Paola A. Sacchetti

Hikikomori: un problema globale

Sempre più giovani scelgono di isolarsi dal mondo e la diffusione del fenomeno ha portato all’attenzione degli specialisti la sindrome di Hikikomori, termine coniato in Giappone per indicare una forma di reclusione volontaria a casa propria.

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Sempre più giovani scelgono di isolarsi dal mondo e la diffusione del fenomeno ha portato all’attenzione degli specialisti la sindrome di Hikikomori, termine coniato in Giappone per indicare una forma di reclusione volontaria a casa propria.

Data la diffusione del disturbo (in Italia si stimano almeno 100 000 casi), gli specialisti hanno voluto fornirne una definizione chiara e coerente, per consentirne la comprensione clinica a livello internazionale e migliorarne il trattamento. Nel recente articolo apparso su World Psychiatry, gli autori chiariscono i criteri per porre diagnosi:
a) marcato isolamento sociale nella propria casa;
b) durata di isolamento sociale continuo di almeno 6 mesi;
c) significativa compromissione funzionale o disagio associato all’isolamento sociale
ed evidenziano 4 aspetti chiave per individuare i casi di Hikikomori.

Il primo punto riguarda l’isolamento sociale nella propria casa, che rimane l’aspetto centrale, e di cui forniscono ulteriori indicazioni riguardo al “marcato isolamento”: chi occasionalmente esce di casa, anche 2-3 giorni alla settimana, rientra nella diagnosi, mentre chi esce almeno 4 volte alla settimana non soddisfa i criteri.
Il secondo aspetto riguarda l’eliminazione del requisito “evitare situazioni e relazioni sociali”. Nelle interviste svolte dai ricercatori, i soggetti segnalano di avere poche relazioni sociali significative ma non di evitare le interazioni sociali. L’assenza di evitamento dovrebbe quindi permettere di differenziare i casi di Hikikomori dal disturbo d’ansia sociale. Inoltre, sottolineano l’importanza di individuare i casi in fase iniziale, classificando come pre-Hikikomori chi si trova da almeno 3 mesi in isolamento sociale.
Il terzo punto riguarda il disagio funzionale, che per gli autori dev’essere valutato con attenzione: gli studi hanno infatti rilevato che molti sono soddisfatti del loro ritiro sociale, soprattutto nella prima fase del disturbo, perché permette loro di non sperimentare vissuti dolorosi al di fuori di casa propria. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, la maggior parte delle persone con Hikikomori inizia a percepire il disagio del ritiro sociale e sentimenti di solitudine.
Infine, la presenza di altri disturbi psichiatrici non è più un criterio di esclusione: secondo gli autori, l’Hikikomori può manifestarsi insieme a una varietà di altri disturbi mentali, in comorbilità.

Per i ricercatori la necessità di fornire criteri diagnostici chiari, che possano aiutare a standardizzare la valutazione e a sostenere il confronto interculturale sull’Hikikomori, è legata ai progressi nelle tecnologie digitali e di comunicazione, che offrendo alternative all’interazione sociale di persona possono aumentare la diffusione del disturbo, rendendolo un problema sociale e globale ancora più rilevante.                     

di Paola A. Sacchetti                                              

Kato T. A., Kanba S., Teo A. R. (2020), «Defining pathological social withdrawal: Proposed diagnostic criteria for Hikikomori», World Psychiatry, 19 (1), 116, DOI: 10.1002/wps.20705

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 279 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui