Federica Cagnoni, Giorgio Nardone, Roberta Milanese

Acrobazie emotive. Imparare a superare rimorsi, rimpianti e sensi di colpa

Una carrellata completa sulle varie forme che può assumere la deplorazione per le proprie scelte commesse o mancate.

acrobazie-emotive.jpg

Guai se non ci fosse il senso di colpa! Questo scomodo sentimento traccia dei confini, ci pone dei limiti e ci avverte quando la strada che abbiamo percorso o stiamo percorrendo non è adeguata ai nostri valori, a quelli del mondo che ci circonda o delle persone per noi importanti. Si tratta di un segnale a cui prestare attenzione e con il quale ci confrontiamo ogniqualvolta siamo chiamati a prendere decisioni che possano avere conseguenze sulla nostra vita o su quella degli altri. 

Talvolta, però, il senso di colpa perde questa fondamentale funzione adattiva e si trasforma in un sentimento invadente e invasivo che ci limita o addirittura ci blocca nel portare avanti la vita con serenità. Si è soliti credere che il senso di colpa sia una modalità di pensiero esclusivamente rivolta al passato, un «avrei dovuto fare ma non ho fatto» o un «non avrei dovuto fare e ho fatto». In realtà, si manifesta anche nel presente: «dovrei fare ma non faccio», «dovrei essere ma non sono», traducendosi in un senso di pesante inadeguatezza che può accompagnarci nel quotidiano. Si tratta comunque sempre di un peso sperimentabile in forma più o meno grave, a livello sia fisico che mentale. L’emozione primaria che ne è alla base è sempre il dolore, a cui può talvolta accompagnarsi un’altra emozione fondamentale: la rabbia. Parliamo di “rimorso” quando il senso di colpa è in relazione a una nostra azione (agita o mancata) che ha arrecato danno a noi stessi, ad altri o ha trasgredito regole sociali da noi ritenute importanti. Parliamo invece di “rimpianto” quando ci si riferisce a qualcosa di incompiuto, a un traguardo non raggiunto, a una mancata soddisfazione o a un’esperienza non vissuta pienamente. «Avrei dovuto prendere una laurea», «avrei dovuto avere dei figli» sono tipici rimpianti in cui il dolore risuona sotto forma di piacere mancato, che a volte si traduce in un vero e proprio “lutto” per la perdita di quello che di bello avrebbe potuto essere, ma per colpa nostra non è stato. E se alcuni luoghi comuni sono portati a farci credere che il rimorso possa essere molto più difficile da elaborare di un rimpianto e che la colpa del passato sia più invasiva di quella del presente, nella nostra pratica clinica abbiamo quotidianamente esperienza di come tutte queste dimensioni possano diventare simili al macigno che Sisifo è condannato eternamente a portare in cima alla montagna, a veder rotolare giù in basso, a dover ricominciare a spingere, per poi rivederlo rotolare giù.

QUANDO LA COLPA È NEL PASSATO

Rimorsi e rimpianti pertengono al passato e comportano l’assunzione di piena responsabilità da parte di chi li esperisce. Lo confermano anche gli studi effettuati attraverso le tecniche di neuroimaging. Un recente studio ha infatti localizzato l’emozione legata al sentirsi in colpa per avere fatto star male qualcuno, in un’area del cervello differente da quella che si attiva quando assistiamo a una sofferenza altrui di cui però non siamo i responsabili. Nella nostra pratica clinica vediamo quotidianamente le conseguenze negative di atti a volte compiuti inconsapevolmente, talvolta invece attentamente pianificati con le migliori intenzioni.

Ritrovarsi a fare i conti con le proprie scelte passate senza potervi porre rimedio significa portare con sé ogni giorno il peso del passato, che, come un enorme fardello, diventa uno scomodo compagno di viaggio. Lo stesso atto può assumere differenti significati a seconda del vissuto di chi lo ha compiuto o degli esiti ottenuti. La scelta di divorziare, per esempio, può far vivere pesanti sensi di colpa verso il partner abbandonato; può far sì che ci si senta colpevoli nei confronti della propria fede religiosa o può invece provocare sensi di colpa verso sé stessi nel momento in cui ci si ritrovi a vivere pesanti momenti di solitudine. Ma a fronte di chi si sente in colpa per aver divorziato, altri si sentono in colpa per non averlo fatto o per averlo fatto troppo tardi, a dimostrazione di come siano praticamente infinite le colpe che possiamo provare e di quanto infiniti siano i nostri valori e modi di percepire e reagire agli eventi della vita.

SUPERARE I RIMORSI

Nel rimorso, il dolore che si prova verso sé stessi, gli altri o il mondo è spesso legato a scelte che oramai non possiamo più cambiare. Può trattarsi di un evento specifico del passato che continua a tornare alla mente al pari di un’esperienza traumatica, o di una sequenza di errori e fallimenti con cui la persona si ritrova a fare i conti ogni giorno. Il tutto, aggravato dal sentirsene pienamente e irrimediabilmente responsabili. Capita talora che il dolore provocato dal rimorso sia in qualche modo offuscato dall’intensa rabbia che la persona prova verso sé stessa, le proprie scelte sbagliate o la propria incapacità. Per poter intervenire efficacemente sarà quindi importante, come prima cosa, aiutare la persona a liberarsi dal potentissimo “veleno” della rabbia, spesso fonte anche di sintomi psicosomatici. Un’indicazione molto efficace a questo scopo è quella che abbiamo denominato “epistolario della rabbia”. Per qualche giorno la persona dovrà prendere carta e penna e scrivere una lettera indirizzata a sé stessa, dove permettersi di riversare tutta la rabbia che prova, fino a quando non sentirà di essersene completamente liberata. Questa manovra permette di canalizzare la rabbia e farla defluire in tempi piuttosto rapidi, facendo emergere il dolore sottostante, che è sempre la base su cui poggia il senso di colpa.

A differenza della rabbia, però, il dolore non può essere “sfogato” in tempi rapidi: similmente a un tunnel buio, va attraversato lentamente fino ad uscirne. Come espresso dal bellissimo aforisma di Robert Frost «Se vuoi venirne fuori, devi passarci nel mezzo». Se non è possibile elaborare un dolore senza viverlo appieno, non si può elaborare un rimorso, o una serie di disastri commessi, senza contemplarli dolorosamente. Per ottenere questo, guidiamo i pazienti in un viaggio quotidiano di stesura dettagliata dei disastri commessi in quella che abbiamo evocativamente definito “cronaca dei disastri realizzati”. La persona viene invitata a mettere per iscritto ogni giorno e dettagliatamente tutti gli errori commessi, le colpe del passato e le conseguenze che esse hanno avuto. Dovrà farlo proprio come se stesse scrivendo una cronaca o un romanzo, a ritroso dal presente al passato, e senza mai rileggere quanto scritto. Una volta terminata la cronaca, dovrà consegnarla al terapeuta. L’effetto di questa indicazione è duplice: ripercorrere i disastri del passato, da un lato, obbliga la persona a fare i conti con le proprie responsabilità rea­li, accettandole come parte inevitabile della propria storia; allo stesso tempo, capita spesso che, obbligata a contemplare quelle che parevano terribili macerie, la persona scopra che le colpe per cui si tormenta non sono state tutte sue o magari non sono così gravi come le percepiva prima.

In entrambi i casi, la ferita della colpa viene gradatamente rielaborata fino a trasformarsi in cicatrice. Una volta liberato il campo dalle macerie, può finalmente iniziare quel lavoro di ricostruzione che di solito i pazienti avevano faticosamente tentato di fare prima senza successo, proprio a causa degli ingombranti resti rovinosi del passato.

È importante sottolineare che il rimorso non rimanda solo alla dimensione della “scelta”. I rimorsi più subdoli, in realtà, sono quelli in cui la persona non ha avuto una reale possibilità di scelta, ma anzi è stata vittima di scelte altrui di cui però si sente in qualche modo colpevole o corresponsabile. Molto spesso, infatti, è proprio chi ha subito un atto di violenza, un furto, un’aggressione, un abuso, a sentirsi in colpa per non essere riuscito ad evitare l’evento traumatico. «Sono stato un ingenuo, un credulone», «Non sarei dovuta uscire da sola a quell’ora», fino ad arrivare ai terribili sensi di colpa di chi è stato abusato, magari in tenera età, e si sente profondamente colpevole per non aver reagito o chiesto aiuto.

In tutti questi casi sarà indispensabile aiutare la persona a rimandare ai veri colpevoli la totale responsabilità di quanto avvenuto, liberandosi dal terribile senso di colpa che la inchiodava all’evento traumatico capitatole.

SUPERARE I RIMPIANTI

Mao Tse-tung scriveva: «Non dispiacerti per ciò che non hai potuto fare, rammaricati solo di quando potevi e non hai voluto». Chi prova rimpianti sperimenta esattamente quanto indicato in questo sagace aforisma riguardo a quegli “incompiuti” di cui ora sente l’intensa mancanza. Se il non aver potuto giustifica e assolve, il non essere riusciti o l’aver rinunciato condanna e affligge. Nei rimpianti non si è colpevoli di un danno, non si sono infrante regole morali proprie o altrui, ma si vive nell’idea che il presente sia peggio di quanto avrebbe potuto essere se solo si avesse avuto il coraggio, la volontà o la capacità di fare. Chi prova rimpianti porta addosso tutte le ferite delle battaglie evitate, per evocare le parole del poeta Pessoa.

Nel rimpianto è proprio l’assenza dell’esperienza a creare paradossalmente la presenza di ciò che è mancato. Può trattarsi della presenza del figlio che si era deciso di non avere o di avere più tardi, del lavoro che non abbiamo avuto il coraggio di accettare, del titolo di laurea che non si è riusciti a conseguire. Talvolta ci si accorge degli incompiuti tutt’a un tratto: come fantasmi sbucano nella nostra esistenza quando meno ce l’aspettiamo. Ci possono sorprendere all’improvviso, facendoci sentire la mancanza di qualcosa che mai avremmo creduto sarebbe potuto diventare indispensabile per sentirci adeguati, completi o soddisfatti di noi stessi. Altre volte, invece, ce li trasciniamo in modo subdolo nel corso della vita. Il non aver studiato, per esempio, si trasforma inconsapevolmente in un senso di inadeguatezza ogniqualvolta ci dobbiamo confrontare con persone più erudite di noi e l’aver scelto la carriera al posto della famiglia può trasformarsi in rabbia verso chi è riuscito a fare entrambe le cose.

Che si sia più o meno consapevoli, i rimpianti sono facilmente smascherabili. Sono sempre rivolti a qualcosa che non c’è e non c’è mai stato, ma avrebbe potuto esserci. Nel rimpianto dobbiamo aiutare le persone ad assolversi per le mancanze del passato, e anche in questo caso la scrittura può venirci in aiuto per elaborare i fallimenti e distanziarsene emotivamente. In molti casi, però, superare i rimpianti richiede l’elaborazione di un vero e proprio lutto. Pensiamo, per esempio, alla donna cresciuta con l’idea che la sua vita sarebbe stata sicuramente coronata dalla maternità e che si ritrova invece a fare i conti con questo progetto infranto, magari perché procrastinato troppo a lungo. Il figlio mancato può trascinarla in un dolore profondo, nella perdita di qualcosa che aveva immaginato come parte fondamentale della sua vita e che invece non è. E a nulla valgono tutti i tentativi di razionalizzare qualcosa che razionale non è, come il dirsi che ci sono tante altre cose belle nella nostra vita o che effettivamente ormai si è troppo avanti con l’età per godersi veramente i figli. Superare questo lutto richiede piuttosto di accettare di vivere fino in fondo il dolore per la perdita di quella maternità tante volte immaginata e sognata. È quindi importante che la persona ogni giorno si conceda uno spazio di tempo dove piangere tutte le proprie lacrime, dove potersi disperare e lasciarsi andare al dolore senza alcun tipo di censura o tentativo di razionalizzazione. In tal modo la persona sarà gradualmente guidata ad attraversare gli inferi della propria sofferenza per poi risalire finalmente alla luce, incrementando così anche la propria resilienza. 

Una volta elaborati, i rimpianti possono essere un utile strumento di crescita, dal momento che ci parlano dei nostri limiti. Comprendere cosa in passato ci abbia limitato nell’osare, svelare le nostre paure o insicurezze, o scoprire i nostri autoinganni disfunzionali sono passaggi fondamentali del nostro percorso evolutivo di miglioramento costante che ci aiuteranno a non costruire oggi i rimpianti di domani.

QUANDO LA COLPA È NEL PRESENTE

Alcune persone vivono immerse quotidianamente nel senso di colpa: per quanto facciano, si impegnino, ottengano risultati, vengano stimate, non si sentono mai “abbastanza”. Sono madri lavoratrici dilaniate dal non sentirsi sufficientemente presenti con i figli, figli che vivono lontano dai genitori e non se la sentono di prendersene cura come vorrebbero, padri separati che si sentono in colpa di non vivere la quotidianità con i figli, e gli esempi potrebbero andare avanti all’infinito. Si tratta di situazioni in cui la persona vive un profondo senso di inadeguatezza che la fa sentire costantemente in colpa verso qualcosa o qualcuno, più raramente verso sé stessa. Anzi, spesso è proprio quest’ultima dimensione a venire costantemente trascurata, nell’illusorio tentativo di gestire al meglio gli altri ambiti della vita, come abili giocolieri che tentano di non far cadere nessuno dei numerosi birilli che lanciano in aria. Ma la missione è spesso impossibile e la persona arriva stremata alla sera con la sensazione di aver comunque mancato nei confronti di qualcuno.

A volte la percezione è che siano gli altri a farci sentire in colpa, ma si tratta di un sottile autoinganno: il senso di colpa ci appartiene e nessuno può farci sentire una colpa se noi per primi non ce la sentiamo addosso. Il vero responsabile è piuttosto quel severo giudice interiore che talora assume le vesti di un vero e proprio inquisitore, scomodo inquilino di chi è incline a questo tipo di sensi di colpa. Il presupposto ingannevole da cui l’inquisitore prende le mosse per inchiodare la propria vittima è quello per il quale essere adeguati significa fondamentalmente essere perfetti. La più piccola imperfezione diventa così un’incolmabile inadeguatezza che fa sentire costantemente colpevoli. Ma non solo, spesso è proprio il tentativo di sfuggire ai presunti sensi di colpa ciò che finisce per rendere queste persone realmente inadeguate, se non addirittura colpevoli. Basti pensare a tutti gli errori educativi che spesso si commettono quando ci si sente in colpa per non dare sufficienti attenzioni ai propri figli o per il fatto di trascurare sé stessi e la propria salute quando si ritiene di doversi sempre sacrificare per gli altri.

È proprio il far sentire a queste persone quanto si stiano involontariamente rendendo colpevoli nell’illusorio tentativo di evitare le colpe, la leva efficace per produrre un primo importante cambiamento in loro. Una volta utilizzato il senso di colpa come risorsa, la persona verrà guidata a concedersi piccole imperfezioni e a imparare il “sano egoismo” il cui presupposto fondamentale è quello per il quale solo chi sta bene è davvero in grado di fare star bene gli altri. 

Imparare a lasciare i rimorsi e i rimpianti nel passato e accettare i nostri limiti e le nostre imperfezioni nel presente diventa così il trampolino di lancio per un futuro sereno ed equilibrato e soprattutto libero dai sensi di colpa. Come affermato dallo scrittore e teologo C. S. Lewis, «Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale».

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua crea­tività che per il suo rigore metodologico.

Federica Cagnoni, psicologa e psicoterapeuta, è ricercatore associato e docente nella Scuola di specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica diretta da Giorgio Nardone.

Roberta Milanese, autrice di numerose pubblicazioni, è docente nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica di Arezzo e Firenze e in master di specializzazione in Italia e all’estero.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Cagnoni F., Milanese R. (2009), Cambiare il passato, Ponte alle Grazie, Milano.

Milanese R. (2020), L’ingannevole paura di non essere all’altezza, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G. (2019), Emozioni. Istruzioni per l’uso, Ponte alle Grazie, Milano.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 284 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui