Nicoletta Berardi

Esercizio fisico, plasticità cerebrale, invecchiare con grazia

Le demenze associate all’invecchiamento costituiscono un problema sempre più rilevante, ma recenti ricerche mostrano che uno stile di vita sano può rivelarsi un fattore protettivo.

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La letteratura scientifica degli ultimi quindici anni ha mostrato che l’esercizio fisico volontario è in grado di modulare le funzioni cerebrali, determinando cambiamenti nell’attività e nella plasticità dei circuiti nervosi in numerose aree cerebrali (Sale e Berardi, 2015; Berardi et al., 2017). Di particolare interesse sono risultati gli studi in cui la pratica di esercizio fisico è stata messa in relazione con miglioramenti nelle capacità di apprendimento e memoria di tipo dichiarativo e nella memoria di lavoro, evidenti sia in modelli animali sia nell’uomo, e anche in soggetti giovani, adulti e soprattutto anziani, aprendo un campo di studi in costante espansione (Berardi et al., 2017).

Infatti, il numero di anziani sta aumentando in tutte le nazioni. L’invecchiamento della popolazione rappresenta un’opportunità per la società, ma presenta anche un problema. L’opportunità viene dall’enorme riserva di capitale umano e di esperienza costituito dai cittadini più anziani. Il problema emerge dalle fragilità associate con l’invecchiamento e, in particolare, dall’elevato rischio di declino cognitivo e di demenza, considerati la minaccia più grande legata all’età anziana.

Le demenze rappresentano una delle maggiori cause di disabilità nella popolazione generale e sono un problema sempre più rilevante in termini di sanità pubblica. Il World Alzheimer Report ha stimato che il numero di persone con demenza nel mondo passerà dai 35,6 milioni del 2010 a 65,7 milioni nel 2030 e a115,4 milioni nel 2050, a meno che non vengano introdotti mezzi efficaci per ridurre l’incidenza di questa malattia (Berardi et al., 2017).

Cosa si può fare per intervenire su questa cupa prospettiva? Il primo passo è comprendere meglio i fattori di rischio e di resilienza nei confronti di un invecchiamento cognitivo patologico e trarne indicazioni per interventi volti a favorire un invecchiamento sano e a ridurre l’incidenza della demenza.

Mentre alcuni fattori associati a “invecchiare con grazia” (graceful aging) sembrano legati al patrimonio genetico o ad aspetti dell’esperienza infantile o giovanile, come la scolarità, altri sono legati a fattori dello stile di vita – che includono la nutrizione, il non fumare, il praticare attività fisica, l’essere coinvolti in attività cognitivamente stimolanti – modificabili anche in età anziana. Tra questi fattori l’esercizio fisico sta emergendo come uno dei principali fattori protettivi (Berardi et al., 2017).

Qual è il legame tra praticare attività fisica e giovamento alle funzioni cognitive? La letteratura ci suggerisce che alla base degli effetti dell’attività fisica sui processi cognitivi, e in particolare sull’invecchiamento cognitivo, ci siano azioni su molteplici fattori molecolari che traducono l’attività fisica in cambiamenti nell’attività e nella plasticità dei circuiti nervosi, gli stessi fattori che entrano in gioco, per esempio, per formare e consolidare una traccia di memoria o che mediano gli effetti dell’attenzione. C’è di più: questi cambiamenti indotti dall’attività fisica a livello cellulare e molecolare danno probabilmente inizio a cambiamenti generali a livello cerebrale, con conseguenti cambiamenti comportamentali che a loro volta influenzano la cognizione. Ma c’è ancora di più: per molti di noi attività fisica ed esercizio fisico evocano attività in palestra, magari su cyclette o tapis roulant, oppure la corsa all’aperto su percorsi prefissati, molto spesso un di più rispetto all’attività ordinaria delle nostre giornate. Ma la risposta del cervello all’attività fisica si è costruita quando l’attività fisica era parte integrante delle giornate della specie umana e coinvolgeva fortemente i sistemi endogeni di navigazione spaziale. Camminare per raggiungere una meta richiede orientarsi, avere cioè una mappa spaziale mentale dell’ambiente entro cui ci muoviamo ed essere in grado di muoversi al suo interno, e questo richiede le funzioni dell’ippocampo (una struttura sottocorticale); vuol dire prestare attenzione a ciò che ci circonda, per monitorare la progressione del tragitto attraverso gli indicatori e i punti di riferimento esterni, ma anche per controllare per la presenza di potenziali pericoli, e questo richiede l’attivazione dei sistemi attenzionali e il potenziamento delle risposte dei sistemi sensoriali. In altre parole, anche quando corriamo al chiuso di una palestra su un tapis roulant, il nostro cervello si prepara a monitorare la strada, a utilizzare le mappe spaziali, a formarne di nuove.

In questo articolo vorrei condividere con voi le considerazione e le riflessioni di uno psicobiologo sugli effetti dell’esercizio fisico sulla plasticità cerebrale e sull’invecchiamento cognitivo, con la speranza che questo stimoli la curiosità e magari anche la voglia di camminare.

ESERCIZIO FISICO E PLASTICITÀ NEURALE

La plasticità neurale è la capacità dei neuroni e dei circuiti neurali di cambiare, strutturalmente e funzionalmente, in risposta all’esperienza. Questa proprietà è fondamentale per la flessibilità del nostro comportamento, per apprendere e ricordare nuove informazioni e nuove abilità e per il recupero da danni cerebrali.

La forma principale di plasticità neurale è la plasticità sinaptica: essa coinvolge il cambiamento nell’efficacia di contatti sinaptici già esistenti, la formazione di nuovi contatti sinaptici o l’eliminazione di altri. Nell’ippocampo sembra essere presente anche un’altra forma di plasticità neurale grazie alla quale nuovi neuroni, e non solo nuovi contatti sinaptici, verrebbero aggiunti ai circuiti nervosi in risposta all’esperienza; questa forma di plasticità neurale è legata all’esistenza di un processo di neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo che si estende a tutto l’arco di vita (Berardi et al., 2017).

Una solida letteratura, relativa a ricerche condotte su animali ma anche sull’uomo, ci porta a proporre l’ipotesi che quando acquisiamo una nuova abilità motoria o percettiva o formiamo la mappa spaziale di una nuova, ciò accade perché – nelle strutture neurali specifiche per quella forma di apprendimento e memoria, quali le cortecce sensoriali per l’apprendimento percettivo o l’ippocampo per la memoria spaziale – avvengono specifici fenomeni di plasticità sinaptica (Berardi et al., 2017).

I passi che conducono alla formazione di memorie a lungo termine coinvolgono forme di plasticità sinaptica quali il potenziamento o la depressione a lungo Termine (Long Term Potentiation, LTP, e Long Term Depression, LTD); l’induzione, il consolidamento e il mantenimento di LTP e LTD richiedono precisi fattori molecolari e cellulari, quali per esempio l’attivazione di specifici recettori per il neurotrasmettitore glutamato, fattori di trascrizione genica, fattori epigenetici, fattori neurotrofici, quali il BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor), neuromodulatori, quali acetilcolina, noradrenalina, dopamina, che mediano gli effetti di attenzione, interesse e soddisfazione. I meccanismi alla base della plasticità sinaptica sono gli stessi per le diverse forme di memoria (Berardiet al., 2017).

Le prime evidenze sperimentali che l’esercizio fisico potesse potenziare la plasticità neurale sono venute da studi in animali adulti, che hanno mostrato come l’attività fisica volontaria di tipo aerobico (per i roditori, tipicamente, avere a disposizione una ruota per correre) potenziasse l’inducibilità e il consolidamento di LTP nell’ippocampo, agendo sui fattori molecolari e cellulari sopra menzionati, in parallelo a un più rapido apprendimento e a un miglior mantenimento della traccia di memoria in compiti di memoria spaziale; successivamente, è stato mostrato un forte effetto di potenziamento dell’esercizio fisico anche sulla neurogenesi ippocampale (Berardi, Sale, Maffei, 2017).

Gli studi nell’uomo sono stati più lenti a emergere, ma ormai ne abbiamo a disposizione un buon numero; per citarne uno molto recente (Bosch et al., 2021), è stato mostrato che è sufficiente un singolo episodio di esercizio fisico moderato (mezz’ora di pedalata su cyclette) per potenziare le prestazioni in un compito di memoria associativa fortemente dipendente dall’ippocampo, in correlazione con l’aumento dell’attività ippocampale durante il recall; la prestazione e l’attività ippocampale durante il recall a tre mesi correlano con i livelli di BDNF, aumentati dall’esercizio fisico.

Gli effetti dell’esercizio fisico sulla plasticità non sono limitati all’ippocampo, ma sono stati documentati in diverse strutture cerebrali. Per esempio, nella corteccia visiva, l’esercizio fisico promuove un aumento della risposta dei neuroni visivi agli stimoli e potenzia la plasticità sinaptica al punto da favorire il recupero duraturo da un difetto del neurosviluppo quale l’ambliopia in soggetti ormai adulti, ratti e umani: l’occhio ambliope recupera connettività, risultando in grado di guidare un maggior numero di cellule corticali, e i soggetti recuperano sia acuità visiva sia visione binoculare (vedi Sansevero et al., 2020).

ESERCIZIO FISICO E INVECCHIAMENTO COGNITIVO: GLI STUDI EPIDEMIOLOGICI

A partire dai primi studi epidemiologici del 2000, gli effetti positivi dell’attività fisica sul mantenimento di un buono stato cognitivo e sulla riduzione dell’incidenza della demenza sono stati ripetutamente confermati: praticare livelli anche moderati di attività fisica settimanale è un predittore significativo del mantenimento di un buono stato cognitivo. Sottolineo qui l’importanza che l’esercizio fisico sia volontario e di soddisfazione per i soggetti.

Di particolare interesse è uno studio svedese il quale ha mostrato non solo che uno stile di vita attivo che include attività mentali, fisiche e sociali ritarda l’esordio della demenza in soggetti anziani ma anche che più ampia era la varietà di attività svolte (per esempio, attività fisiche e cognitive e sociali), maggiormente tardivo era l’esordio della demenza, suggerendo l’additività dei fattori protettivi (Berardi et al., 2017).

MECCANISMI ATTRAVERSO CUI L’ATTIVITÀ FISICA POTREBBE AGIRE SULL’INVECCHIAMENTO COGNITIVO

La plasticità neurale diminui­sce con l’invecchiamento, e questo è evidente sia nella plasticità sinaptica che nella neurogenesi ippocampale. Per la prima si osservano soprattutto riduzioni nell’efficacia del consolidamento e del mantenimento dei fenomeni di plasticità sinaptica, legate ad alterazioni nella presenza dei fattori molecolari necessari (Berardi et al., 2017).

I risultati della vasta letteratura sugli effetti dell’attività fisica volontaria in animali anziani hanno mostrato che, sia praticata a partire dalla mezza età sia dall’età anziana, migliora lo stato cognitivo agendo su diversi processi e fattori, in primo luogo su plasticità sinaptica cerebrale e neurogenesi ippocampale. Questi effetti sono a loro volta dipendenti da un aumento di fattori quali BDNF e IGF-1 (Insulin like Growth Factor 1), da un’azione su neuromodulatori quali serotonina, acetilcolina e dopamina, da un potenziamento dei fattori epigenetici permissivi per la trascrizione, da una riduzione della presenza di peptidi amilodi (Aβ) e della neuroinfiammazione.

STUDI DI INTERVENTO NELL’UOMO

Ad oggi, numerosi studi hanno messo in evidenza che le prestazioni cognitive di anziani cognitivamente nella norma miglioravano dopo un periodo di attività fisica aerobica, in buona correlazione con la fitness cardiovascolare e con l’attivazione cerebrale; è stato anche osservato un aumento del volume dell’ippocampo, aumento che controbilanciava l’atrofia di questa struttura dovuta all’età (Berardi et al., 2017).

I risultati degli studi che suggeriscono come gli effetti positivi di esercizio fisico e attività cognitiva possano essere additivi hanno stimolato la messa in atto di interventi nell’anziano sano che fanno uso di una combinazione di fattori protettivi.

Uno studio molto importante, in questo settore, è lo studio FINGER (Ngandu, et al., 2015). Più di 1250 anziani, con livello cognitivo nella norma rispetto all’età ma a elevato rischio cardiovascolare, sono stati assegnati in maniera casuale o a un intervento di due anni basato sulla combinazione di dieta, esercizio fisico, training cognitivo e monitoraggio del rischio cardiovascolare, oppure al gruppo di controllo. I risultati mostrano che lo stato cognitivo globale, le funzioni esecutive e la velocità di elaborazione nel gruppo di intervento migliorano di più che nel gruppo di controllo.

Più recentemente sono stati realizzati studi volti a valutare l’effetto del training fisico e cognitivo combinato in anziani con un danno cognitivo evidente ma che ancora non si configura come demenza (Mild Cognitive Impairment, MCI) o in soggetti con demenza di Alzheimer (Berardi et al., 2017).

Uno studio pubblicato nel 2017 e svolto in Italia (progetto Train the Brain) ha indagato gli effetti di un training combinato, fisico e cognitivo in un setting sociale, sul declino cognitivo di soggetti MCI e ne ha anche indagato i possibili meccanismi d’azione.

Il training è stato relativamente intensivo, tre mattine ogni settimana per sette mesi. I risultati mostrano che nel gruppo di intervento lo stato cognitivo migliora significativamente, mentre nel gruppo di controllo peggiora significativamente. Quindi, l’intervento non ha semplicemente ridotto il declino cognitivo presente nei controlli ma ne ha generato un miglioramento.

Nei soggetti appartenenti al gruppo di intervento si osserva anche un aumento del flusso ematico cerebrale a livello paraippocampale. Questo studio enfatizza quindi le potenzialità di interventi multicomponenziali basati sulla combinazione di esercizio fisico e altri fattori protettivi anche in anziani che già presentano danni cognitivi.

CONCLUSIONI


L’esercizio fisico agisce su tutti i fattori cellulari e molecolari che l’esperienza usa per indurre, consolidare e mantenere i fenomeni di plasticità sinaptica a lungo termine: non ci stupisce quindi che esso possa potenziare quei processi che sulla plasticità neurale poggiano, quali apprendimento e memoria o recupero da danni cerebrali. Inoltre, esso contribuisce, sempre attraverso l’azione sulla plasticità neurale, a modificare l’uscita di network complessi che sono coinvolti nei circuiti attenzionali e motivazionali, modificando così lo stato dei soggetti e favorendo, per esempio, una maggior partecipazione a ulteriori attività, sia fisiche sia cognitive, autoampliandone gli effetti. L’applicazione di paradigmi che includono esercizio fisico volontario sembrerebbe avere buone potenzialità in interventi preventivi o riparativi per lo stato cognitivo che, attraverso la stimolazione di vie molecolari cruciali per la neuroplasticità, potrebbero contribuire a un graceful aging.

Pensiamo sempre che una semplice passeggiata comporta non solo attività fisica, ma stimolazione cognitiva e, quasi sempre, interazioni sociali, combinando insieme tre fattori protettivi.

La traduzione di queste evidenze scientifiche in buone pratiche di politica della salute pubblica richiederà cooperazione a molti livelli e dovrà largamente coinvolgere la professionalità degli psicologi, in modo da implementare azioni efficaci volte a promuovere e sostenere il cambiamento nello stile di vita delle persone anziane, così che la loro presenza sia sempre più una opportunità
e sempre meno un problema.

 

Nicoletta Berardi, professore ordinario di Psicobiologia all’Università di Firenze, studia gli effetti dell’arricchimento ambientale sulla modificabilità dei circuiti neurali in risposta all’esperienza.

Bibliografia

Berardi N., Sale A., Maffei L. (2017), «Optimizing cognition in older adults: Lifestyle factors, neuroplasticity, and cognitive reserve». In J.-P. Michel, B. L. Beattie, F. C. Martin, J. D. Walston (Es.), Oxford Textbook of Geriatric Medicine, 3rd ed., Oxford University Press, Oxford, pp. 1-23.
Marin Bosch B., Bringard A., Logrieco M. G., Lauer E., Imobersteg N., Thomas A., Ferretti G., Schwartz S., Igloi K. (2021), «A single session of moderate intensity exercise influences memory, endocannabinoids and brain derived neurotrophic factor levels in men», Scientific Reports, 11 (14371).
Ngandu T., Lehtisalo J., Solomon A., Levälahti E., Ahtiluoto S., Antikainen R., Bäckman L., Hänninen T., Jula A., Laatikainen T., Lindström J., Mangialasche F., Paajanen T., Pajala S., Peltonen M., Rauramaa R., Stigsdotter-Neely A., Strandberg T., Tuomilehto J., Soininen H., Kivipelto M. (2015), «A 2 year multidomain intervention of diet, exercise, cognitive training, and vascular risk monitoring versus control to prevent cognitive decline in at risk elderly people (FINGER): A randomised controlled trial», The Lancet, 385 (9984), 2255-2263.
Sale A., Berardi N. (2015), «Active training for amblyopia in adult rodents», Frontiers in Behavioral Neuroscience, 9, 281-290.
Sansevero G., Torelli C., Mazziotti R., Consorti A., Pizzorusso T., Berardi N., Sale A. (2020), «Running towards amblyopia recovery», Scientific Reports, 10, 12661.
Train the Brain Consortium (2017), «Randomized trial on the effects of a combined physical/cognitive training in aged MCI subjects: The Train the Brain study», Scientific Reports, 3 (7), 39471.

 

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui