Silvia Bonino

Essere genitori sufficientemente buoni: la biologia ci aiuta

La biologia favorisce i comportamenti di cura verso la prole sia nelle madri che nei padri, ma in questi ultimi la cultura ha un’influenza maggiore.

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Le statistiche ufficiali certificano che in Italia il numero delle nascite è in drastico calo, seppure in modo molto diversificato nelle varie regioni, e non riesce più nemmeno a pareggiare il numero dei defunti. Nel 2019 si è registrato un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 420 170 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia, con una diminuzione rispetto al 2018 di oltre 18 000 unità, pari a -4.5%. La diminuzione delle nascite non è un fatto recente, dal momento che è iniziata fin dagli anni Settanta del secolo scorso. Come conseguenza, il numero delle donne potenziali madri si sta ora progressivamente riducendo, mentre nel contempo stanno uscendo dall’età riproduttiva i contingenti più numerosi di donne nate nella cosiddetta epoca del baby-boom. Nel determinare la riduzione delle nascite, a queste ragioni storiche e strutturali si aggiungono molti altri motivi, di tipo non solo strettamente economico, tra loro intrecciati. Basti ricordare la persistente mancanza di politiche di sostegno alla famiglia, la cronica carenza – quando non assenza – di asili nido e anche di scuole per l’infanzia, la difficoltà per le donne a conciliare famiglia e lavoro.

Accanto a questi importantissimi motivi ne esistono però anche altri, di tipo maggiormente psicologico, legati a loro volta a fattori culturali, come per esempio l’adolescenza e la giovinezza prolungate, la difficoltà ad assumersi responsabilità adulte, i timori per il futuro. Tra le ragioni psicologiche da non sottovalutare vi è anche il timore che crescere i figli sia un compito difficilissimo, oggi quasi impossibile. La scelta di diventare genitori appare ad alcuni come troppo impegnativa e prevale la paura di non essere all’altezza del compito, soprattutto con i bambini molto piccoli, così diversi dall’adulto. Concorre a questo timore la ricerca della perfezione, che pervade tanti aspetti della vita contemporanea e che si concretizza nel desiderio di essere genitori perfetti di bambini perfetti. È, questa, una meta troppo elevata e irraggiungibile, che rischia di scoraggiare alcuni potenziali genitori. Essa va conseguentemente abbandonata, con il più realistico progetto di essere genitori «sufficientemente buoni», per richiamare una nota affermazione di Donald Winnicott.

Al riguardo bisogna ricordare che nel perseguire questo obiettivo ogni genitore, madre o padre, non si basa soltanto sulla propria esperienza personale e sulle indicazioni e aiuti che gli provengono dalla cultura in cui vive, quali le convinzioni su come si crescono i bambini e la possibilità di usufruire di nidi e scuole per l’infanzia. La stessa biologia ha attrezzato gli adulti – e non solo le madri – in modo da essere capaci di svolgere l’impegnativo compito di genitore. Il piccolo dell’uomo nasce completamente inetto e necessita di un lungo periodo di dipendenza da genitori che se ne prendano cura, condizione indispensabile non solo per il suo sviluppo emotivo, cognitivo e sociale, ma per la sua stessa sopravvivenza fisica. Per assicurare che ciò avvenga, la natura ha fornito gli esseri umani di capacità che li sorreggono in un compito di allevamento della prole che è lungo e indubbiamente faticoso. Si tratta di caratteristiche che consentono sia ai bambini di entrare in contatto con gli adulti, nonostante le enormi differenze comunicative, sia agli adulti di rispondere ai bisogni dei piccoli. I neonati umani, così come i cuccioli delle altre specie, non solo presentano fattezze particolari, caratterizzate da rotondità e morbidezza, atte a suscitare tenerezza e a bloccare i comportamenti aggressivi; essi, in più, come ben evidenziato dal teorico dell’attaccamento John Bowlby, vengono anche al mondo con la capacità di attuare comportamenti specifici con lo scopo di mantenere il contatto con la madre, di suscitare le sue cure e di stabilire con lei nel tempo una relazione individualizzata di attaccamento. Questi comportamenti, non appresi e presenti nei bambini di qualunque gruppo umano, sono: succhiare, piangere, aggrapparsi e, più in generale, cercare il contatto fisico, mantenere la vicinanza prima con lo sguardo e poi con il movimento (gattonando o camminando), sorridere. Tali comportamenti sono stati elaborati nel corso dell’evoluzione filogenetica e hanno il potere di suscitare una pronta risposta di interesse da parte dell’adulto, in particolare da parte della madre.

Gli studi neurofisiologici hanno mostrato che in lei vengono attivate soprattutto alcune parti del cervello limbico. Questa constatazione non porta certo a concludere che i padri non possano rispondere ugualmente a tali segnali. Nei padri, però, il comportamento di attivazione partecipe, e conseguentemente di risposta ai bisogni del bambino, passa maggiormente attraverso i circuiti corticali, che a loro volta attivano quelli emotivi; in altri termini, nei maschi i comportamenti di cura sono maggiormente legati all’influenza culturale e meno alla disposizione biologica.

In ogni caso, non va dimenticato che tutti gli esseri umani, sia maschi che femmine, sono dotati biologicamente di capacità di condivisione dello stato emotivo di un’altra persona. Questa capacità si fonda sul riconoscimento delle emozioni altrui e si concretizza in forme diverse di condivisione, lungo un continuum che va dal contagio emotivo, automatico e riflesso, fino nell’empatia vera e propria; quest’ultima è cognitivamente mediata dalla capacità di rappresentarsi il vissuto di un’altra persona, anche quando è molto diverso dal proprio. È in forza di questa capacità di condivisione che i genitori possono rispondere in modo adeguato alle richieste dei figli, sia quando essi sono molto piccoli sia in seguito, lungo gli anni dell’età evolutiva.

I potenziali genitori possono quindi guardare senza timore e con fiducia al loro ruolo futuro, sapendo di poter contare anche su disposizioni biologiche innate, di cui l’evoluzione ci ha dotati. Benché dette propensioni non agiscano negli esseri umani in modo rigido e stereo­tipato, ma siano influenzate dalla cultura e dall’esperienza personale, costituiscono una base solida su cui fondare il lungo cammino di vita dell’essere genitore.

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo all’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

www.silviabonino.it

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui