Paola A. Sacchetti

Eroi di tutti i giorni

L’autobiografia di Philip Zimbardo, Professore emerito di Psicologia della Stanford University, “Zimbardo. Memorie di uno psicologo” di prossima uscita, ci permette di sbirciare nella vita professionale, e non solo, di uno tra i più grandi psicologi contemporanei e di scoprire uno dei progetti più interessanti nel panorama psicologico odierno: l’Heroic Imagination Project, che considera ognuno di noi un “potenziale eroe” in grado cambiare in meglio il mondo in cui viviamo.

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Immaginate di camminare per strada e di imbattervi in una persona sdraiata a terra. Che cosa fareste? Vi fermereste per controllare se ha bisogno di aiuto o proseguireste pensando che tanto lo farà qualcun altro? D’istinto, probabilmente, molti darebbero la prima risposta; tuttavia l’evidenza dei fatti raccolta da numerose ricerche scientifiche dimostra che la maggior parte delle persone prosegue e non si ferma. Si tratta di quel particolare fenomeno definito dalla psicologia sociale come l’“effetto spettatore” secondo cui cui una persona in difficoltà non riceve aiuto se sono presenti molte altre persone. Tale effetto è spesso motivato dalla diffusione della responsabilità: quando più persone assistono a un’emergenza è più probabile che nessuno intervenga perché ognuno presume che qualcun altro lo abbia già fatto o possa farlo.

Questo esperimento è uno di quelli mostrati nelle lezioni dei programmi di formazione promossi dall’Heroic Imagination Project, organizzazione no profit creata da Philip Zimbardo, che forma le persone a coltivare la mentalità necessaria per sviluppare l’“eroismo quotidiano”.

L’HEROIC IMAGINATION PROJECT E L’EROISMO QUOTIDIANO

Ma che cosa significa “eroismo quotidiano”?

ZIMBARDO copia.png  Zimbardo, dopo aver studiato per anni la “banalità del male”, come l’ha definita Hannah Arendt, ha sentito l’esigenza di fare qualcosa per rendere il mondo un posto migliore. Come si scopre dalla sua autobiografia, nello scrivere il libro “L’effetto Lucifero”, nel quale analizza il male nelle sue diverse declinazioni, tra cui l’esperimento della prigione di Stanford che lo ha reso noto al grande pubblico, dopo 15 capitoli di “malvagità”, Zimbardo sente l’esigenza di “equilibrare” l’impatto che stava producendo sui lettori scrivendo un ultimo capitolo “positivo”. In queste pagine delinea quindi una nuova prospettiva, quella della “banalità del bene” o “banalità dell’eroismo”, che diventerà la base del progetto che lo sta impegnando ora, appunto l’Heroic Imagination Project (HIP).

L’assunto di Zimbardo è che, se è possibile che una persona “normale” inserita in un contesto “marcio” e che pone pressioni negative possa trasformarsi in un aguzzino, mettendo in atto comportamenti malvagi, allora è possibile anche il contrario, cioè che persone normali possano compiere azioni eroiche se messe nelle giuste condizioni e che, quindi, ognuno possa essere educato e allenato a farlo.

In quest’ottica, quindi, l’eroismo perde le sue caratteristiche “epiche” degli eroi della letteratura classica o dei supereroi dei fumetti e dei film, per assumere una connotazione meno eccezionale e maggiormente “alla portata di tutti” e si riferisce al semplice cittadino che riesce a “disobbedire” a un’autorità ingiusta o a resistere alle pressioni di un contesto che lo spinge ad adeguarsi a regole e comportamenti scorretti o malevoli, che compromette la propria integrità morale e la capacità di porsi in relazione positiva con gli altri e con il mondo.

Quindi, si è “eroi” quando si mette in atto un’azione di aiuto o difesa verso gli altri nonostante le pressioni del contesto in cui ci si trova, che ci imporrebbero di fare finta di nulla. L’inazione ci tutela dalle conseguenze che potrebbero esserci, ma ci rende complici: permette al contesto di continuare a influenzare le persone in modo negativo, consentendo il perpetuarsi di comportamenti “cattivi”, e alle persone di proseguire a compiere azioni scorrette e malvage impunemente e con il nostro tacito consenso. Sono azioni eroiche quelle messe in atto quotidianamente per esempio dai pompieri, ma lo sono altrettanto il difendere un compagno vittima di bullismo o un collega mobbizzato, il contrastare comportamenti scorretti nel gruppo dei pari o sul lavoro, il fermarsi a prestare soccorso a uno sconosciuto in difficoltà.

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Il nucleo dell’eroismo quotidiano ruota attorno all’impegno della persona per uno scopo nobile e alla consapevolezza che potrebbero esserci delle conseguenze per essersi battuti per quello scopo, accettandone il rischio. Infatti questo tipo di eroismo, che Franco e Zimbardo (2006) definiscono “sociale”, ha un costo che può essere anche elevato, poiché può condurre alla perdita del lavoro e della stabilità finanziaria, a un abbassamento dello status sociale, alla perdita di credibilità professionale, e, in alcuni casi, ad arresto, tortura, rischi per i membri della famiglia e, talvolta, morte.

Spesso, infatti, è proprio la paura delle conseguenze a impedire alle persone di agire. Le conseguenze di cui abbiamo paura non sono solo quelle indicate da Zeno Franco e Zimbardo, ma anche quelle più “ovvie” e prevedibili, come l’ostracismo del gruppo o il diventare vittime di bullismo o mobbing. Se ripensiamo all’esperimento della prigione di Stanford, molte persone non si fermano ad aiutare non solo a causa dell’effetto spettatore, ma anche per paura di trovarsi in situazioni potenzialmente pericolose, in cui la propria incolumità fisica sia messa a rischio. Chi, vedendo una persona a terra in una strada buia, di notte, magari in un quartiere non proprio raccomandabile, non avrebbe paura? Sarebbe una risposta sana e logica per ogni persona che vive nella nostra società. Eppure è proprio su questo aspetto che è importante lavorare, per poter imparare ad agire dando il proprio aiuto quando è possibile. Come racconta Leppien-Christensen, professore di Psicologia al Saddleback College di Mission Viejo, in California, che si è trovato in una situazione simile mentre tornava a casa con la sua famiglia, ma che nonostante l’iniziale paura, proprio perché aveva appena insegnato ai suoi studenti l’effetto spettatore come parte dell’Heroic Imagination Project, si è fermato a prestare soccorso a un ciclista caduto in una strada isolata (Clay, 2014).

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EDUCARE ALL’EROISMO

Come fare quindi a educare all’eroismo? Zimbardo, avvalendosi del contributo di diversi professionisti e ricercatori, ha ideato dei programmi per la scuola secondaria di II grado e l’università che permettessero agli studenti di sviluppare il pensiero critico e la resilienza, grazie a una serie di moduli educativi su diversi temi, come l’effetto spettatore, i pregiudizi, il bullismo, le dinamiche di gruppo ecc. Nei vari moduli i ragazzi partecipano al processo formativo in modo attivo, attraverso video ed esercitazioni pratiche, costruite in modo da rendere stimolanti i temi affrontati, dibattiti su esempi tratti dalla vita quotidiana e dal mondo della ricerca, simulazioni di situazioni socialmente impegnative. Imparano a sviluppare una mentalità dinamica, che si riferisce alla convinzione che le proprie abilità e qualità non siano intrinseche e immodificabili, ma possano essere coltivate attraverso lo sforzo e la perseveranza; a superare la pressione per conformarsi alle norme del gruppo; a identificare e a contrastare pregiudizi e discriminazioni e a sviluppare la resilienza necessaria per combattere l’effetto spettatore.

Per esempio, nel modulo educativo sull’effetto spettatore, ai ragazzi viene mostrato il video dell’esperimento citato sopra. E poi viene chiesto loro perché i passanti non si fermano, facendoli ragionare sui motivi per cui una persona non interviene e su come affrontare queste situazioni. I ragazzi quindi apprendono come si attiva l’effetto spettatore in situazioni di emergenza e quali ostacoli possono orientare il potenziale soccorritore verso l’indifferenza e l’inazione, imparando le strategie utili per contrastarle. Le esercitazioni infatti promuovono il coinvolgimento personale dei ragazzi, aiutandoli a sviluppare abilità sociali e comportamentali adeguate, resilienza e pensiero critico, e permettono di avviare un cambiamento positivo nel percorso di vita dei ragazzi.

E non solo: dai primi studi in America sugli effetti a lungo termine del programma, sembrano esserci effetti anche sulle performance scolastiche, che, se dimostrati, permetterà di diffondere il programma in tutto il distretto.

 E ancora: cambiare il proprio modo di agire e comportarsi, compiendo piccole azioni eroiche quando ce n’è bisogno, può determinare anche un cambiamento positivo nelle comunità di chi ha seguito il programma, innescando la diffusione in una spirale positiva della “banalità dell’eroismo”.

Perché se il contesto può portare le persone a compiere cattive azioni o a non fare nulla per contrastarle, può anche indurle a compiere azioni eroiche. E più sono le persone che diventano “eroi di tutti i giorni”, più è facile che gli altri, gli spettatori, riescano ad avere meno paura e possano anche loro iniziare ad agire: tutti possiamo essere “eroi” e compiere azioni eroiche.

di Paola A. Sacchetti

 

BIBLIOGRAFIA:

www.heroicimagination.org

Franco Z., Zimbardo P. (2006), «The Banality of Heroism», Greater Good Magazine, https://greatergood.berkeley.edu/article/item/the_banality_of_heroism

Clay R. A. (2014), «Everyday heroes. The Heroic Imagination Project uses psychological research to help students take action», American Psychological Association, 45 (1), www.apa.org/monitor/2014/01/everyday-heroes

Zimbardo P. (2020), Zimbardo. Memorie di uno psicologo, Giunti Psychometrics, Firenze.