Guido Sarchielli

Il lato oscuro del successo nei contesti di lavoro

Come mai spesso raggiungono posizioni apicali individui con personalità che la maggior parte dell'organizzazione disapprova fermamente?

Il lato oscuro del successo.jpg

Supponiamo di poter scegliere tra due individui per lavorare con noi nella nostra squadra, o per svolgere la funzione di capoufficio, o anche per rappresentarci come eletto dai cittadini per un ruolo di responsabilità nella nostra comunità locale. Uno dei due si mostra amichevole, caloroso, generoso, onesto e aperto a nuove idee; l’altro è invece ostile, freddo, egoista, ambiguo e disonesto.

Quale individuo sceglieremmo più facilmente? È assai probabile che la maggior parte delle persone sceglierebbe il primo. Ma se è così, ci siamo mai chiesti perché troviamo intorno a noi, nei nostri ambienti di lavoro o in posizioni di responsabilità nella vita organizzativa (ma anche in campo sociale e politico), tante persone di successo che sembrano possedere le caratteristiche personali che consideriamo negativamente? 

Si tratta di un’incongruenza sconcertante che è stata studiata negli ultimi anni dagli psicologi introducendo il concetto di “sindrome oscura della personalità”. Essa è caratterizzata da 3 tratti foschi e spiacevoli (“dark triad”), anche se non di natura patologica: machiavellismo, narcisismo e psicopatia.

Il lato oscuro del successo nei contesti di lavoro

Il machiavellismo riguarda la tendenza ad essere manipolativi per raggiungere i propri scopi con ogni mezzo, anche oltre il limite del lecito. Questi individui mostrano una singolare astuzia opportunistica nello sfruttare gli altri a proprio vantaggio. Sono molto sicuri di sé, freddi calcolatori, hanno bassa coscienziosità, sono menzogneri (per celare i loro veri scopi e opinioni); sono tendenzialmente amorali, cioè privi di sentimenti di pentimento rispetto ai comportamenti devianti attuati sia verso le persone che sul piano economico.

Il narcisismo esprime caratteri di grandiosità, di pretesa di diritti e privilegi, di dominanza e superiorità. Come nel mito di Narciso, i narcisisti vedono solo la propria immagine riflessa e pertanto diventano vanagloriosi, spacconi, arroganti, alla continua ricerca di ammirazione e di conferme per il proprio “sé inflazionato”, quindi ipersensibili alle critiche degli altri.

La psicopatia (qui intesa in un’accezione diversa rispetto alla nozione di psicopatico associata alla violenza criminale) indica l’incapacità di percepire, comprendere e regolare le emozioni a causa della carenza di intelligenza emotiva ed empatia; sono individui impulsivi, poco coscienziosi, alla ricerca continua di forti emozioni, con bassa presenza di ansia e di rimorso.

È assai probabile che tali dimensioni negative della personalità, se compresenti in forma eclatante, abbiano effetti tossici per gli ambienti di lavoro. Infatti la ricerca psicologica ha dimostrato che quando ci sono questi individui che si presentano come manipolatori, ingannevoli, adulatori, cinici e insensibili agli altri, sempre alla sfrenata ricerca di ammirazione, prestigio e potere, in attesa di favoritismi e indifferenti alla moralità delle loro azioni, si verificano gravi esiti negativi per l’organizzazione. Per esempio, si determinano forti peggioramenti dello stato affettivo dei colleghi (insoddisfazione, demoralizzazione, tendenziale disimpegno), riduzione dei comportamenti altruistici e di cooperazione, crescita di condotte controproduttive, devianti e disoneste. Le relazioni interpersonali diventano più difficili e i team sono avvelenati da frequenti microconflitti, manifestazioni aggressive e un’ampia diffusione di pregiudizi e discriminazioni verso i gruppi sociali minoritari, in particolare gli immigrati. Gli elementi della “triade oscura” sono stati inoltre chiamati in causa come potenti antecedenti psicologici dei comportamenti fraudolenti emersi in numerosi scandali aziendali e imputati a manager. 
Ma per quale motivo, allora, questi tipi di persone spesso riescono a mantenersi a galla e anzi, spesso, ad avere successo?

In primo luogo, si è visto che il passaggio da questi tratti personali negativi al comportamento effettivo non è automatico. L’esplicitazione di concrete condotte malevoli può essere solo parziale e a piccole dosi, essendo facilitata da vari fattori. In particolare, la scarsa diffusione del senso di responsabilità e giustizia organizzativa, la bassa trasparenza, le politiche aziendali e il clima organizzativo non chiaramente legati a principi etici tendono a incentivare tali tipi di comportamenti.
In secondo luogo, esibire questi tratti può inizialmente comportare un grande successo sociale, poiché una persona determinata, assertiva e ben orientata ai risultati tende ad essere pure affascinante per l’organizzazione e così, tramite una sistematica manipolazione delle impressioni e percezioni degli altri (per esempio, agire solo per avere molti “like”), assicurarsi vantaggi immeritati in termini di carriera e di scalata delle posizioni gerarchiche. Del resto, molti che hanno successo aziendale e ricoprono ruoli di leadership mostrano di frequente elevati punteggi sulle dimensioni della triade oscura. Infine, le condizioni di incertezza, instabilità e imprevedibilità entro le quali spesso si lavora potrebbero spingere verso comportamenti insidiosi, poco visibili ma furbeschi e opportunistici (di azzardo morale, basati cioè sulla fiducia di non essere scoperti per la propria disonestà) pur di arrivare a risultati ritenuti di qualche utilità nel breve periodo, sebbene fortemente rischiosi per un duraturo equilibrio delle relazioni aziendali. 

In sostanza, il successo ottenuto con queste modalità risulta effimero e con un costo sociale elevato. Dunque, soprattutto chi dirige dovrebbe rendersene conto in fretta, cercando di creare un ambiente che de-enfatizzi il desiderio di potere, mediante l’ascolto di tutti (indipendentemente dal rispettivo status), e che non tolleri competizioni disoneste e a somma zero (alla “mors tua, vita mea”, per intenderci). D’altronde, gli individui della triade oscura possono prosperare se l’organizzazione ignora le carenze etiche della propria cultura (e dei singoli), non valorizza la cooperazione, non promuove né premia le condotte di equità e giustizia.

 

Riferimenti bibliografici

Cohen A. (2016), «Are they among us? A conceptual framework of the relationship between the dark triad personality and Counterproductive Work Behaviors (CWBs)», Human Resources Management. Review,26 (1), 69-85.

Furnham A., Richards S. C., PaulhusD. L. (2013), «The dark triad of personality: A 10 year review», Social and Personality Psychology Compass,7 (3), 199-216.

Lebreton J. M., Shiverdecker L. K., 
Grimaldi E. M. (2018), «The dark triad and workplace behavior», Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior,5, 387-414.

Guido Sarchielli è professore emerito di Psicologia del lavoro all’Università di Bologna.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui