Pietro Trabucchi

Fantasie positive, risultati reali?

Ecco a voi la strada più diretta verso l’autolesionismo: convincersi che semplicemente fantasticando i risultati arrivino. Benvenuti nel mondo della magia inconsapevole. Peccato che la scienza la pensi diversamente.

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«Immagina, puoi» recitava alcuni anni fa uno dei claim pubblicitari più inconsistenti che siano mai stati concepiti. Non c’è che dire: il pensiero positivo appesta la storia dell’umanità dalla notte dei tempi. Con l’espressione “pensiero positivo” indico un fenomeno preciso, che non va confuso con l’ottimismo: intendo il convincimento che basti avere fantasie di successo per raggiungere i propri obiettivi.

Molta gente ne è convinta. Basti pensare che il libro di Rhonda Byrne The Secret ha venduto nel mondo oltre dieci milioni di copie. La filosofia propugnata dall’autrice è che il mondo funziona secondo la “legge di attrazione”: cioè, quello che noi desideriamo e pensiamo intensamente è fatalmente destinato ad avverarsi.

Inteso in questo senso, il pensiero positivo è una forma di credenza magica che ben poco ha a che fare con l’essere ottimisti. Dove, con quest’ultimo termine intendiamo la convinzione di poter controllare almeno in parte gli eventi attraverso il nostro agire.

Be’, se il pensiero positivo vi attrae, fate un piccolo esperimento: invece di allenarvi duramente, state seduti a immaginarvi mentre tagliate il traguardo di una maratona. Poi iscrivetevi e andate a correrla. Oppure, quando siete particolarmente stanchi e/o reduci da un’influenza e dovete respirare affannosamente anche solo per camminare, fatevi una bella fantasia positiva che le vostre gambe scattino come molle. Mi raccomando, però, in entrambi i casi ricordatevi di telefonarmi per raccontare com’è andata...

La mentalità “immagina, puoi”, l’idea che sognare un evento equivalga a poterlo realizzare, è semplicemente ridicola. Certo, diffondere una mentalità di questo tipo fa gioco a molti tipi di interesse. Sono infatti in tanti a trarre profitto dal fatto che moltitudini di individui vaghino per il mondo con un abbassamento del pensiero critico, confondendo tra loro fantasia e realtà.

Se fossi una banca, per esempio, troverei estremamente utile che i consumatori in possesso delle mie carte di credito indulgessero nel pensiero positivo a proposito di un utilizzo spensierato delle stesse. E se fossi un’azienda che vende servizi non proprio ottimizzati, troverei estremamente vantaggioso potermi relazionare con acquirenti convinti che l’esito positivo sia scontato.

Con buona pace di tutti, è comunque il metodo scientifico a mettere una pietra tombale sul pensiero positivo. Una serie di ricerche prodotte negli ultimi anni ha trovato una correlazione costante tra fantasie positive e diminuzione del rendimento.

Ne prenderò qui in considerazione solo un paio, tra le più brillanti: per esempio, uno studio del 2002 a opera di Oettingen e Mayer, due scienziate delle Università di Amburgo e New York, ha considerato partecipanti appartenenti a una serie di gruppi demografici, in diversi Paesi, e con una gamma di vari desideri personali: obiettivi di salute, accademici, professionali e di relazione. I ricercatori hanno misurato la propensione dei soggetti a indulgere in fantasie rispetto al raggiungimento dei loro obiettivi; e, a distanza di mesi, hanno verificato il grado di reale raggiungimento di tali traguardi. Ebbene, i risultati parlano chiaro: quanto più i soggetti erano disposti ad abbandonarsi alle fantasie di realizzazione degli obiettivi, tanto meno tali obiettivi venivano conseguiti nella realtà.

Oettingen e Mayer si sono domandate il perché di questa correlazione. E la risposta è stata ben chiara: il pensiero positivo ostacola le prestazioni perché ci rilassa e prosciuga l'energia di cui abbiamo bisogno per agire realmente. Se ci autoinganniamo, pensando di avere raggiunto i nostri obiettivi, sentiamo meno la spinta a darci da fare concretamente.

Molti studi dimostrano la stessa verità: le persone che fantasticano positivamente sul futuro non lavorano duro come quelle con fantasie più limitate, e ciò le conduce a prestazioni più povere. 

Uno studio di Heather Kappes del 2010 ha dimostrato che il rilassamento conseguente a immaginare un obiettivo raggiunto non è solo metaforico: è fisico! Le persone, infatti, dopo alcuni minuti di fantasie positive presentano un calo della pressione sistolica, che va da 5 a 10 punti.

La pressione sistolica è un indice della contrattilità cardiaca; questa a sua volta è un segnale del coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare, che risponde direttamente al bisogno di energie che il cervello reputa necessarie in quel momento. 

Le fantasie a occhi aperti rappresentano, quindi, un buon metodo per ispirarsi o per rilassarsi.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 267 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui