca di sharing economy, dove la prassi della condivisione (attraverso, per esempio, car sharing, coworking, nuovi modi di lavorare in forme di smart working) prevede e incita una gestione delle relazioni umane basata su collaborazione, apertura mentale, trasparenza nel trattamento delle informazioni, prese di decisione partecipativa.

COME GESTIRE LA GELOSIA

Quando si percepisce che il proprio sentimento di gelosia sta prendendo la direzione sbagliata, quando si fa fatica a governare la frustrazione della minaccia percepita della perdita o della effettiva privazione, è importante agire in tempo e in modo costruttivo, senza deragliare in comportamenti pericolosi e negativi per sé e per gli altri. Molte aziende illuminate alimentano il benessere organizzativo: basti pensare a tante forme di welfare aziendale che si stanno diffondendo sempre più non solo nelle grandi aziende ma anche nelle PMI (d’Ambrosio Marri, 2019). Uno strumento mirato negli ambienti lavorativi, molto utile per prevenire o gestire sul nascere dinamiche di gelosia sul lavoro e loro conseguenze e favorire il benessere organizzativo, è il team coaching. È un percorso che coinvolge un piccolo gruppo: il coach lavora con il gruppo – attraverso sessioni cicliche – per favorire consapevolezza, interazione costruttiva, gestione degli eventuali conflitti che hanno echi nello svolgimento delle attività e ne inquinano, se mal gestiti, l’energia produttiva, il clima sociale, l’assetto motivazionale dei singoli e del gruppo, il processo e la qualità di presa di decisione e di raggiungimento del risultato. In termini individuali, rispetto al proprio vivere la vita di lavoro e il ruolo ricoperto, ci sono percorsi-strumenti che aiutano a evitare di entrare in tunnel della gelosia sul lavoro da cui è poi difficile uscire. Sono percorsi individuali di coaching in azienda o di counseling extra-aziendale rivolti alla persona, che permettono di mettere a fuoco la rappresentazione emotiva della realtà di lavoro vissuta e di potenziare le proprie risorse comportamentali per individuare approcci e comportamenti collaborativi adeguati alla persona e alla situazione di difficoltà che vuole affrontare.

Infine, non possiamo dimenticare che il vivere sociale, anche sul lavoro, è sempre più caratterizzato da situazioni dove tutto sembra urgente, il ritmo degli imprevisti e delle comunicazioni è galoppante, il dettato esplicito o implicito di molte culture aziendali è l’essere sempre connessi e performanti. In tutto questo l’essere umano ha bisogno di vivere e sentire uno spazio di identità in cui è e si sente riconosciuto come singolo e libero di avere anche la possibilità di non condividere nulla e nessuno. Non possiamo dimenticare il diritto, il piacere e il dovere verso sé stessi, a salvaguardia del proprio benessere, di ritagliarsi «una stanza tutta per sé», riconoscendo il valore di questo spazio fisico e simbolico con Virginia Woolf (1929), che desiderava tanto una grande stanza tutta per sé, piena di libri e nient’altro, in cui potersi rinchiudere senza vedere nessuno, e leggere fino a calmarsi completamente.

Luciana d’Ambrosio Marri
è sociologa del lavoro, consulente in gestione, formazione e sviluppo delle risorse umane, benessere organizzativo, coach e counselor.
www.lucianadambrosiomarri.it


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 

Castiello d’Antonio A., d’Ambrosio Marri L. (2017), Risorse umane e disumane. Come vivere oggi sul Pianeta R.U., Giunti Psychometrics, Firenze.

D’Ambrosio Marri L. (2018), «Mondo del lavoro: il cambiamento anche a ritmo di jazz, anzi di gig!», Leader­ship & Management.

D’Ambrosio Marri L. (2019), «Welfare aziendale nelle PMI: tutta un’altra storia!», Leadership & Management.

Han B. C. (2010), La società della stanchezza (trad. it.), Edizioni Nottetempo, Milano. 

Klein M. (1957), Invidia e gratitudine (trad. it.), Giunti, Firenze, 2017.

Morgan J. (2014), Il futuro del lavoro, Franco Angeli, Milano.

Woolf V. (1929), Una stanza tutta per sé (trad.it.), Rizzoli, Milano.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui