Marco Cambiaghi, Simone Rossi

Correnti curative per il cervello: la neuromodulazione

L’affiancamento delle correnti curative alle terapie farmacologiche tradizionali sta portando a una sempre maggiore personalizzazione delle cure.

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A Harold Benson, un ragazzo affetto da una forma di epilessia incurabile farmacologicamente, che lo rende violento e pericoloso al di là della sua volontà, sono stati appena impiantati degli elettrodi nel cervello, in corrispondenza della zona che genera il disturbo. Questi microscopici elettrodi sono anche in grado di registrare l’attività elettrica prodotta dai neuroni, riconoscere quando questa si manifesta in forma patologica, e fornire di conseguenza una scarica elettrica curativa, che arresta l’insorgenza della crisi epilettica, vera e propria responsabile dei pericolosi attacchi di violenza. O almeno questa era l’idea di base, ma non tutto va come previsto. Anzi!

L’anno è il 1971 e non si parla di un caso clinico particolare, bensì di fantascienza. O meglio, di un mix tra fantascienza e quello che – solo una quindicina di anni dopo – sarebbe successo davvero grazie alla stimolazione cerebrale profonda, o DBS (Deep Brain Stimulation), inventata a Grenoble nella metà degli anni Ottanta. La mente pensante di questo incalzante romanzo proiettato nel futuro (Il terminale uomo, 1972), la cui storia si svolge in soli cinque giorni, è quella di Michael Crichton (1942-2008), meglio noto per romanzi come Jurassic Park (1993), che ispirò Steven Spielberg, o per la serie da lui ideata E.R. – Medici in prima linea (1994). In quegli anni Crichton vantava già una laurea in antropologia biologica e una in medicina, conseguita ad Harvard nel 1969.

Come l’autore di Il terminale uomo spiega bene nella breve introduzione, i «lettori che giudicassero sconvolgente o spaventoso il tema di questo libro non dovrebbero anche illudersi che si tratti di una novità». L’attento studente di medicina, negli anni aveva potuto studiare e osservare “sui rotocalchi”, che la neuromodulazione del cervello, e quindi della mente, era già qualcosa di assolutamente possibile, e anche con una lunga storia alle spalle. Tanto che nella prima edizione Crichton propone una dettagliata cronologia, descritta come “Storia della terapia dell’epilessia psicomotoria” (nella versione italiana, “Storia della psicochirurgia”), in cui cita studi di stereotassia animale (1908) e umana (1947), o l’impianto di elettrodi nella profondità del cervello da parte del francese Talairach (1958). Ma anche, e soprattutto, i risultati dello psichiatra statunitense Robert G. Heath sull’autostimolazione di pazienti epilettici tramite impianti cerebrali (1963), con l’effetto di forti e repentini cambi d’umore, le amigdalotomie di Narabayashi (1965) e le importantissime ricerche nel settore della neuromodulazione di José Manuel Rodríguez Delgado, neurofisiologo a Yale e pioniere degli impianti cerebrali, con cui per un breve periodo Crichton era venuto a contatto all’Istituto di Neuroscienze, durante il suo internato. Dopo una lunga serie di tentativi su animali sperimentali e dopo aver bloccato la carica di un toro nell’arena di Cordoba con un elettrodo che si supponeva modulasse l’attività del nucleo caudato (copertina del New York Times, 1963), Delgado nel 1968 inizia a impiantare i suoi “stimoceiver” – veri e propri microcheap –
anche in una manciata di pazienti affetti da gravi patologie psichiatriche, con esiti però scarsamente riproducibili fra soggetti. L’ultimo punto di questa attenta cronologia, nonché l’unico fittizio, riporta 1971 – Viene operato a Los Angeles il paziente Harold Benson, che è proprio il protagonista del libro.

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Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui