Paolo Moderato

Contesti tossici di comunicazione nel mondo 3.0

Dalle fake news a informazioni non verificabili, passando per contesti enunciazionali ambigui, quali sono le principali distorsioni comunicative oggi nella stampa, nei media radio-televisivi e nei social?

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La teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie aveva distrutto il mito dell’uomo signore incontrastato del pianeta, riportandolo coi piedi per terra e ricordandogli la sua stretta vicinanza al mondo animale. Rimanevano però ancora due facoltà che caratterizzavano l’uomo e lo distinguevano dal mondo animale: il pensiero razionale e il linguaggio, due processi strettamente legati fra loro. Negli ultimi trent’anni sono stati il primo molto ridimensionato, il secondo molto amplificato. 

MECCANISMI E PROCESSI PSICOLOGICI 

Hanno cominciato Tversky e Kahneman attaccando il postulato secondo cui gli individui, in quanto esseri razionali, sono in grado di decidere che cosa vogliono e di prendere la decisione migliore ordinando le alternative possibili secondo una logica. Secondo tale postulato, essi possono sbagliare, ma gli errori sono casuali o dovuti a stati emotivi particolari: la teoria non ne viene inficiata. Invece i due autori citati evidenziano i meccanismi mentali che inducono gli esseri umani a sbagliare in modo sistematico e perseverante (bias), e introducono, o meglio ampliano, il significato della nozione di euristiche, regole semplici ed efficaci che implicano minimo sforzo cognitivo e spiegano come le persone prendano decisioni e risolvano problemi complessi soprattutto quando non dispongono di informazioni complete.

L’uso di euristiche è spiegato dal concetto di bounded rationality introdotto da Herbert Simon: il sistema cognitivo umano è un sistema a risorse limitate che non opera secondo processi algoritmici. I bias, che comportano errori sistematici, sono il lato oscuro della forza delle euristiche, pregiudizi astratti che non si basano su dati di realtà (per un elenco e l’infografica si veda https://www.titlemax.com/discovery-center/lifestyle/50-cognitive-biases-to-be-aware-of-so-you-can-be-the-very-best-version-of-you/). Alcuni bias sono molto noti, come l’effetto placebo, altri sono assai recenti, come l’effetto Dunning-Kruger la cui azione vedremo fra poco. Per gli scopi di questo articolo sono da citare tre euristiche – rappresentatività, disponibilità e ancoraggio – che talvolta funzionano, ma che nella gran parte dei casi portano a errori sistematici e prevedibili (si veda il prossimo paragrafo).

L’altro aspetto che ha a che fare con la comunicazione tossica riguarda il linguaggio, e in modo particolare il modello comportamentista post-skinneriano noto come relational frame theory: esso spiega come un individuo all’interno della sua comunità verbale di riferimento apprenda a rispondere a relazioni tra eventi-stimolo che sono in relazione arbitraria, cioè sono controllati da alcune caratteristiche del contesto di interazione (Presti e Moderato, 2019). Il contesto può trasformare la funzione degli stimoli che partecipano a tale relazione: anche una parola neutra o addirittura piacevole, in un contesto particolare può trasformarsi in uno stimolo che genera ansia, paura o panico. Semplificando al massimo, si dice che in questi casi la persona è “fusa con le parole”. Nella behavioral economics ciò è definito “effetto framing”. Questi punti che abbiamo trattato descrivono il modo e spiegano i processi con cui il lettore interagisce con la fonte di informazione. TV, giornali, social, Internet fa poca differenza, se non in termini di rapidità di diffusione della notizia.

Tre euristiche

Le persone si fanno spesso guidare dall’euristica della rappresentatività: in tante situazioni un certo evento A viene giudicato più probabile di un altro evento B ogni volta che A appare più rappresentativo di B. Esiste poi un’euristica della disponibilità. La memoria distorce i giudizi: più una situazione è disponibile per un soggetto (per esempio, per copertura mediatica), più tende ad essere giudicata probabile. C’è infine un’euristica dell’ancoraggio. In numerose situazioni le persone fanno stime partendo da un valore iniziale – un punto di partenza – che viene poi aggiustato per ottenere la risposta finale. Il valore iniziale può essere suggerito dalla formulazione del problema o può derivare da calcoli incompleti.
In entrambi i casi gli aggiustamenti successivi sono tipicamente insufficienti. Punti di partenza diversi ottengono differenti stime finali, che sono distorte verso i valori iniziali, fungenti da ancore.

LO SPIRITO DEL TEMPO

Gli esseri umani possono essere evolutivamente classificati in 2 gruppi, gli individui paurosi (la maggioranza) e gli individui curiosi e temerari: i primi hanno assicurato la sopravvivenza della specie Homo sapiens evitando i rischi, i secondi ne hanno assicurato lo sviluppo culturale e scientifico assumendosi rischi che per alcuni possono essere stati letali. La storia della scienza è piena di persone che hanno sacrificato la loro vita per la ricerca.

Gli stati interni che chiamiamo emozioni hanno (anche) la funzione di aiutarci a reagire nel modo più adeguato ai pericoli. Tuttavia, quando le emozioni non sono ben calibrate su una minaccia reale, e/o quando le nostre conoscenze e le nostre informazioni sono scarse e/o manipolate, rischiano di farci andare fuori strada e inducono comportamenti irrazionali.

È quanto sta accadendo con l’epidemia di Covid-19. Se fossimo esseri razionali, dovremmo fidarci e affidarci a esperti riconosciuti. Non lo siamo, e non siamo neanche consapevoli di non esserlo, tutt’altro: l’effetto Dunning-Kruger descrive come l’errata e infondata sopravvalutazione delle proprie competenze e conoscenze si accompagni in realtà a una profonda ignoranza.

C’è un altro fattore da considerare. Viviamo in un’epoca che mostra una forte intolleranza per gli esperti: espressioni come “i professoroni” e “uno vale uno”, la confusione di opinioni e fatti scientifici con la pretesa discutibilmente democratica di conferire la stessa legittimità a entrambi e di mettere a confronto in TV una soubrette e un professore universitario su un fatto medico (per esempio, l’efficacia dei vaccini) ne sono la dimostrazione.

Il libro di P. Nichols The death of expertise, disponibile anche in italiano con il titolo La conoscenza e i suoi nemici: l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, spiega che il fenomeno è radicato nella società americana ed è riemerso e si è irrobustito nei college americani di second’ordine. Nichols parte dall’osservazione di Alexis de Tocqueville del 1835: «Nella maggior parte delle operazioni dello spirito, ogni americano fa appello solo allo sforzo individuale della propria ragione». Qualche tempo fa il presidente degli Stati Uniti Trump, sostenendo che secondo lui il dato sull’epidemia diffuso dall’OMS (3.4% di mortalità) era falso, ha dichiarato: «È una mia impressione, basata sulle conversazioni che ho avuto con molta gente» (http://www.ansa.it/sito/notizie/flash/2020/03/05/-trump-valuta-azione-per-americani-senza-sanita-d584326e-da6d-4a1d-9c75-93854808d765.html).

Questa diffidenza nei confronti dell’autorità intellettuale era radicata nella natura stessa della democrazia americana jacksoniana, in cui i cittadini erano – scriveva Tocqueville – «costantemente ricondotti alla propria ragione come la più ovvia e vicina fonte di verità. Non è solo la fiducia in questo o quell’uomo che viene distrutta, ma la disposizione a fidarsi dell’autorità di qualsiasi uomo».

Tocqueville aveva descritto con molto anticipo quello che sarebbe successo, potenziato e distorto quasi duecento anni dopo. In realtà, si tratta di un ritorno di tale atteggiamento, perché questa sfiducia nell’esperto era caduta nel XX secolo sotto i colpi dei progressi scientifici e tecnologici, anche grazie al ruolo politico a livello mondiale assunto dagli Stati Uniti. Di questo ritorno si vedono prove anche in Italia; quel che preoccupa di più è che tali prove si manifestino soprattutto nel campo della salute, in termini sia di cura (medicina alternativa, metodo Hamer, omeopatia, stamina) sia di prevenzione (movimenti antivax).

INFORMAZIONI TOSSICHE, FAKE NEWS, MANIPOLAZIONE DEL COMPORTAMENTO

Insomma, la combinazione di questi fattori crea una situazione perfetta da sfruttare per chi vuole intossicare la comunicazione per fini di controllo sociale, politico e così via. I media, come dice la parola, sono il mezzo attraverso cui tutto ciò passa. Scriveva mesi fa il Wall Street Journal: «Noi dei media dovremmo passare più tempo a parlare con gli esperti che sanno qualcosa e meno tempo a citare i politici che non sanno quasi nulla del virus, ma che vedono un potenziale guadagno nello sfruttamento di una crisi sanitaria».

La politica si è infilata a capofitto in questo processo tossico. Gli esempi sono troppi per poterli citare tutti. Prendiamo il più noto, la vicenda Cambridge Analytica Files: 87 milioni di profili Facebook sono stati usati illegalmente da questa società per influenzare politicamente il comportamento di gruppi di elettori in varie consultazioni elettorali. Stiamo parlando delle elezioni presidenziali statunitensi, del referendum sull’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea (Brexit) e con molta probabilità anche del referendum italiano del 2016 sulla riforma costituzionale proposta dall’allora premier Matteo Renzi (si veda https://www.theguardian.com/uk-news/2019/mar/17/cambridge-analytica-year-on-lesson-in-institutional-failure-christopher-wylie).

Il meccanismo è relativamente semplice ed è basato sui meccanismi psicologici visti nelle pagine precedenti: inondare di notizie (false) un gruppo di persone selezionato in base alle informazioni che hanno volontariamente e ingenuamente comunicato tramite il loro profilo Facebook, inconsapevoli dell’uso che ne sarebbe stato fatto; orientare le loro scelte sovra-rappresentando un pericolo, o addirittura creandolo ex novo, quindi manipolando la loro percezione del rischio; aizzare campagne d’odio facendo leva sul “sentiment” delle persone per ottenere un consenso da sfruttare poi elettoralmente. Come sappiamo, questo meccanismo ha funzionato.

COVID-19: UN NUOVO SCENARIO

Di recente, a causa dell’emergenza Coronavirus e dell’incertezza che ha comportato, abbiamo oscillato pericolosamente tra due forme di comunicazione mediatiche entrambe tossiche: panico fuori controllo e minimizzazione. Ricordiamo alcuni titoli di quotidiani nazionali (non della “stampa spazzatura” che vive pericolosamente e irresponsabilmente di titoli sempre al limite) con foto a mezza pagina di soldati armati e dotati di attrezzatura da guerra chimica e parole apocalittiche che hanno sollevato un unanime coro di critiche nella comunità scientifica, nel mondo politico e nella società tutta. Poi siamo passati alla fase minimizzante: è solo un’influenza o poco più. Ora, il Covid-19 non è l’apocalisse (speriamo), ma non è certo neanche un’influenza.

Ancora stiamo oscillando tra messaggi come «Non fermiamoci, riprendiamo a vivere, la vita continua» (con picchi di irresponsabilità del tipo: «Non cambio il mio stile di vita») et similia, certamente nell’ottica di limitare i danni economici derivanti dal blocco di tutte le attività, e messaggi invece di richiamo alla responsabilità e alla ragionevolezza, quali: «Continuia­mo a limitare i contatti sociali, evitiamo gli assembramenti» e così via.

The Lancet, la prestigiosa rivista medica, in un articolo del 7 marzo scorso, descrivendo lo stress cui sarebbero stati sottoposti i servizi sanitari dei Paesi ad alto reddito, visti la gravità e la letalità delle polmoniti e i possibili rischi di diffusione incontrollata nei Paesi a basso reddito con servizi sanitari deboli (Africa sub-sahariana, America Latina, alcuni Paesi dell’Est Europa), concludeva dicendo testualmente: «I Paesi ad alto reddito devono prendersi ragionevoli rischi e agire in modo più deciso. Devono abbandonare le paure delle conseguenze negative a breve termine a livello pubblico ed economico che possono derivare da misure restrittive della libertà pubblica come componenti di misure più decise di controllo dell’infezione». Un messaggio inequivoco.

In questo scenario pessimistico ci sono anche, peraltro, alcuni aspetti positivi che vanno sottolinea­ti. Scrive G. Vitiello sul quotidiano Il Foglio: «Oggi l’epidemia di Covid-19 mette alla prova la polemica dandy contro i competenti e la pilatesca condiscendenza sulla questione delle fake news» (si veda https://www.ilfoglio.it/il-bi-e-il-ba/2020/03/07/news/lesperimento-del-coronavirus-305248/). In altri termini, «la verità non è più una chimera da secchioni e la competenza un mito da epistocratici ora che è una questione di vita o di morte». Almeno per chi l’ha capito, aggiungerei. Certo, passata l’emergenza, tutti i sostenitori delle medicine alternative, delle cure omeopatiche, tutti i complottisti e gli antivax, prima defilati, stanno tornando garruli e virulenti come e più di prima.

Intanto consoliamoci osservando un altro effetto collaterale positivo. Quelli che sono abitualmente delle fabbriche di prodotti tossici, covi di complottisti e laboratori di fake news, cioè i social, stanno mostrando comportamenti più responsabili, agendo con ragionevolezza, per evitare che il panico faccia più danni dell’epidemia. Per molto tempo Facebook e Twitter sono stati molto permissivi, hanno lasciato andare messaggi di odio, deliri complottisti e quant’altro, al massimo rispondendo tardivamente per bloccarli quando il danno tossico era già fatto. Ora sembra che entrambi abbiano deciso di agire in termini proattivi, modificando l’algoritmo personalizzato per mettere in evidenza messaggi uguali per tutti a salvaguardia della salute pubblica. Twitter ha annunciato che nelle ricerche sul Covid-19 saranno privilegiati gli articoli autorevoli e verificati dalle autorità sanitarie. Facebook ha fatto lo stesso, promettendo di bloccare e cancellare a monte gli articoli a base complottistica e le notizie false sull’epidemia e di affiancare all’azione di contrasto la promozione di messaggi provenienti dall’OMS.

PAOLO MODERATO è ordinario di Psicologia all’Università IULM. Presidente di CBT-Italia, è autore di oltre duecento pubblicazioni scientifiche, tra cui Capire come potenziare le abilità cognitive e curricolari (con L. Moderato, Giunti Edu, 2017).


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

«Covid-19: Too little, too late?» (2020), The Lancet, 395, 7 marzo.
Moderato P. (2019), Contesti di comunicazione 3.0, Franco Angeli, Milano.
Presti G., Moderato P. (2019), Pensieri, parole, emozioni. CBT e ABA di terza generazione: basi sperimentali e cliniche, Franco Angeli, Milano.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui